23 aprile 2022

INCONTRO CON PAOLO CREPET-I SUOI LIBRI: "Sfamiglia" 2009

 

Nell'avvicinarsi alla serata con Paolo Crepet, noto psichiatra, sociologo, scrittore presentiamo una serie di suoi libri che coprono vari argomenti di carattere socio-familiare. Lo facciamo per meglio inquadrare il personaggio la cui valenza professionale è nota a tutti. Oggi segnaliamo "Sfamilia"del 2009 che è in relazione diretta all'argomento del prossimo 3 maggio al Teatro Impavidi a Sarzana. A seguire, dunque, alcune parole di presentazione al testo, una breve intervista dell'Autore sul libro e infine la Prefazione e l'inizio del libro stesso

 

Dal bullismo, che è troppo facile liquidare come "ragazzata", all'abuso di alcol, tra le prime cause di morte fra i giovani, dal 7 in condotta, necessario perché solo la presenza di regole insegna a rispettare il prossimo e a riconoscere i propri limiti, al telecomando, che insieme a Facebook e all'iPod indirizza verso un uso "surfistico" delle relazioni, improntate cioè all'eccitazione momentanea, alla comodità, che porta a evitare la fatica della riflessione. Un meditato e utile abbecedario dove ogni parola chiave è l'occasione per raccontare una storia vera, che ci riguarda. Attraverso l'esperienza decennale di incontri con le famiglie nelle diverse province italiane, Crepet parte dai nostri gesti quotidiani per ragionare sulle "sfamiglie" d'oggi, quelle che passano insieme non più di 40 minuti al giorno, quelle dove i genitori sembrano arrendersi, concedere tutto ai figli per paura di sentirsi rifiutati o solo per senso di colpa. E ci aiuta a guardare con responsabilità a ciò che abbiamo costruito, talvolta sfasciato. Perché educare significa "accompagnare", voler rischiare di credere nell'altro, avere coraggio: proprio come amare.

 


 

Dal sito di Paolo Crepet ecco la Prefazione del suo libro: Sfamiglia (Vademecum per un genitore che non si vuole rassegnare).

Anno: 2009

Editore: Einaudi

Prefazione

Biglietto di accompagnamento. 

Ho deciso di scrivere spinto da un bisogno impellente, comune alle persone di buon senso: la percezione che ciò che stiamo vivendo non sia frutto di errori di percorso o involuzioni impreviste, ma di una straordinaria mutazione antropologica che coinvolge la famiglia, i giovani e Ie loro culture, ovvero l'intera comunità. Una mutazione che non dovrebbe indurre spavento ma curiosità, attenzione, voglia di provare a capire cosa sta accadendo e cosa potrà accadere. Questo vademecum nasce dunque dal desiderio di cercare e accettare il confronto con tale nuova e inusitata complessità, anzi, di sfidarla. Ho cercato una modalità di scrittura nuova per me, che accogliesse la necessita di guardare alIa cronaca come a una metafora, a volte annichilente, delle nostre relazioni; di raccontare ciò che vedo e ascolto perché da gesti semplici e parole quotidiane si possa trarre ragionamento e critica; di ripensare ai miei vecchi e più recenti maestri per dire aIla mia generazione che senza di loro si procede alIa cieca; di riascoltare la mia musica e di ripercorrere alcune mie letture formative per ricordare a me stesso e a chi leggerà quanto dietro e dentro una nota o una pagina ci siano risposte a domande che abbiamo smesso di farci. Un libro daIla forma di suk, il suono di una jam session, i colori di uno di quei cieli che mio nonno materno chiamava «da battaglia», sovrastanti il combattimento campale di una raffigurazione seicentesca. Contiene spunti, riflessioni, citazioni, note attorno al tema più importante e alla prova più determinante che dobbiamo affrontare: il nostro comune futuro, ovvero l'educazione e la crescita delle generazioni nuove.

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A come ACCOMPAGNARE

Il piccolo segreto di queste pagine è racchiuso in una parola semplice che dà il senso di un cammino comune: accompagnare.

«Mangiare il pane insieme» è il significato piú lieve e profondo che frate Francesco attribuiva al condividere una sfida, una preoccupazione, un orgoglio, un timore, una dignità: l’essenza, e la gioia, di non essere soli nel dar valore a cose semplici e coraggiose.

Spesso, al termine di un dibattito o di un incontro nelle Scuole per genitori che dirigo da qualche anno, donne e uomini stringendomi la mano mi dicono: «Mi sentivo una persona sola, strana, che la pensa diversamente dagli altri… Stasera ho capito che siamo almeno in due e ho meno paura dei miei pensieri, adesso posso andare avanti piú serenamente». Dunque insieme, quella sera, io e quell’uomo o quella donna abbiamo mangiato un pezzo di pane, compiuto qualche metro. È il significato di una comunità che si ritrova e si riconosce, non piú monadi autarchiche che si giustappongono o si scontrano per fare ognuna le stesse cose, non piú adulti spaesati davanti a un televisore perennemente acceso, non piú genitori arresi. Libertà significa fare insieme cose diverse, l’opposto di ciò che accade in un ipermercato.

Educare è libertà, il resto è addestrare, ammaestrare, indottrinare, inculcare, istruire.

 

L’educare necessita coraggio, proprio come in una psicoterapia: occorre fidarsi dell’interlocutore o imparare a farlo. Condividere il pane implica riconoscere che ciascun commensale è dotato di dentatura propria, nessuna identica, come impronte di polpastrelli. L’accompagnare prevede una giusta distanza, quella che il contadino sa imporre quando pianta i suoi alberi in modo che ciascuno vada incontro al proprio sole, alla propria neve, al proprio vento, alla propria pioggia. La giusta distanza tra genitore e figlio, tra insegnante e alunno: per poter parlarsi, distinguersi, ascoltarsi, come a una bella tavolata imbandita di gioia e voglia di stare insieme. Molti pensano di conoscere la giusta vicinanza che si dovrebbe avere con un bambino, un adolescente o un amante, pochi sanno che deve esistere anche l’opposto. Accompagnare non significa necessariamente viversi addosso, in un contatto continuo anche se virtuale; al contrario si può capire davvero di amare un’altra persona solo quando ci si allontana da essa, quando si rispetta il suo desiderio o bisogno di andare.

Se si sta sopra un figlio non lo si cresce ma lo si asfissia, gli si toglie la possibilità di cercare la strada verso la luce anche sbagliando, lo si rende inutilmente contorto. Lasciare i figli davanti alla responsabilità dei loro errori senza perderli di vista, ma senza mediare fra ciò che fanno e l’ostacolo incontrato: anche questo significa educare.

Come da una buona cena non ci si alza troppo presto (significherebbe che non è una buona cena), una madre o un padre non dovrebbero aver fretta di giudicarsi. Lo potranno fare soltanto nell’ultimo giorno della loro esistenza: se avranno accanto qualcuno che gli carezzerà la fronte e gli racconterà una storia, vorrà dire che se lo sono meritato. Se invece saranno tutti nella stanza del notaio ad aspettare l’apertura della busta, vorrà dire che è quella busta l’unico valore condiviso.

 

«Perché si giudicherà di te seguendo il colore delle tue tracce», dice un proverbio tuareg… E, aggiungo, il colore delle tracce di chi hai accompagnato in quell’avventura che è il vivere. Accompagnare implica l’arte del vivere...

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