"A rivederci in altri luoghi magici"
Arianna Frediani
Ancora una volta il caso sottolinea la propria insensibile presenza. Passando, ieri, dal Mulino dei Libri era mia intenzione, ahimè, salutare Arianna per il suo improcrastinabile abbandono dell'attività, con la chiusura della libreria il dieci aprile prossimo. Volevo acquistare uno degli ultimi libri e chiedere ad Arianna che vi scrivesse, a mò di saluto, un sua frase, una sorta di ricordo per la lunga frequentazione nella sua libreria.
Il libro era : "Nanni Moretti, immagini e speranze di una generazione" di Giovanni Scipioni. Oggi, leggo del problema cardiaco del grande regista (fortunatamente non grave) e non posso non interrogarmi su questa coincidenza/disavventura di Nanni (che ho avuto occasione di conoscere durante l'esperienza dei Girotondi), sul titolo del libro e, appunto, sulla chiusura di una libreria, simbolo, per eccellenza (assieme alla nostra musica e a molti film, aggiungerei) di anni particolarmente buoni e di una generazione oramai alla fine (il sottoscritto e Nanni Moretti hanno 71 anni).
Vorrei subito sottolineare la mia volontà di non parlare di eventuali responsabilità locali sull'ultima chiusura di una attività a Sarzana. L'addio del Mulino dei Libri, dunque di una libreria che non ho nessuna difficoltà a definire storica, pone degli interrogativi e delle evidenze che vanno molto al di là del locale, sebbene, ovviamente, si traducano per la proprietaria in una debacle che ha a che fare, in primis, con problemi economici ed esistenziali e rappresenti, di fatto, un altro numero in uscita in aggiunta alla lunga serie di abbandoni del commercio sarzanese. Arianna Frediani ha dovuto prendere atto, sulla propria pelle, di come la società abbia profondamente modificato i propri meccanismi culturali che, da tempo, sono in linea con il decadimento strutturale che la società occidentale ha intrapreso dai momenti della scelta liberista e globalizzante di qualche decennio fa. Noi, vecchi boomers, abbiamo avuto una doppia fortuna a nascere in un periodo che, pur originando, da una guerra devastante, aveva permesso una crescita felice ad un intera generazione. In primo luogo i nostri genitori hanno avuto la lungimiranza (pur avendo magari origini umili e modeste) di guardare lontano nel volere che i propri figli studiassero per poter offrire quello che a loro era stato negato dalle proprie famiglie e dalla pessima contingenza esistenziale. In secondo luogo i fermenti della società di quel tempo rappresentavano un crogiuolo e una spinta alla curiosità e alla ricerca personale più articolata e strutturata in un momento di epocali rivolgimenti (e non parlo solo del '68). Se la scuola, pur muovendosi su binari ancora arretrati, è riuscita a formare le nostre coscienze e dove comunque i libri hanno rappresentato da sempre un mondo di meravigliose alternative ad una realtà peraltro abbastanza claudicante, tutta la realtà concorreva a farci introitare una visione del mondo aperta e inclusiva, fonte di dubbi, di messa in discussione, di certezze solidali e rispettose della vita altrui. Dalla televisione di Stato, organizzata non solo ad informare e divertire ma anche a insegnare, alla raccolta delle figurine, nel loro ingenuo, divertente ma utile nozionismo, alla piena socialità dei giochi, dove si cresceva e ci si confrontava nel bene e e nel male, alla nuova musica dei giovani che apriva nuove sensibilità e incredibili rispondenze, gli anni sessanta e settanta, con tutti i loro problemi ma anche con il loro potere catartico di una nuova epifania, sono stati, per noi giovani, un luogo e un tempo di febbrili aspettative, di curiosità smodata, di fiducia verso un futuro che immaginavamo comunque a portata di mano per vivere, almeno dignitosamente, la nostra vita. In questo contesto i libri hanno, da sempre, rappresentato un punto ineludibile, uno specchio della realtà, una necessità valoriale, un luogo dell'invenzione che, inevitabilmente, si prestavano egregiamente a lanciare occhiate di critica o di accoglimento della realtà che ci circondava oppure potevano divertirci e aiutarci nel superare momenti di sconforto o di abbattimento.
Poi sono arrivati gli anni dell'elettronica, della finanziarizzazione spietata, dell'economia incontrollata, dell'esagerazione consumistica dove l'inconscio, costretto fino a quel momento al silenzio da una società dignitosa, democratica, capace di operare scelte complesse nelle proprie strutture e arginare gli estremismi, novello Lucignolo, ha cominciato a indicare il nuovo Paese dei Balocchi, dove, le nuove generazioni, assetate di divertimento e di edonismo si sono gettate a gran voce. E' stato una cambio epocale che, ovviamente, non poteva che mettere da parte i nostri (di noi vecchi boomers)semplici e primitivi approcci alla vita, sostituendoli con orpelli ben più sofisticati e divertenti ma capaci di mascherare, nel loro rutilante travestimento, quello che la società perdeva in qualità intellettuale, in cultura ma anche nella qualità dei beni quotidiani, nei rapporti con le persone. Oggi viviamo nei social, nei supermercati, nei gran bazar, nei bricocenter dove vige la corsa al superfluo, all'abbassamento della qualità di ogni prodotto necessario alla vita, alla semplificazione di ogni diversità, ad una continua omologazione al ribasso. Luoghi che hanno letteralmente sostituito la centralità del borgo e dismesso gradualmente la preziosa ragnatela di socialità intessuta nel passato tra le comunità con queste ultime da tempo in crisi di identità, immerse nell'etere elettronico a rincorrere le proprie paranoie. Anche l'immensa pletora di televisioni, lontane da un passato glorioso, sono diventate vere rappresentazioni della fatuità odierna, capaci di agire da volano per l'insensata rappresentazione dell'odierna società, per le inique e innaturali speculazioni su una cronaca carica di evidenti, terribili scene di una decadenza sociale inarrestabile.
Tutto ciò, in genere soddisfa le classi lavoratrici ben contente, nella maggior parte dei casi, di appagare il bisogno compulsivo e soddisfacente del continuo accapparamento quotidiano o di godere di una morbosità senza confini. Assistiamo, in definitiva, al cambiamento di aspetto e di sostanza di una società che ha trovato nuova linfa e nuovo slancio nell'elevare a potenza la superficialità più becera, la consuetudine più ripetitiva, la saccenza più noiosa. Si crede, inopinatamente di sapere tutto, di conoscere ogni cosa, si sbeffeggia la cultura e i suoi libri, la scienza, la complessità del mondo, immaginando che per esistere sia bastevole scorrere le pagine di un cellulare, di praticare un qualsiasi lavoro (mal pagato), possedere un auto sotto casa o aspirare ad un posto nei concorsi canori televisivi o una crociera nella miglior cabina delle cosidette grandi navi. La chiusura delle librerie, allora, assume il significato di un simbolo, è la caduta dell'ultimo bastione, l'arrendersi dell'ultima ridotta. Librerie come erano una volta, luogo di incontro, di scambio di conoscenza, di divertenti siparietti di amicizia, di presentazione di romanzi e di saggi, di circolazione di idee e di principi rappresentano, nella loro perdita, l'evidente rifiuto di pluralismo, di opinioni diverse, di vedute del mondo contrastanti e la definitiva accettazione di un pensiero omologante, caro al populismo più retrivo e conformista. Le librerie sono state la versione culturale delle vecchie botteghe e di quel tessuto cittadino che oggi, noi boomers, guardiamo con una certa nostalgia ma nella consapevolezza che non sarà più così e che le cose dovranno cambiare ulteriormente.
Dunque, onore ad Arianna Frediani, più giovane di noi, che è stata capace, nella sua attività, di raccogliere il testimone di una visione del mondo diversa, più semplice e più pacata, portando avanti la sua attività con forza e con quella consapevolezza di dover lottare contro un cambiamento epocale, travolgente, inusitato, dimostrando alla città che l'impegno per una visione più solidale, partecipativa e comunitaria può appartenere alla dimensione del lavoro di tutti i giorni, quello necessario, come indica la Costituzione, per il proprio mantenimento. Sono sicuro che Arianna troverà altri modi, altre esperienze dove mettersi in gioco, essendo tipo da non abbattersi, ne di piangere sulle proprie disgrazie. Facciamole gli auguri per un futuro migliore, qualunque esso sia, e facciamo nostre le parole che, ieri,ha voluto scrivere sul libro di Nanni: "A rivederci in altri luoghi magici"
Giorgio Giannoni
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