16 agosto 2022

PENSIERI STUPENDI: AAA Sinistra cercasi, ovvero il mondo è intrinsecamente di destra ?

 


Il post su facebook inviato a molte persone da parte del Circolo Pertini di Sarzana rappresenta l’ennesimo tentativo di stringersi a coorte contro la destra da parte di una non ben definita sinistra. Un messaggio che ha ricalcato molte altre occasioni dove occorreva, comunque e con grande lena, fermare qualcuno o qualcosa di politicamente pericoloso. Un refrain già sentito, io credo, non solo perché occorre chiedersi, oggi, cosa sia realmente la sinistra ma nello stesso tempo occorre valutare quanto di questa sinistra sia realmente rimasto in Italia. Ma prima di rispondere a tali quesiti, un’altra domanda si pone con maggiore forza per provare ad intravvedere una realtà alla quale molti non guardano o non credono.

” Il mondo è intrinsecamente di destra?”


La risposta la fornisce l’ultimo capitolo del libro  “Il mostro mite “ di Raffaele Simone(Garzanti Editore), che potrete leggere a seguire o scaricare sopra. Simone non è un analista o uno psicologo ma la sua inevitabile conclusione è la constatazione che essere di “sinistra” implica una scelta cosciente praticabile ma difficilmente mantenibile nel tempo, proprio perché la vera natura umana affonda invece le sue radici nell’inconscia “destra” profonda, carica di impulsi reazionari, coercitivi e di puro godimento. Tale constatazione possiede come corollario la ciclicità politica e sociale di una comunità che, dopo periodi più o meno progressisti, inevitabilmente vede riemergere nel tempo spinte più conservatrici e disgregatrici. Due sono le constatazioni che dovrebbero emergere dalla lettura. La prima, la più importante, è la necessità di conoscere se stessi prima di impegnarsi o fare delle scelte di qualunque tipo siano. Secondo, grande attenzione nella scelta della gerarchia alla quale si vorrebbe appartenere. Il più delle volte è forse più prudente lasciare perdere  e come sottolineava Henri Laborit nel suo libro Elogio della fuga:" Per continuare a essere normali non rimane che fuggire lontano dalle competizioni gerarchiche. Aspettatemi, vengo anch'io".

 Dopo il capitolo ho compiuto una rapida disamina storica degli avvenimenti in Italia dopo la guerra mondiale per meglio collegare, come si dice, la teoria alla pratica. Buona lettura

G.G.


DAL LIBRO “IL MOSTRO MITE” di Raffaele Simone

“…la domanda ,dunque,che dobbiamo farci è: il mondo è intrinsecamente di destra?

Per rispondere a questa domanda bisogna tornare a domandarsi quali tratti caratterizzano la destra rispetto alla sinistra, sua perpetua alternativa. Questa domanda è uno dei temi classici della teoria politica, che per lo più risponde che il contrassegno della destra è la difesa della differenza,della tradizione e della gerarchia(Bobbio). Bastano questi criteri? A mio parere no. Potevano essere sufficienti a descrivere l’opposizione destra/sinistra fino agli anni ’80, cioè finchè la destra era quella tradizionale , tutto sommato affine alla “destra storica”in qualcuna delle sue forme (anche in quella estrema del fascismo), cioè non planetaria, non consumo-centrica e non mediatica. Non bastano più oggi,dato che la destra che abbiamo di fronte non è più un partito politico ma è la Neodestra, una delle pieghe planetarie della modernità: ubiqua, amichevole, inafferrabile.Occorre allora rivedere la lista delle proprietà della destra cercando di andare più alla radice e senza paura di semplificare. Propongo una serie di postulati che mi paiono pertinenti.
Siccome la politica si occupa di interessi (e anche,bisogna ammetterlo di tipi psicologici),e gli interessi si possono formulare in modo sia “colto”sia”popolare”,così farò con i miei postulati:


a)postulato di superiorità(“io sono il primo,tu non sei nessuno”)


b)postulato di proprietà(“questo è mio e nessuno me lo tocca”)


c)postulato di libertà(“io faccio quello che voglio e come voglio”)


d)postulato di non-intrusione dell’altro(“non ti immischiare negli affari miei”)


e)postulato della superiorità del privato sul pubblico(“delle cose di tutti faccio quello che voglio”)


In qualunque versione le prendiamo,queste formulazioni sono altrettanti rifiuti di assunti rousseauiani o à la Rousseau. Quella che disegnano è infatti una società aggressiva, egoistica e pericolosa. La posizione à la Rousseau, al contrario, vuole che l’uomo nasca buono, mite e pacifico e cominci a diventare malvagio solo con la comparsa della proprietà.

Il possesso è, in questa prospettiva, la prima frattura di una naturale potenzialità di vita felice, sia sul piano individuale sia su quello collettivo. Una simile idea ha confuso non poco le carte, perché ha indotto a pensare che l’uomo “naturale” rousseauiano sia mezzo cattolico e mezzo di sinistra: mite, privo di interessi personali, naturalmente propenso all’eguaglianza e pronto alla rinuncia e al livellamento.

Chi assume fiduciosamente queste posizioni corre però il rischio di amare smentite.

Troppe esperienze storiche si sono incaricate infatti di mostrare che questo schema è l’idealizzazione spropositata di uno stato di cose impossibile, irraggiungibile,che nessuno potrebbe asserire di aver mai osservato, neanche presso i bambini del nido d’infanzia.

Rinuncia, tendenza all’eguaglianza, livellamento non paiono essere doti native: semmai occasionali traguardi che si attingono in situazioni fortemente controllate. Siccome non vi sono esperienze storiche ne indagini evolutive (attinenti cioè allo studio dello sviluppo infantile) che permettano di ammettere l’esistenza di società o aggregazioni naturalmente miti e capaci di abnegazione spontanea, bisogna supporre che il punto di partenza politico dell’umano sia-per così dire-a destra, molto vicino a quello dei postulati che ho indicato.

Per la loro natura “primigenia”questi postulati possono ricordare (sia detto senza alcun intento di provocazione) le “convinzioni”che il bambino esibisce nei suoi primi rapporti con gli altri: egocentriche, relativamente aggressive, esibitive. Se questi postulati sono naturali (cioè precedenti ad ogni mediazione ed elaborazione), anche l’idea di destra è naturale, dato che esprime posizioni”native” precedenti a ogni mediazione e insensibili alla necessità ( sia pure solo opportunistica) di venire a patti con i bisogni e i diritti dell’altro. Attorno al nucleo delimitato da quei postulati s’articolano le varietà storiche della destra :la democratico-liberale, la liberale, la conservatrice, la reazionaria ecc.Tra essi si ritrova infatti senza difficoltà gran parte degli aspetti tipici dell’atteggiamento di destra: l’idea che il pubblico non debba immischiarsi negli affari privati e in particolare che lo Stato (forma suprema ed immateriale dell”altro”) non debba occuparsi della proprietà individuale; l’idea che un gruppo (un ceto,una elìte,culturale o sociale,una cricca,una “razza”,una rete di famiglie,una consorteria-aggiungerei: una gerarchia-secondo i casi e le dottrine; insomma un insieme che dice “noi” e che considera irrilevanti gli “altri”) sia destinato a comandare e gli altri ad obbedire ; che il gruppo di comando debba essere visto come il partito dei migliori,mentre gli altri sono il partito dei perdenti, e così via. Ciascun indirizzo specifico ha completato quel nucleo con elaborazioni ulteriori,da quelle moderate a quelle estreme.

La differenza sta nel grado di intensità con cui vengono assunti i postulati che ho indicato e in alcuni corollari e derivazioni che ad essi si associano. Anche il culto della tradizione-che è menzionato spesso, come ho detto, come fondamento dell’atteggiamento di destra-appare qui, ma come nozione non primaria ma derivata.

La tradizione è in fondo un gigantesco deposito di miti di fondazione,di spiegazioni che non occorre giustificare, un tesoro di “favole”a cui si attinge per dare legittimità e fondamento a una varietà di stati di cose attuali che richiedono un sostegno; la remota appropriazione di un bene a danno di altri,la perpetuazione di una disparità o di una differenza, la giustificazione di una propria superiorità asserita, l’origine di un potere o di un titolo,il ripetersi di un comportamento o di una presa di posizione.

In sostanza la destra riconduce le differenze (cioè le diseguaglianze) tra gli uomini alla natura o alla situazione di fatto(o a Dio). In ogni caso le tratta come inevitabili e inestirpabili,o perfino salutari, perché riflettono una disparità che è nelle cose stesse  (aggiungerei: nell’inconscio),non nell’arbitrio della storia.Chi “sta sopra”(siano essi i componenti di una elitè o di un comitato d’affari o una razza supposta eletta) deve avvantaggiarsi di chi “sta sotto”perché le cose stanno così (aggiungerei: perché le pulsioni autoritarie si devono esprimere in tal senso).Per questo le differenze non vanno corrette con provvedimenti di riequilibrio,ma devono essere lasciate come sono e messe a frutto.


Adottando l’idea che il mondo sia naturalmente di destra si deve allora ammettere che le posizioni di sinistra sono da considerare tecnicamente “artifici”, artefatti in cui la natura viene corretta, rimodellata, tenuta a freno e in parte negata.Sono insomma ottenute distaccandosi dal punto di partenza naturale e finanche rifiutandolo.Essere di sinistra è come contrastare con sforzo la tensione di una molla che collega a un punto di attacco.

 

La molla,esercitando trazione, ci riporterebbe indietro, ma noi opponiamo resistenza, anche se costa fatica.Il rischio di lasciarsi trascinare è forte e a momenti cediamo di un po’, ma i più solidi tra noi riescono a tenere duro.

Intendo dire insomma che le posizioni di sinistra sono astratte, laboriose e labili.

In questa prospettiva, per stare a sinistra occorre aver messo a governo gli impulsi descritti nei postulati della destra, con un grado di variabile di sforzo su se stessi, cioè di rinuncia, anche a costo di negare o limitare i propri interessi. Questo è l’aspetto al tempo stesso ammirevole e folle della sinistra: rinunciare quando si può avere? privarsi quando si può accumulare?livellarsi quando si può prevalere. Se prendiamo i postulati che ho formulato prima, vediamo infatti che per negarli-come fa la sinistra-è necessaria una serie di correzioni:


a)al postulato di superiorità(“io sono il primo,tu non sei nessuno”)la sinistra oppone quello di uguaglianza(in vari gradi ed accezioni). Questo si presente in più forme: o come uguaglianza naturale originaria(“siamo uguali per natura,sin dall’inizio”)o come traguardo finale di un processo storico(“non siamo uguali ma dobbiamo diventarlo”).


b)il postulato di proprietà(“questo è mio e nessuno me lo tocca”è corretto dal postulato di redistribuzione,anche questo con più forme:”entro certi limiti,la mia proprietà può essere redistribuita ad altri,la tua può essere redistribuita a me”. In particolare,ai poveri ed ai debolipuò essere redistribuita la proprietà di tutti,e il bene pubblico è finanziato con il contributo universale;


c)Il postulato di libertà(“io faccio quello che voglio e come voglio”)è limitato da quello di interesse pubblico(“i diritti dei singoli non possono sminuire il bene pubblico”)


d)al postulato di non-intrusione (“non ti immisciare negli affari miei”)si oppone il diritto di ingerenza per l’interesse generale:”gli interessi dei singoli possono essere limitati dall’interesse di tutti”)


e)Il postulato di superiorità del privato sul pubblico(“delle cose di tutti faccio quello che voglio”),nella sinistra ,è negato del tutto:”sebbene i privati abbiano prerogative e diritti definiti,il pubblico è preminente”.


Come si vede il mio schema non distingue tra sinistra democratica e sinistra radicale.La differenza tra questi poli dipende dal modo e dal grado in cui i postulati vengono interpretati. In ogni caso,se l’idea di destra è più prossima alla “natura”(nel senso letterale che ho indicato),per prendere una posizione di sinistra occorrono requisiti preliminari come il sacrificio e la rinuncia. Soddisfare tali requisiti non è-bisogna riconoscerlo-un’operazione naturale: al contrario,essi sono il risultato di una dura eleborazione interiore,che richiede la negazione e il freno di una catena di impulsi.

Richiede cioè di tenere tesa la molla.

Tutte le formulazioni che ho appena dato contemplano infatti limitazioni, delimitazioni, ingerenze più o meno controllate, che servono a tener tesa la molla e a evitare che la sua tensione si afflosci.
Nelle versioni democratiche della sinistra, a queste pre-condizioni si aggiungono-come culmine di “innaturalità”- la propensione a consultare periodicamente il popolo circa le sue preferenze politiche e soprattutto la tendenza ad accettare la convivenza con l’avversario(e la sua sopravvivenza), che in certi casi è perfino trattato come un fattore indispensabile per la dialettica politica.

 In quelle democratiche, però, per contro, la maggioranza lo considera un ‘alternativa a se stessa, visto che lo affianca in parlamento e accetta di vederlo andare al comando al proprio posto.

Il carattere “innaturale”della sinistra spiega anche come mai siano così frequenti le apostasie dalla sinistra verso la destra, mentre quelle in direzione inversa sono relativamente rare.

E’insomma più facile tornare verso posizioni “naturali”lasciandosi portare dalla molla che si ritrae, che fare il cammino opposto :quando cessa di essere in tensione, la molla riporta verso il punto di partenza. Essendo intrinsecamente”in-naturale”, una posizione di sinistra è anche fragile e oscillante: aderirvi è costoso (richiede sforzo e rinunce), permanervi è arduo(arriva perfino a richiedere il rimodellamento della propria vita), uscirne può essere una tentazione”.

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AAA SINISTRA CERCASI

 

Essere di sinistra implica una visione più solidale, più egualitaria rispetto all'altra parte che si muove più su binari di conservatorismo e di individualismo animale. Come Henri Laborit ha molte volte sottolineato, la sostanziale ignoranza su come l’inconscio agisca, la forza intrinseca che questa parte più ancestrale e animale possiede spingono l'individuo a lottare per superare il vicino con l’obiettivo di accaparrarsi più risorse, riprodursi meglio dell'altro e creare più potere personale con il risultato di instaurare nelle comunità gerarchie, diseguaglianze, contrapposizioni. Ma pur nella sua psichica ignoranza la parte senziente della coscienza umana ha da sempre tentato di mettere in atto modi diversi di stare assieme, di governo della comunità che, tuttavia, possiedono da sempre, il problema di durare nel tempo come la storia del mondo ci insegna. In Italia, dopo la caduta del fascismo e la partecipazione ad una guerra distruttiva, la ricostruzione del Paese non poteva non passare per un momento di solidarietà nazionale ed un sostanziale bilanciamento di forze politiche che privilegiassero (anche e soprattutto con la scrittura della nostra Costituzione) una visione più democratica ed egualitaria della comunità. Il fascismo aveva esasperato (in tutto il popolo italiano) l'espressione inconscia più deleteria del potere reazionario e individualista e dunque i partiti del dopoguerra (la nuova gerarchia in costruzione), stremati dalle lotte e dai lutti , applicarono una cosciente visione più democratica, solidale e egualitaria. Sia il PCI che la DC (pur con tutti i limiti inconsci dei loro componenti e con scelte non sempre all'altezza) furono capaci di legiferare positivamente il recupero della società e la contrapposizione che, inevitabilmente, si era creata permise comunque l'edificazione di una società democraticamente funzionante. Il dato politico fondamentale che permise questo risultato fu pilotare il conflitto sociale che, per quanto accennato prima, si determina sempre in ambito umano ma che in un ambito democratico (se controllato) trova la sua ragion d'essere. Le varie contrapposizioni che avvenero nell'Italia del dopoguerra (compreso il '68), controllate comunque nei loro aspetti più estremi, permisero quel salto di qualità che si espresse in una innumerevole produzione di leggi atte a migliorare il rapporti umani della comunità stessa. Nel 1970, vigente un sistema elettorale proporzionale, venne varato, nell’arco di soli sette mesi, un complesso di leggi che cambiarono letteralmente il volto del Paese: l’attuazione dell’ordinamento regionale, lo Statuto dei lavoratori, la legge regolatrice del referendum abrogativo, la previsione di termini massimi di carcerazione preventiva, il divorzio. A tali riforme seguirono poi, nel volgere di pochi anni, altre leggi fondamentali come quelle sugli asili nido e sulla scuola elementare a tempo pieno, sull’obiezione di coscienza al servizio militare, sulla disciplina della custodia cautelare, sul nuovo processo del lavoro, sulla protezione delle lavoratrici madri, sulla tutela della segretezza e della libertà delle comunicazioni, sulla delega per il nuovo codice di procedura penale, sul nuovo ordinamento penitenziario, sulla riforma del diritto di famiglia, sulla fissazione della maggiore età a 18 anni, senza dimenticare la legge sull'aborto, la creazione del sistema sanitario nazionale e via elencando. Alla fine degli anni '70 si era raggiunto (sebbene con molti limiti evidenti e anche a prezzo della sanguinosa, folle contrapposizione del terrorismo ) il massimo livello di eguaglianza e di solidarietà possibile in presenza di una democrazia almeno funzionante. Gli anni '80 rappresentarono nuovamente il passaggio ad una fase più reazionaria. Le gerarchie mondiali di potere, il mondo economico e finanziario (con l'avvallo dei politici più importanti) dopo l'accordo post-bellico con il lavoratori per la ricostruzione ed il boom economico dell'Occidente (conveniente per entrambe le parti) cominciarono a pensare (spinti dalla solita, inesausta parte inconscia più reazionaria) a come guadagnare di più, come costringere i lavoratori ad una produzione superiore in cambio di guadagni minori e meno tutele, ad avere più potere instaurando contemporaneamente, complice la rivoluzione tecnologica, una società sempre più consumatrice, edonistica, fortemente diseguale nella distribuzione della ricchezza prodotta nei vari paesi. In Italia non mancarono atti di forza come colpi di stato falliti o la strategia della tensione, per dirottare rozzamente e proditoriamente il paese verso una nuova visione conservatrice e reazionaria, tuttavia sia la DC che il PCI, forte della sua rinnovata visione riformista, seppero resistere anche se il PSI stava cadendo, grazie ai suoi leader edulcorati dal proprio inconscio di potere, verso la rovina più totale. All'inizio degli anni '90 la DC crolla sotto i colpi delle nefandezze che i suoi stessi componenti da tempo avevano cominciato a mettere in atto: l'inconscio da sempre spinge verso il godimento più esemplare, la ricerca del potere massimo e, nell'apparire di una società sempre più opulenta, capace di elargire succosi doni economici, molti politici e cittadini abbandonarono la necessaria sobrietà politica e personale per lasciarsi andare a benefici più ampi e strutturati. La società evolveva verso il consumismo, l’individualismo, il mito della ricchezza e del potere personale. Il PCI, colpito dalla morte di Enrico Berlinguer nel 1984, aveva da poco attuato la sua nuova visione riformista ed europea e quando, nel 1989, cadde il Muro di Berlino la crisi, da tempo sotterranea, esplose. E' nell'implosione della DC, nella autodistruzione del PSI, nell'arrivo al potere del primo figlio italiano di questi nuovi tempi, Silvio Berlusconi e dei primi populismi leghisti che si celano quei cambiamenti epocali che porteranno alla fine della Sinistra in Italia. La società è dunque cambiata: liberismo economico, tecnologia pressante, finanza sempre più pervasiva, globalizzazione, sono presenze che testimoniano quanto l'inconscio della comunità si muova nuovamente sullo spreco legittimato, sul godimento (che tutti dovrebbero raggiungere, in questa nuova era), sulle rendite finanziarie, sul potere dei media, sulla lenta dismissione delle risorse sociali in atto da un decennio ma in predicato di essere sostituite dal privato avanzante, su un ambiente sempre più devastato. E' in questo panorama insidioso, corruttivo, intossicante che il PCI perde di vista quei valori portanti che avrebbero potuto ancora essere validi soprattutto contro lo strapotere mediatico, contro il lavaggio del cervello che le tv del Cavaliere stanno operando sulla mente degli italiani, legittimando la loro pancia, i loro desideri inconsci, il loro individualismo contro ogni regola sociale. Gli eredi di Berlinguer, incapaci di cogliere la possibilità di essere dirimenti, mantenendo vivi i diritti e i doveri della Costituzione (unica, vera ancora di sinistra in quegli anni) e non contrapponendosi con forza alle visioni di una destra conservatrice e reazionaria, preferiscono allinearsi, pensando che i tempi fossero cambiati e che occorra dialogare con la destra su un piano politico, accettando il nuovo corso economico e finanziario, ma che in verità nascondeva, in quegli individui, prima comunisti, l'inconscia voglia di adeguarsi ad un sistema che, se abilmente cavalcato, poteva essere foriero di grandi soddisfazioni politiche e personali. Il risultato fu devastante perchè non solo sancì la fine di un modo, pur con tutti i suoi limiti e le sue esagerazioni, più bilanciato e sensibile nel considerare la realtà, ma isolò completamente tutti coloro che, come la futura Rifondazione Comunista, andranno a morire politicamente, nell'irriducibile pensiero che la visione comunista potesse ancora avere una sua validità proprio quando il mondo, di comunismo, non ne voleva più sapere. Qui nasce il vulnus ed un partito come il PCI( incapace di ripensare veramente la scissione del 1921 e imboccare una reale via socialista, libertaria  democratica, europea per il futuro) che per vari anni non saprà neppure come chiamarsi ma che sempre di più annacquerà la sua visione, in maniera tale da porsi come un partito di estrazione liberale, sulla strada di un sistema maggioritario con Romano Prodi in alternativa con la destra di Berlusconi. Un partito  sempre e solo in azione per il potere in se e nel solco di un' Italia oramai omologata alla visione più conveniente e profonda dell'Occidente globalizzato. Lo smantellamento del sociale diventa un dato diffuso come esagerato è il decentramento del potere alle regioni o tossico è l'ambiguo e forzato inserimento dell'euro (compiuto da Prodi e Pd) e perverso l'aggiunta in Costituzione del pareggio di bilancio (votato da tutti). Tutte disposizioni che danno l'idea di una omologazione di pensiero sempre più profonda. Come ci ricorda Stefano Fassina:

 "Veltroni è padre della  matrice liberal-democratica dell’atto fondativo del PD al Lingotto, nel 2007. È stato al Lingotto dove si è celebrata la sparizione del lavoro come interesse specifico e distintivo da rappresentare, si è riconosciuta esplicitamente al mercato -con un Blairismo fuori tempo massimo- la primaria funzione regolatrice della società e si è esaltato un europeismo acritico in funzione di ‘vincolo esterno’ progressivo e di legittimazione esclusiva al governo. Il Jobs Act, fiore all’occhiello di Matteo Renzi, è tratteggiato al Lingotto da Pietro Ichino, primario riferimento per le politiche economiche e sociali dell’allora segretario nazionale Walter Veltroni. “L’agenda Monti è la nostra agenda” era il mantra della classe dirigente veltroniana in prima fila anche nel Pd guidato da Bersani, quando Renzi non era ancora sceso a Roma e non troneggiava al Nazzareno. Per inciso: i “montiani” del 2012 sono sostanzialmente gli stessi che, a 10 anni di distanza, sostengono che “l’agenda Draghi è l’agenda del Pd”

Non dimentichiamo poi come molti italiani che avevano a cuore una visione più progressista e meno estremizzata si siano ritrovati senza più nessun riferimento, nessuna guida per interpretare il mondo nuovo, non volendo accettare fino in fondo, pur nell'ineludibilità di vivere in Italia, l'edonismo più spinto, il consumismo esagerato, l'ambiente sempre più alterato, la cultura più degenerata. La nascita dell'esperimento grillino trova la sua matrice originale nella definitiva confusione operata dai due poli, nell'annientamento di una reale politica di destra e di sinistra e nella bislacca concezione che tale divisione fosse fittizia e non esistesse. I risultati di tale visione, in dieci inutili anni di politica, si vedono oggi con la loro prossima morte politica (sebbene alcuni superstiti, come da me già preannunciato, abbiano scelto, alla fine, di essere progressisti) e con il rifluire di molti italiani con la destra più becera (già di per se in crescita per gli stessi motivi) o, credendo ancora che il PD rappresenti la sinistra, con il partito di Letta o nel solito centro di pseudoliberali, buono per tutte le stagioni. Parlare dunque di Sinistra, in questa ottica, diventa molto difficile, proprio perché è stata operata una svolta psichica prima che ideologica tale da indirizzare il Paese verso meccanismi di governo, sia locali che nazionali, difficilmente contrastabili. Già nel 2013, Letta e il centrosinistra parlavano di semipresidenzialismo, che ora, dopo la ristrutturazione numerica del Parlamento, probabilmente troverà una sponda anche da questo versante. L’italia, uno degli ultimi paesi pienamente parlamentari e con una Costituzione ancora progressista, si allineerà ben presto con un mondo che, come molti anni fa, corre verso la catastrofe politica e sociale con la terribile evenienza di vedere arrivare prima quella ambientale.

Giorgio Giannoni

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