Mi domando se tutti i sarzanesi conoscano l'area di Silea gestita da ACAM Ambiente S.p.A., società operativa del Gruppo IREN e principale gestore del ciclo integrato dei rifiuti nella provincia della Spezia. Cosa sia Iren lo apprendiamo dalla definizione di Wikipedia:
" Iren S.p.A. è una società per azioni italiana, operante quale multiservizi, in particolare nella produzione e distribuzione di energia elettrica, nella distribuzione di gas, nei servizi di teleriscaldamento (di cui è il maggior operatore italiano), nella gestione dei servizi idrici integrati, dei servizi ambientali e tecnologici". Amen
Già di per sè, nella lettura di tale roboante definizione si può cogliere la mancanza del termine Rifiuti, abilmente mascherato sotto la voce servizi ambientali, quasi che, nel numeroso elenco dei servizi, l'afrore, la puzza della materia prima potesse dare noia al cittadino che, nella sua disponibilità finanziaria, abbia voluto dare fiducia a questa S.p.a. Ma non vorrei essere frainteso, nell'incipit di queste poche ironiche righe, sul pensiero mio personale verso la costruzione di simili soggetti economici. I tempi, come si sa, sono maturi, per questi mastondonti giganteschi dove, nel carrello della loro spesa, possono essere scelti i più disparati servizi. Lo spessore economico e finanziario, evidentemente, raggiunge vette inaudite, permettendo così ai dirigenti di intascare succosi stipendi e di poter pagare lauti dividendi ma con servizi che possono lasciare molto a desiderare.
Vi chiederete cosa c'entra tutto ciò con l'incipit iniziale riguardo Silea che sì, appartiene ad Iren, ma come tutte le cose locali si "appoggia" sul Comune ed entra, per così dire, nella vita di tutti i giorni di noi cittadini. Il sottoscritto ha da tempo rapporti amichevoli con questo ameno luogo a causa di circa trecento metri quadrati di giardino dove lo sfalcio del prato e il ridimensionamento continuativo di una cinquantina di metri di siepe si esprime in un inevitabile pellegrinaggio con il proprio mezzo privato a depositare in situ erba e rami di pittosporo (lo standard sono circa sette sacconi di sfalci per riempire con un viaggio la mia auto). Occorre certamente notare l'evidente passaggio tra il caos primevo della gestione Acam, carico di improvvisazione e di poca attenzione quando, entrando in quel luogo, la differenziazione dei materiali era una strana chimera magica, sostanzialmente ignorata, ma poi con l'arrivo di Iren e i molti obblighi di legge entrati in vigore, il pellegrinaggio si è trasformato in una precisa sequenza che iniziava con il controllo alla sbarra, con documento alla mano, scarpe in costante notazione e, come nell'abbazia di Montecassino, si doveva entrare non in abiti succinti (leggi calzoncini corti) o si veniva rimandati indietro se si osava calpestare il luogo con ciabatte di varia fattura. Il personale, diligente, ti accompagnava con educazione e ti consigliava dove gettare i vari oggetti e le rumente varie trasportate. C'è da chiedersi ( o forse no) perchè molti pessimi cittadini preferiscano liberarsi dei propri ingombranti ai Bozi o lungo il fiume Magra, vista la facilità con la quale si può essere cittadini modello nel frequentare Silea. Ma, come tutte le favole, lentamente, qualcosa ha cominciato a non funzionare più. Proprio in questi giorni qualcosa nei meccanismi ha cominciato ad incepparsi, producendo una crisi evidente.
Rimane, credo lapalissianamente, il fatto che d'estate gli sfalci crescano grandemente di quantità e se prima, nel caos della mancanza di regole, il verde o veniva bruciato in ogni luogo o disseminato per i campi, da tempo si è creato quella sorta d'imbuto che costringe noi, malcapitati possessori di un giardino, a fare visita al Centro di Silea. Come ho già detto, il personale ha continuato indefessamente a lavorare e ad accogliere con garbo gli utenti, ma nell'evidente incapacità di qualche dirigente di Iren e del Comune a comprendere la situazione sempre più satura di futuri casini nell'ambito dello smaltimanto del verde.
Ma andiamo con ordine. Innanzi tutto, all'interno del luogo, il grosso cassone dove vengono gettati gli sfalci aveva trovato da sempre una sua collocazione naturale in basso rispetto ad una elevazione naturale, cosicchè a noi cittadini veniva facilitato il compito quando, parcheggiata la vettura in alto, rovesciavamo il contenuto dei sacchi all'interno di quel contenitore. Grande invenzione la forza di gravità anche perchè molti di noi, non più nel fiore degli anni, faticano sotto il sole cocente o la pioggia in questo gravoso compito che, pare da regolamento, dobbiamo compiere in solitudine, mentre i vari addetti ci osservano caso mai avessimo la malaugurata idea, gravissima, di gettare il sacco intero senza vuotarlo. Ogni volta l'attesa alla sbarra si faceva sempre più lunga, il ribaltamento dei sacchi avveniva in simpatica compagnia di molti altri amici (il senso di solidarietà tra faticatori è sempre presente) con il risultato, di riempire il cassone sempre più velocemente. Non sò a chi è venuta l'idea rivoluzionaria di procurare un'altro cassone per gli sfalci, certamente qualche dirigente più lesto nel cogliere al volo la situazione, ma dimenticando un tragico effetto collaterale perchè il dislivello, all'interno del Centro, era unico. Quindi, il nuovo cassone faceva bella mostra di se nel piazzale. Dapprima si entrava nel cassone stesso, imbrattandosi alla grande e rovesciando gli sfalci sul pavimento, poi, nel momento nel quale l'ingombro era massimo, veniva posta una scaletta accanto al cassone e l'utente, previa prova da sforzo, si arrampicava sui gradini con sacco a tergo e, sempre grazie alla forza di gravità provocata così, artigianalmente, gettava dall'alto il contenuto del sacco. Mirabile esempio di ginnastica per tutti, uomini, donne, anziani sempre, ovviamente, osservati dagli addetti, forse pronti ad intervenire in caso di ruzzolone. Qualcuno osò osservare la problematicità del compito per le persone di una certa età. Gli venne risposto con una citazione di un dirigente comunale che, interpellato dagli stessi addetti riguardo alle proteste, per questa atletica soluzione aveva fatto notare che le vecchiette al cimitero di Sarzana si arrampicano sulle scale per mettere i fiori nei loculi più alti senza alcuna fatica e senza lamentazioni. Una risposta degna della più alta considerazione verso il proprio prossimo che fà ben sperare per l'operato della consigliatura in toto. Ma l'utenza sarzanese del verde non trovava più requie ed è di questi giorni il crollo della galassia centrale (parafrasando Asimov che di fantascienza come Silea se ne intendeva).
Arrivo mercoledi dell'altra settimana alla sbarra che, tra l'altro, a pensarci, fa molto check point Charlie a Berlino est durante la guerra fredda e viene detto con poche, sbrigative parole, per tutta la fila degli sfalciatori, che i cassoni sono pieni e gli autocarri non si sono presentati a ritirarli, dunque non c'è modo di lasciare i sacchi. Si torna a casa un poco contrariati, sono cose che possono accadere, si scarica allegramente la mercanzia verde nuovamente nel proprio giardino. Tra parentesi da luglio dello scorso anno non poteva mancare la prenotazione obbligatoria (disattesa da molti) sull'ovvia app Iren (come per gli algoritmi, oggi, fare a meno delle app ti riduce a livello di un Boshimane del Kalahari). Il giorno dopo, dopo l'assicurazione del giorno prima, ricarico la mia auto, standard sette sacchi, profumo di erba tagliata e sfalci in leggero imputridimento ma sopportabile, torno alla sbarra di Silea. Orrore, oggi la strada è tappezzata di cartelli improvvisati ( uno, ovviamente, anche sulla sbarra) che ci dice ancora tutto pieno, non si scarica nulla. Ho un moto di rabbia, voglio scaricare ad ogni costo, ma vengo ricondotto alla ragione dagli inservienti che, ancora una volta consigliano di andare dai dirigenti Iren e in Comune a protestare. Ritorno a casa, scarico nuovamente gli sfalci, imprecando contro l'inqualificabile azienda, mentre i sacchi cominciano a sfaldarsi e il marcio avanza. Decido comunque di aspettare la settimana nuova e mi ripresento la mattina presto del martedi scorso, pimpante e quasi sicuro, finalmente, di liberarmi della mia zozzeria biologica. Prenotato ore 8 e15, in fila regolare, felice anche di odorare l'aria del vicino depuratore, carica di perigliosi miasmi. Scattano le otto e, kafkianamente, gli inservienti cominciano nuovamente ad appiccicare il loro terribile mantra sulla sbarra e sulle cancellate. Tutto pieno, il verde non è accettato. La rabbia di molti è percepibile chiaramente, un signore non ne può più e quasi implora in ginocchio che il suo sacco di erba venga accettato. Ma nulla smuove i controllori, oramai assurti a nostri carnefici. Ci spiegano tra urla e vari contrasti con gli utenti che il giorno prima la quantità dissennata di verde ha saturato da subito i cassoni e i camion per ritirarli non si sono visti. Chiamato il centro di Castelnuovo, stessa solfa. Dovete rivolgervi ai responsabili sono le loro ultime urlate parole, in un rigurgito privo di una qualsivoglia comprensione. Non mi resta dunque che scaricare qualche latta di vernice, del polistirolo e un miserabile pannello di metallo, aggiunti ai malefici sette sacchi che gongolano, ancora salvi, nell'interno della mia macchina, aspettando, beati il ritorno a casa. Non ho potuto non chiamare un amico giornalista per raccontargli tutte le mie peripezie. Spero che qualcosa si muova. Nel frattempo ho cominciato ad avere in odio la mia siepe di pittosporo che, oramai incontrollata, si è alzata in altezza, deridendo ogni mio tentativo di ridimensionarla. Come aspettando Godot, l'amico giardiniere pare essersi dimenticato delle mie preghiere e dei miei richiami. Neppure con l'intercessione del mio idraulico, suo grande amico, ho potuto raggiungerlo. Digli che gli telefono, sono state le sue ultime parole.
Sera, mercoledi successivo, tengo il telefono a portata di mano, riducendomi, oramai, come un consumatore provetto, che risponde a tutto, anche alla pubblicità del mangiare dei cani o al consigliato cambiamento telefonico di qualche gestore di telefonia mobile del Congo. Fuori, nei pressi della veranda, i sette sacchi nel loro angolo dedicato non solo mi deridono ma ho avuto come il sentore che si muovessero, si agitassero. Strane scie di luce si agitano nel cielo, forse il giorno dei trifidi è arrivato...
Signore, ti prego, dacci la nostra Silea quotidiana
Giorgio Giannoni
Nessun commento:
Posta un commento