01 aprile 2023

DOPO L' INCONTRO : Qualche considerazione sulla toscanità di Scanzi, sul naso di Giorgio Gaber e i fantasmi che infestavano la scena DI ANDREA GIANNONI

 

La postura svaccata di Andrea Scanzi che imitava quella dell'ultimo Gaber, già malato ma lucido come un diamante, è stata, almeno per me, il cuore e le viscere pulsanti dello spettacolo o meglio del rito a cui l'altra sera ho assistito, anzi abbiamo assistito in un Teatro degli Impavidi in totale e quasi mistico silenzio. Del resto, il Teatro è un rito e le parole con i gesti celebrano le nostre storie e quelle di molti altri.




Confesso che non sempre ho rispettato il lavoro di Scanzi, anche se in molti punti convergo con la sua visione violenta e polemica verso le cose del mondo, scannate così, alla toscana, sua terra di origine, terra rossa e scura lavorata dal discanto. Attraverso il suo racconto si è stabilita una linea carnale e commovente verso la figura enorme di Giorgio Gaber che, in alcuni momenti, sembrava presente e sornione dietro una quinta di luce cafona e vibrante nella luce del tempo "dentro il teschio del teatro", come diceva Federico Garcia Lorca. Proprio li, nel teschio del teatro, la voce di Scanzi mesceva e mescolava ricordi di anni a noi sconosciuti ma splendidamente presenti come raccontati da un testimone d'epoca. La scena scarna memore di teatro di parola e musica (anche perche' con Gaber e Luporini di altro non si potrebbe nemmeno parlare), luci di quinta e immagini, parole su parole e canzoni che si mescolavano a certi spiriti appena arrivati come Jannacci, Dario Fo' e non ultimo Gianni Mina', richiamati alla bellezza dell'applauso dallo stesso Scanzi che sapeva bene come cercarli. 



La postura svaccata, dicevo, e la voce di questo giornalista polemico prestato al proscenio che ci ha presentato un Gaber ignoto per almeno due generazioni, un vero peccato per i pochi giovani presenti  (e i più assenti) che si sarebbero arricchiti con le parole di Gaber e avrebbero pensato un poco di piu'. Qualche lacrima per quelli che come me Gaber lo hanno visto davvero. Il proscenio si liberava del rito mentre Scanzi "diceva" Gaber , ecco la parola "diceva" di Beniana memoria (Carmelo Bene docet) è importante perche' libera la magia del teatro e in questo caso delle Parole e della Musica di Giorgio Gaber.  

In platea seduta alla mia sinistra una persona molto anziana che avevo aiutato a sedersi. Forse il regalo piu' bello di questa nostra serata, nostra perche' alla fine Gaber ci appartiene e francamente non mi sarei mai aspettato di godere di questa cosa seduto accanto a Sandro Luporini, semplicemente l'altra meta' di Gaber, colui che ha scritto con Giorgio tutto il meglio, seduto li, con i suoi novanta e passa anni come un profeta o un retaggio di un'altra epoca.


(clicca sull'immagine per ingrandire)

 Commovente l'abbraccio tra Scanzi e Luporini quasi uno scambio di un testimone immaginario, una consegna garbata di un patrimonio immenso con l'augurio che continui di voce in voce , di teatro in teatro. 



"E ora, anche ora, ci si sente come in due. Da una parte l'uomo inserito che attaversa ossequiosamente lo squallore della propria esistenza quotidiana  e dall'altra il gabbiano senza piu' neanche l'intenzione del volo perche' ormai il sogno si e' rattrappito, due miserie in un corpo solo". (Giorgio Gaber e Sandro LuporiniQualcuno era comunista, 1992)

Bravo, Andrea Scanzi a prenderci per mano, raccontandoci la storia di un Uomo e di un Artista non comune, di cui un paese come il nostro sembra non sentire la mancanza, forse perche' i profeti come lui, come Pier Paolo Pasolini sottolineato a gran sipario, vengono citati e dimenticati troppo presto, anzi trattati allo stesso tempo come icone o false Madonne che piangono troppo spesso. Grazie ad Andrea Scanzi e a Sandro Luporini e al naso di Gaber che ogni tanto bucava una quinta.

Andrea Giannoni

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