Ma l’angelo nero sembra stagliarsi ancora dietro, quasi a
voler impedire il distacco e solo la splendida voce di una sacerdotessa dei
misteri può aiutare lo schiavo a rompere, finalmente le catene. La potente voce soul di Sara
Grimaldi, nota cantante spezzina, in “Black Angel” urla nella
notte mentre le note dell’hammond, come un serpente, si arrotolano con le voci
invocanti e l’harmonica geme la sua ricerca di libertà. Un finale da brividi nel
raccogliersi delle ultime, scure sonorità.
Due brani che, evidentemente, rimandano a sentimenti, a
storie antiche che Andrea Giannoni ha voluto come esorcizzare nel loro forte e
doloroso ricordo. Due brani di una forza evocativa unica e contingente.
Lo shuffle del terzo brano “Take it easy”, calmati, è
una chiara indicazione a lasciar perdere, a guardare avanti. E dove se non
nella tradizione più pura, sonora, nel suo allegro e chiassoso ritmo come
d’altronde accade nella seguente “Born
in a wrong place”, nato nel
luogo sbagliato, ancora strumentale, serena invocazione all’America musicale
più pura, al rimpianto di non appartenere direttamente a quel mondo
musicale che da sempre Harpo porta nel suo cuore. Da sottolineare l’ottima base
ritmica di Andrea Papaiannu al basso e Mattia Lorenzo Pergolato alla batteria.
Non sono casuali questi due brani strumentali perché nel loro
recupero “filologico” il Reverendo ci dice chiaramente che lui, il blues non lo
ha mai dimenticato, gli appartiene come una seconda pelle, fosse nera o bianca
non importa, ma sentiva il bisogno di dirlo, di affermarlo, in contrasto,
forse, con troppe contaminazioni, musicali, personali e sentimentali.
E “Waiting for a sunny
day”, sto aspettando un giorno di
sole, è la nuova porta d’entrata. Una ballata blues di rara e corposa
efficacia dove l’arrangiamento strumentale è superbo per inventiva e forza,
mentre la voce di Andrea, raddoppiata ed evocativa, si mescola ai suoni blues tra i quali spicca la chitarra
di Serini, liquida e con echi santaneschi mentre l’hammond ci illanguidisce
l’anima. C’è speranza e attesa mentre arrivano le prime note da New Orleans, “Call me”, chiamami, che Henry Carpaneto, novello Dr John, ci elargisce al
piano con immenso gusto e bravura. Il Reverendo è finalmente a suo agio. La
voce, quasi in falsetto, scherza con l’harmonica e il martellare del
pianoforte. Un brano capace di rinunciare alla base ritmica classica, visto
l’incedere dei due interpreti. Una vera chicca. Siamo tornati in Louisiana.
E’ il momento della citazione, del rispetto per le
tradizioni. Il celebre brano di Hank Williams “ I’m so lonesome i could cry”, viene rivisitato dal Reverendo con il
suo grande amico e compagno di molti concerti Bobby Soul, la cui anima accoglie
la voce di Johnny Cash per duettare con l’armonica di Harpo mentre la tromba di
Lips e la chitarra acustica di Alessio Caorsi evocano un archetipico luogo americano e il suono del treno, vera icona di una certa
America blues & country.
Siamo dunque tornati in territori conosciuti e amati da Andrea
Giannoni, eppure è proprio nei brani finali che il Reverendo vuole concentrare
la sua nuova/antica voglia di blues. “Little
boy of mine” è struggente nella sua affabulazione sonora dove
l’harmonica e la voce di Andrea Giannoni si sdoppia in un singolare
falsetto , che Harpo dice di aver costruito raddoppiando la voce nei concerti a
Bobby. A seguire “The girl likes the
blues”, ancora un duetto, questa volta tra Harpo e Serini in una classica
sonorità blues, giocata sull’interpolazione dei suoni e dei timbri canonici
dell’harmonica e della chitarra elettrica.
A chiudere, giustamente, la rivisitazione di "Black Angel"(con tutti i miei fantasmi che mi cercano)" con la sola, immensa voce di Sara Grimaldi, l’harmonica del Reverendo e una rumoristica obliqua e intrigante. Un plauso va poi a Monica Faridone per il suo contributo di coautrice su diversi brani del disco, compreso quest'ultimo intrigante brano.
La catarsi è avvenuta, il blues è tornato con la sua lucentezza, la
sua vigoria ma bisogna tenersi anche qualche fantasma, avere il coraggio di
leggere il passato, farlo proprio e guardare il futuro in modo diverso. “At home again” , per Andrea Giannoni, ne
è la chiave. Non perdetevelo.
Giorgio Giannoni
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