In questi ultimi tempi il ricorso alla sanità privata sta diventando una prassi consolidata. Anche in Liguria l'incapacità di gestire le risorse pubbliche sanitarie ha portato a comprendere come il passaggio ad una amministrazione di destra non abbia significato una reale inversione di rotta.
Il ruolo della sanità privata nel Servizio Sanitario Nazionale.
di Valter Chiappini, Manifesto per la Sanità Locale
Quando si discute di sanità
pubblica e sanità privata occorre certamente in primis definire la
mission delle due parti. Ecco allora la prima distinzione: mentre la
mission della sanità pubblica rispecchia fedelmente, pur con le sue
pecche, i dettami dell’art. 32 della Costituzione, ovvero “tutela
la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”, la
sanità privata ha, ovviamente, come mission l’interesse privato e
il lucro.
Con la legge 883 del 23 dicembre 1978 fu istituito
il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) basato su tre principi cardine:
l'universalità, l'uguaglianza e l'equità.
Ed ecco quindi la
seconda distinzione: mentre la sanità pubblica rispetta pienamente
almeno i primi due principi, la sanità privata, dovendo ottimizzare
le sue prestazioni per massimizzare il guadagno, non ne rispetta
neppure uno.
La sanità pubblica garantisce l’universalità
perché copre tutte le prestazioni sanitarie, garantisce
l’uguaglianza dei cittadini, ricchi o poveri che siano garantendo
le cure anche agli indigenti, e oggi garantisce l’equità pur non
più su base nazionale, avendo spostato l’equità a livello
regionale costituendo, di fatto con la modifica del Titolo V della
costituzione, 12 diversi Servizi Sanitari disponendo che ogni Regione
ha ampi margini di manovra nell’organizzazione del Servizio, nella
definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e nella
utilizzazione e distribuzione delle risorse umane e finanziarie.
Di
contro la sanità privata non garantisce l’universalità, perché,
di fatto, sceglie cosa fare e cosa non fare, non garantisce
l’uguaglianza, perché, a meno che non sia il Servizio pubblico a
coprire la prestazione, non accetta chi non può pagare, tantomeno,
quindi, garantisce l’equità neppure su base locale.
Sanità
privata “integrativa” o “compensativa” del Servizio Sanitario
Nazionale?
No! A meno che non si voglia stravolgere il
significato di queste parole prendendo come assunto che la sanità
pubblica dovrebbe coprire interamente almeno le esigenze minime dei
cittadini.
Per integrativo o compensativo si intende qualcosa che
qualcosa che va in aggiunta a quello che dovrebbe garantire il SSN
pubblico, ma oggi è chiarissimo che non sia così e che la sanità
privata, nella stragrande maggioranza dei casi, vada a sostituire, a
sua scelta, ciò che chi gestisce la sanità pubblica non riesce a
garantire o decide di non garantirlo.
Sanità privata “sostitutiva” del Servizio Sanitario Nazionale?
Si! Prova ne sia, ad esempio, la
decisione di destinare parte dei finanziamenti pubblici, con diverse
modalità, alla sanità privata invece che investirli nella gestione
pubblica per coprire le stesse prestazioni che la sanità privata
offre e che la gestione pubblica accetta di “acquistare”.
Si
va dall’ “acquisto” di pacchetti di singole prestazioni fino
alla divisione dei finanziamenti pubblici destinati ad ogni singola
regione fra sanità pubblica e sanità privata. Oggi siamo già al
cosiddetto “modello lombardo” che mette sullo stesso piano sanità
pubblica e sanità privata con la divisione al 50% dei finanziamenti.
Fermo restando che pure il 50% destinato alla gestione pubblica può
essere utilizzato per acquisto di beni e servizi.
Un modello,
quest’ultimo, fallimentare sotto due punti di vista: perché non
garantisce risparmi rispetto alla spesa pubblica e perchè non
garantisce l’universalità, come si è ben evidenziato nella
criticità della gestione dell’emergenza Covid ricaduta interamente
sul pubblico.
Peraltro è del tutto evidente come la diminuzione
delle strutture pubbliche, dei posti letto e delle prestazioni nel
pubblico siano direttamente proporzionali all’aumento nel
privato.
Sanità pubblica e sanità privata dal 1978, nascita del S.S.N. pubblico ad oggi.
Articolo 46 della legge 883 del 23 Dicembre 1978 costitutiva del Servizio Sanitario Nazionale:, la“mutualità volontaria”, ovvero la “sanità privata integrativa”: “La mutualità volontaria è libera. E' vietato agli enti, imprese ed aziende pubbliche contribuire sotto qualsiasi forma al finanziamento di associazioni mutualistiche liberamente costituite aventi finalita' di erogare prestazioni integrative dell'assistenza sanitaria prestata dal servizio sanitario nazionale. “
Una norma che sanciva il fatto che la sanità privata doveva trovarsi autonomamente finanziamenti al di fuori dei finanziamenti pubblici dedicati alla sanità, con l’ovvio intento che non dovevano essere sottratti finanziamenti alla gestione pubblica e che la sanità privata dovesse essere effettivamente “integrativa” o, al limite, a scelta del cittadino che preferiva il privato al pubblico pagando di tasca sua.
Che fine ha
fatto questa norma?
Oggi assistiamo al fatto che il privato si
finanzia:
- al di fuori del finanziamento pubblico facendo pagare
la prestazione al cittadino l’intera prestazione di tasca sua (i
cittadini italiani spendono di tasca propria per curarsi 41 miliardi,
oltre al finanziamento pubblico di 126 mld che finisce suddiviso fra
pubblico e privato, 2.200 € all’anno per famiglia e 680 a testa)
o attraverso contratti con assicurazioni
- con finanziamenti
pubblici diretti con le Regioni che destinano parte del finanziamento
pubblico al privato o indiretti tramite la “vendita” di
prestazioni alle Aziende o ASL o ad altri Istituti privati sotto
forma di “acquisto di beni e servizi”
- con la
“defiscalizzazione” dei proventi tramite agevolazioni o riduzioni
della pressione fiscale.
C’è un equilibrio nella competitività fra sanità pubblica e sanità privata?
No. Già partendo dal fatto che il pubblico deve
garantire l’universalità delle cure, mentre il privato no (ancora)
dimostra come non ci sia la possibilità di una corretta
compatibilità fra chi deve coprire tutte le prestazioni sanitarie e
chi, invece, può scegliere quali erogare e quali no.
E’ ovvio
che nel primo caso la sanità pubblica deve farsi carico di tutte le
prestazioni, anche quelle ad altissimo costo ed emergenziali, mentre
la sanità privata può scegliere cosa fare e cosa non fare, optando,
ovviamente per le prestazioni a minor rischio e maggiore “resa”.
Ma
oltre a questo la sanità privata non è legata alla serie di norme e
vincoli che ha la sanità pubblica:
- non hai vincoli sul tetto
di spesa per il personale che invece ha il pubblico
- può
assumere direttamente senza concorsi, mentre il pubblico no
- può
assumere o fare contratti di lavoro con personale in pensione,
ovviamente beneficiandone economicamente e non essendo obbligata al
pagamento di oneri contributivi
- può acquistare direttamente
senza gare materiali e macchinari andando direttamente sul mercato
con la formula del miglio offerente, mentre ilo pubblico è obbligato
a gare “centralizzate” a livello regionale che spesso non
rispondono alle vere esigenze dei vari servizi provocando costi
aggiuntivi
- può offrire situazioni lavorative meno “rischiose”
per i suoi operatori e, comunque, meno impegnative giacchè nella
maggioranza dei casi non è obbligata a fornire prestazioni nei
festivi, prefestivi o in regime di reperibilità potendo anche
contare su accordi con gli operatori in merito ad orari di servizio e
numero di prestazioni.
- può contare su operatori che si sono
formati ed hanno acquisito esperienza a spese del pubblico che
decidono di abbandonarlo per passare al privato.
E’ vero che la sanità privata è più efficiente ed efficace di quella pubblica?
Pare
proprio di no, anche solo partendo dalla constatazione che
l’emergenza Covid è stata supportata tutta dal pubblico, peraltro
a scapito delle prestazioni “normali”.
Ma non solo: studi
dettagliati sui servizi sanitari che si basano sul privato, in
particolare quelli più evidenti: quello americano e quello inglese,
pubblicati su autorevoli riviste scientifiche come ad esempio The
Lancet, hanno dimostrato che col privato si alzano i costi, la
percentuale di malattie che si cronicizzano e l’incidenza della
“mortalità evitabile”.
Prendendo ad esempio la sanità degli
USA, che del privato ha fatto un mantra, risultano:
- una spesa
che va oltre il 17% del PIL (mentre in Italia siamo al 6,1 e la
media OCSE si attesta al 7,4%), ma, a fronte di questa enorme spesa,
il 32% dei cittadini è senza copertura sanitaria,
- ci sono 2,8
posti letto e 2,6 medici ogni 1.000 abitanti (mentre la media OCSE si
attesta rispettivamente al 4,4 e 3,6)
-
Il tasso di mortalità evitabile (DEF) in USA è di 265 su 100mila
abitanti, contro i 199 della media OCSE
- la mortalità neonatale
è di 19 su 100mila nascite, rispetto ai 2 dell’Italia,
- Il
10,8% della popolazione adulta soffre di patologie croniche, rispetto
al 6,7% della media.
A
voi le conclusioni. La scelte sono politiche:
-
o si segue l’indicazione dell’OCSE per cui se non si investe in
sanità almeno il 7,4% del PIL (le previsioni del governo Meloni
vanno al 6,1 nel 2025, sotto addirittura all’epoca pre pandemica,
mentre la Germania, che guida la classifica, è al 9,2) o i servizi
sanitari saranno costretti al default
- se si segue il percorso
oramai chiarissimo della “privatizzazione” si andrà
inevitabilmente incontro ai risultati di USA e Gran Bretagna…
Davvero
gli Italiani vogliono così?
Nessun commento:
Posta un commento