10 luglio 2025

FANTASCIENZA - DA KAREL THOLE A FRANCO BRAMBILLA: Rotta verso l'ignoto

Franco Brambilla e Karel Thole
                         

In questi giorni ricorre l'anniversario dei 25 anni di presenza creativa nella rivista Urania da parte di uno dei migliori illustratori italiani e non solo: Franco Brambilla.



Non ho il piacere di conoscerlo personalmente ma ho l'onore di avere la sua amicizia su facebook e dunque ogni tanto interscambiamo qualche like su un genere, quello fantascientifico letterario, che trova, ancora oggi una sua dimensione, sebbene ridotta rispetto ai fasti degli anni '60 o '70 (anche '80, via) dello scorso secolo. Volevo, allora, da subito, fare grandi auguri e congratulazioni a Franco e raccontare alcune cose che, casualmente, mi hanno avvicinato al suo lavoro. 

Dunque, il sottoscritto (al settantunesimo giro del pianeta) ha continuato ad acquistare saltuariamente Urania (dopo i fasti di quegli anni citati e della quale avevo una folta raccolta, come anche di Cosmo Oro o Argento) non solo grazie alla lettura di presentazioni o di saggi o di recensioni ma guidato anche dalle copertine che, lo debbo dire, a fine secolo, sono state un grande susseguirsi di illustratori di ogni tipo con impaginazioni anche discutibili, sebbene il lavoro editoriale del compianto Giuseppe Lippi sia stato eccellente sotto molti punti di vista. Poi è arrivato definitivamente Franco Brambilla. Non è piaggeria la mia, tra l'altro non mi intendo di disegno, nè di illustrazioni digitali, ma solo la constatazione che la sua bravura è accattivante e seducente nel cogliere l'essenza e lo spirito della science fiction e delle sue connotazioni più profonde. Solo un'altro, immenso illustratore era capace di tale sintesi: Karel Thole, che nelle sue tavole surreali e molte volte espressioniste riusciva a cogliere il nucleo profondo che avrebbe unito il lettore al testo. Si innescava e tutt'oggi accade ancora con Franco Brambilla, una sorta di triangolazione che rendeva la rivista (ci tengo a questo termine) un qualcosa di prezioso da maneggiare, da sentire proprio, ancora prima di immergermi nella lettura di qualcosa di sconosciuto ma anche nel riappropiarmi di un testo già perso nei meandri della memoria.

Mi sono infatti riproposto di scrivere qualche cosa proprio nel guardare con occhi meravigliati la splendida tavola che illustra l'intrigante Naufragio sul pianeta Darkover di Marion Zimmer Bradley (oggi Naufragio sulla Terra di Darkover), uscito proprio in questi giorni in edicola nella ristampa di Urania. Libro che possedevo nella mia biblioteca Nord ma oramai perso per raggiunti limiti di muffa (come la mia vecchia raccolta di Urania) e del quale, da sempre, ho amato l'incipit; frasi che racchiudevano in sè tutta la tragedia del naufragio su un pianeta illuminato da un sole rosso, unite però già al senso umano dello stringersi a sè, della salvazione nel pericolo, della paura dell'ignoto: 

Il carrello di atterraggio era quasi l’ultima delle loro preoccupazioni, ma rendeva seriamente problematico l’entrare e l’uscire. La grande astronave giaceva inclinata con un angolo di quarantacinque gradi, con le scalette di uscita e gli scivoli che non arrivavano fino al terreno e gli sportelli che non portavano da nessuna parte. Non avevano ancora valutato tutti i danni, non del tutto, ma si stimava che metà degli alloggi dell’equipaggio e tre quarti delle sezioni per passeggeri fossero inabitabili.

Era già stata costruita in tutta fretta una mezza dozzina di rifugi rudimentali, come pure era stata eretta una tenda che fungeva da ospedale da campo. La maggior parte di essi erano stati fabbricati con rivestimento plastico e con ceppi ricavati da alberi resinosi che crescevano sul posto, tagliati con seghe elettriche e con l’equipaggiamento da costruzione preso dai materiali di scorta per i coloni. Tutto questo aveva avuto luogo nonostante le proteste del capitano Leicester; il quale aveva ceduto solo di fronte a un cavillo di carattere tecnico: i suoi ordini erano assoluti quando la nave era nello spazio; ma su un pianeta, il comando spettava al Corpo di Spedizione Coloniale.

Il fatto che quello non fosse il pianeta giusto era un lato tecnico che nessuno era ancora in grado di valutare...



SINOSSI

 Alla fine del ventunesimo secolo, una nave spaziale in viaggio verso una colonia terrestre si ritrova in una regione poco conosciuta dello spazio ed è costretta a un atterraggio di emergenza su un pianeta che orbita attorno a una gigante rossa, al limite esterno della galassia. Persi i contatti con la Terra, l'equipaggio realizza che un salvataggio è ormai impossibile. Non resta che cercare di colonizzare il pianeta sconosciuto. Con tutto ciò che questo comporta...

Un libro sognante con diramazioni fantasy, ma dopo il quale ho preferito non continuare l'immensa saga che ne è derivata, forse troppo lontana dalle mie visioni più introverse e speculative.

Nel leggere questo articolo su Franco Brambilla ho notato che una sua copertina  dedicata a J.G.Ballard ha aperto, nel 1996, le porte di due collane Mondadori alla sua pluridecennale mano d'artista, e questo mi rende ancora più contento. Nel mio inizio universitario la fantascienza ha trovato posto, quasi paradossalmente, nelle vecchie tradotte delle Ferrovie dello Stato che facevano la spola giornaliera tra Sarzana, la mia residenza in provincia della Spezia, con Pisa. Leggere la rivista in questi viaggi "steampunk" da estetica retrofuturista, ha avuto come epifania il celeberrimo Deserto d'acqua (The drowned world, 1962) di James Graham Ballard, acquistato e letto nei due tragitti di andata e ritorno di un giorno di luglio del millenovecentosettantaquattro, votandomi per sempre lettore intemerato di ogni testo dello scrittore fantasurrealista per eccellenza. Anche qui, e per la prima volta, il connubbio tra la copertina di Karel Thole e lo spettacolare inizio del libro, oggi conosciuto come Il Mondo Sommerso, è stato totale:

Fra breve il caldo sarebbe diventato insopportabile. Affacciato al balcone dell’albergo, poco dopo le otto, Kerans guardò il sole levarsi fra i fitti cespugli di gimnosperme giganti che crescevano sui tetti dei grandi magazzini abbandonati, quattrocento metri più in là, sulla sponda orientale della laguna. Anche attraverso il fittissimo schermo delle foglie verde-marcio, il calore del sole era implacabile. I raggi riflessi martellavano il petto e le spalle scoperte di Kerans facendolo sudare, e dovette mettere un paio di grossi occhiali scuri per proteggersi. Il disco del sole non aveva più un contorno definito. Era diventato un’ampia ellissi che si allargava sempre più sopra l’orizzonte orientale, simile a un’enorme sfera di fuoco. Con il suo splendore trasformava la superficie plumbea e senza vita della laguna in una lastra di rame scintillante. A mezzogiorno, solo quattro ore più tardi, l’acqua avrebbe assunto l’aspetto di fuoco liquido..."


La ristampa di Deserto d'acqua nel 1974

 
La prima edizione italiana di
Deserto d'acqua nel 1963

Ho avuto occasione, molti anni fa, di visitare una mostra di Karel Thole a Pontremoli (MS) e fu veramente una bella esperienza. Spero di riuscire a vederne una di Franco Brambilla.

Lunga vita e prosperità

Giorgio Giannoni

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