09 novembre 2023

SANITA' & SALUTE: Ma è proprio vero che il privato sia meglio che il pubblico per la salute degli italiani di Valter Chiappini

 

In questi ultimi tempi il ricorso alla sanità privata sta diventando una prassi consolidata. Anche in Liguria l'incapacità di gestire le risorse pubbliche sanitarie ha portato a comprendere come il passaggio ad una amministrazione di destra non abbia significato una reale inversione di rotta.


Anzi, le cose si sono aggravate ed oggi non è più possibile dare le colpe " a quelli di prima", quanto prendere consapevolezza che è in atto un cambiamento epocale nell'approccio alla salute e alle cure necessarie con l'introduzione massiccia di una gestione privata che, nella sua pubblicizzazione all'"utente", viene descritta, da parte delle nuove amministrazioni, come la vera, unica panacea per contrastare l'inevitabile diminuzione di risorse verso il pubblico. Qualche giorno fa sul Secolo XIX è stata pubblicata una lettera (che alleghiamo a fine articolo) di Luca Pallavicini, Presidente Nazionale Confcommercio Salute Sanità e Cure, nella quale vengono descritti con particolare enfasi e soddisfazione quei punti dirimenti che dovrebbero porre la sanità privata come vero riferimento futuro, sia in termini di integrazione al pubblico, sia di completa sostituzione. Abbiamo allora chiesto a Valter Chiappini del Manifesto per la Sanità Locale, una valutazione su quanto scritto da Pallavicini e la proponiamo ai cittadini nella speranza di far comprendere quanto sarebbe deleterio e distruttivo continuare a pensare che il privato possa essere, sempre e comunque, l'unica soluzione per la salute degli italiani.




Il ruolo della sanità privata nel Servizio Sanitario Nazionale.

di Valter Chiappini, Manifesto per la Sanità Locale

Quando si discute di sanità pubblica e sanità privata occorre certamente in primis definire la mission delle due parti. Ecco allora la prima distinzione: mentre la mission della sanità pubblica rispecchia fedelmente, pur con le sue pecche, i dettami dell’art. 32 della Costituzione, ovvero “tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”, la sanità privata ha, ovviamente, come mission l’interesse privato e il lucro.

Con la legge 883 del 23 dicembre 1978 fu istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) basato su tre principi cardine: l'universalità, l'uguaglianza e l'equità.
Ed ecco quindi la seconda distinzione: mentre la sanità pubblica rispetta pienamente almeno i primi due principi, la sanità privata, dovendo ottimizzare le sue prestazioni per massimizzare il guadagno, non ne rispetta neppure uno.
La sanità pubblica garantisce l’universalità perché copre tutte le prestazioni sanitarie, garantisce l’uguaglianza dei cittadini, ricchi o poveri che siano garantendo le cure anche agli indigenti, e oggi garantisce l’equità pur non più su base nazionale, avendo spostato l’equità a livello regionale costituendo, di fatto con la modifica del Titolo V della costituzione, 12 diversi Servizi Sanitari disponendo che ogni Regione ha ampi margini di manovra nell’organizzazione del Servizio, nella definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e nella utilizzazione e distribuzione delle risorse umane e finanziarie.
Di contro la sanità privata non garantisce l’universalità, perché, di fatto, sceglie cosa fare e cosa non fare, non garantisce l’uguaglianza, perché, a meno che non sia il Servizio pubblico a coprire la prestazione, non accetta chi non può pagare, tantomeno, quindi, garantisce l’equità neppure su base locale.

Sanità privata “integrativa” o “compensativa” del Servizio Sanitario Nazionale?

No! A meno che non si voglia stravolgere il significato di queste parole prendendo come assunto che la sanità pubblica dovrebbe coprire interamente almeno le esigenze minime dei cittadini.
Per integrativo o compensativo si intende qualcosa che qualcosa che va in aggiunta a quello che dovrebbe garantire il SSN pubblico, ma oggi è chiarissimo che non sia così e che la sanità privata, nella stragrande maggioranza dei casi, vada a sostituire, a sua scelta, ciò che chi gestisce la sanità pubblica non riesce a garantire o decide di non garantirlo.

Sanità privata “sostitutiva” del Servizio Sanitario Nazionale?

Si! Prova ne sia, ad esempio, la decisione di destinare parte dei finanziamenti pubblici, con diverse modalità, alla sanità privata invece che investirli nella gestione pubblica per coprire le stesse prestazioni che la sanità privata offre e che la gestione pubblica accetta di “acquistare”.
Si va dall’ “acquisto” di pacchetti di singole prestazioni fino alla divisione dei finanziamenti pubblici destinati ad ogni singola regione fra sanità pubblica e sanità privata. Oggi siamo già al cosiddetto “modello lombardo” che mette sullo stesso piano sanità pubblica e sanità privata con la divisione al 50% dei finanziamenti. Fermo restando che pure il 50% destinato alla gestione pubblica può essere utilizzato per acquisto di beni e servizi.
Un modello, quest’ultimo, fallimentare sotto due punti di vista: perché non garantisce risparmi rispetto alla spesa pubblica e perchè non garantisce l’universalità, come si è ben evidenziato nella criticità della gestione dell’emergenza Covid ricaduta interamente sul pubblico.
Peraltro è del tutto evidente come la diminuzione delle strutture pubbliche, dei posti letto e delle prestazioni nel pubblico siano direttamente proporzionali all’aumento nel privato.


Sanità pubblica e sanità privata dal 1978, nascita del S.S.N. pubblico ad oggi.


Articolo 46 della legge 883 del 23 Dicembre 1978 costitutiva del Servizio Sanitario Nazionale:, la“mutualità volontaria”, ovvero la “sanità privata integrativa”: “La mutualità volontaria è libera. E' vietato agli enti, imprese ed aziende pubbliche contribuire sotto qualsiasi forma al finanziamento di associazioni mutualistiche liberamente costituite aventi finalita' di erogare prestazioni integrative dell'assistenza sanitaria prestata dal servizio sanitario nazionale. “

Una norma che sanciva il fatto che la sanità privata doveva trovarsi autonomamente finanziamenti al di fuori dei finanziamenti pubblici dedicati alla sanità, con l’ovvio intento che non dovevano essere sottratti finanziamenti alla gestione pubblica e che la sanità privata dovesse essere effettivamente “integrativa” o, al limite, a scelta del cittadino che preferiva il privato al pubblico pagando di tasca sua.

Che fine ha fatto questa norma?
Oggi assistiamo al fatto che il privato si finanzia:
- al di fuori del finanziamento pubblico facendo pagare la prestazione al cittadino l’intera prestazione di tasca sua (i cittadini italiani spendono di tasca propria per curarsi 41 miliardi, oltre al finanziamento pubblico di 126 mld che finisce suddiviso fra pubblico e privato, 2.200 € all’anno per famiglia e 680 a testa) o attraverso contratti con assicurazioni
- con finanziamenti pubblici diretti con le Regioni che destinano parte del finanziamento pubblico al privato o indiretti tramite la “vendita” di prestazioni alle Aziende o ASL o ad altri Istituti privati sotto forma di “acquisto di beni e servizi”
- con la “defiscalizzazione” dei proventi tramite agevolazioni o riduzioni della pressione fiscale.


C’è un equilibrio nella competitività fra sanità pubblica e sanità privata?



No. Già partendo dal fatto che il pubblico deve garantire l’universalità delle cure, mentre il privato no (ancora) dimostra come non ci sia la possibilità di una corretta compatibilità fra chi deve coprire tutte le prestazioni sanitarie e chi, invece, può scegliere quali erogare e quali no.
E’ ovvio che nel primo caso la sanità pubblica deve farsi carico di tutte le prestazioni, anche quelle ad altissimo costo ed emergenziali, mentre la sanità privata può scegliere cosa fare e cosa non fare, optando, ovviamente per le prestazioni a minor rischio e maggiore “resa”.
Ma oltre a questo la sanità privata non è legata alla serie di norme e vincoli che ha la sanità pubblica:
- non hai vincoli sul tetto di spesa per il personale che invece ha il pubblico
- può assumere direttamente senza concorsi, mentre il pubblico no
- può assumere o fare contratti di lavoro con personale in pensione, ovviamente beneficiandone economicamente e non essendo obbligata al pagamento di oneri contributivi
- può acquistare direttamente senza gare materiali e macchinari andando direttamente sul mercato con la formula del miglio offerente, mentre ilo pubblico è obbligato a gare “centralizzate” a livello regionale che spesso non rispondono alle vere esigenze dei vari servizi provocando costi aggiuntivi
- può offrire situazioni lavorative meno “rischiose” per i suoi operatori e, comunque, meno impegnative giacchè nella maggioranza dei casi non è obbligata a fornire prestazioni nei festivi, prefestivi o in regime di reperibilità potendo anche contare su accordi con gli operatori in merito ad orari di servizio e numero di prestazioni.
- può contare su operatori che si sono formati ed hanno acquisito esperienza a spese del pubblico che decidono di abbandonarlo per passare al privato.

E’ vero che la sanità privata è più efficiente ed efficace di quella pubblica?



Pare proprio di no, anche solo partendo dalla constatazione che l’emergenza Covid è stata supportata tutta dal pubblico, peraltro a scapito delle prestazioni “normali”.
Ma non solo: studi dettagliati sui servizi sanitari che si basano sul privato, in particolare quelli più evidenti: quello americano e quello inglese, pubblicati su autorevoli riviste scientifiche come ad esempio The Lancet, hanno dimostrato che col privato si alzano i costi, la percentuale di malattie che si cronicizzano e l’incidenza della “mortalità evitabile”.
Prendendo ad esempio la sanità degli USA, che del privato ha fatto un mantra, risultano:
- una spesa che va oltre il 17% del PIL (mentre in Italia siamo al 6,1 e la media OCSE si attesta al 7,4%), ma, a fronte di questa enorme spesa, il 32% dei cittadini è senza copertura sanitaria,
- ci sono 2,8 posti letto e 2,6 medici ogni 1.000 abitanti (mentre la media OCSE si attesta rispettivamente al 4,4 e 3,6)
- Il tasso di mortalità evitabile (DEF) in USA è di 265 su 100mila abitanti, contro i 199 della media OCSE
- la mortalità neonatale è di 19 su 100mila nascite, rispetto ai 2 dell’Italia,
- Il 10,8% della popolazione adulta soffre di patologie croniche, rispetto al 6,7% della media.


A voi le conclusioni. La scelte sono politiche:



- o si segue l’indicazione dell’OCSE per cui se non si investe in sanità almeno il 7,4% del PIL (le previsioni del governo Meloni vanno al 6,1 nel 2025, sotto addirittura all’epoca pre pandemica, mentre la Germania, che guida la classifica, è al 9,2) o i servizi sanitari saranno costretti al default
- se si segue il percorso oramai chiarissimo della “privatizzazione” si andrà inevitabilmente incontro ai risultati di USA e Gran Bretagna…
Davvero gli Italiani vogliono così?






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