Viviamo immersi in un ritmo frenetico, convinti che ogni passo ci avvicini a qualcosa di importante. Ci affanniamo, competiamo, ci misuriamo con gli altri, senza fermarci a chiedere se tutto questo abbia davvero un senso.
Eppure, basta distaccarsi un attimo, guardare il mondo dall’alto, per vedere l’assurdità della corsa. Troppo spesso ci lasciamo consumare da illusioni: il successo, il confronto, l’invidia che avvelena più di qualsiasi sconfitta.
Ma la vita è più di questo. È fatta di scelte, di prospettive, di consapevolezze che ridimensionano l’affanno e permettono di trovare ciò che davvero conta. Questo è un invito a guardare oltre, a riflettere sulla corsa cieca e su ciò che, invece, potrebbe dare senso al nostro tempo.
Dall’alto, tutto si riduce a un brulichio confuso.
Un esercito di esseri minuscoli che si affanna, si spintona, si divora per un pezzo di qualcosa che, visto da qui, non vale niente. Si rincorrono, come formiche in un labirinto senza uscita, convinti che esista una meta, un premio, un senso.
Ma la corsa è vuota, il traguardo è un’illusione.
Ci si sbrana per un posto in più, per un’idea di successo che sfugge appena sembra vicina. Si baratta dignità per un po’ di potere, si vendono amicizie per un vantaggio, si costruiscono imperi di sabbia che crollano al primo vento.
Si muore ogni giorno, un pezzo alla volta.
Muore la spontaneità, soffocata dall’esigenza di essere adeguati. Muore la bellezza, svenduta per un'esistenza conforme. Muore il tempo, divorato da scadenze, da doveri, da obblighi che non lasciano spazio a nulla che sia realmente vivo.
Ma vivere non significa fuggire da tutto questo. Non significa estraniarsi, disprezzare la folla, guardare il mondo con sufficienza.
Vivere è scegliere cosa conta.
Non tutto è vuoto, non tutto è inutile. Ci sono battaglie che meritano di essere combattute, legami che valgono più di qualsiasi affanno, gesti che danno significato al tempo che ci viene concesso.
Conta guardarsi negli occhi e capire senza parlare. Conta lavorare per qualcosa che non si può comprare né vendere. Conta costruire, non per dominare, ma per lasciare qualcosa che duri oltre il proprio nome. Conta fermarsi, respirare, essere presenti.
E conta, soprattutto, cercare la felicità.
Non quella che si misura con oggetti, con conti in banca, con riconoscimenti altrui.
Ma quella che nasce da dentro, che si trova nelle piccole cose, che cresce ogni volta che si smette di guardare ciò che manca e si inizia a valorizzare ciò che c’è.
Perché l’infelicità spesso non deriva dalla vita in sé, ma da come la si guarda.
Si passa il tempo a lamentarsi di ciò che va storto, di ciò che non si ha, di ciò che qualcuno ha più di noi, ma basterebbe fare un giro negli ospedali, vedere chi lotta ogni giorno per un respiro, chi si aggrappa alla vita con una forza che molti neanche conoscono.
Basterebbe osservare chi vive con disabilità e non si arrende, chi affronta ostacoli ogni giorno ma non scarica la propria infelicità sugli altri, chi lotta senza recriminare, senza guardare con odio chi ha più fortuna.
L’invidia avvelena, logora, consuma. Fa perdere tempo a chi si lamenta mentre la vita scorre e non aspetta nessuno.
Chi invece sa guardare dall’alto ridimensiona tutto. Capisce che l’importante non è avere più degli altri, ma vivere ogni giorno scegliendo ciò che conta.
Non vincere, non arrivare, non accumulare, ma vivere, senza spreco, senza veleno, senza rimpianto.
Monica Faridone
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