11 luglio 2023

CINEMA Indiana Jones, il quinto e ultimo episodio: la vecchiaia al di là del mito

 


“Nulla mi sconvolge. Sono uno scienziato.” Indiana Jones, I Predatori dell'Arca Perduta


Non si può non guardare con affetto e divertito interesse alle avventure di Indiana Jones. Una saga che ha attraversato gli anni e ci ha riportato all'avventura dell'adolescenza e della gioventù, ispirando interessi e valutazioni su miti e scienza, misteri e geografie dell'anima. Assistere dunque alla fine di tutto ciò (nell'ultimo film "Indiana Jones e il quadrante del destino") porta con se un poco di malinconia e di senso d'abbandono ma l'entropia non perdona, ne tantomeno le lancette dell'orologio non possono essere riportate indietro (sebbene in questo ultimo film il tempo assume una corposa presenza).


Ed è proprio la chiave di lettura di Flavio De Bernardinis ad imporci una riflessione sulla vecchiaia, a volerci ricordare che tutto passa ed i miti si appannano per poi scomparire del tutto. Emblematica è la figura di un Harrison Ford, oramai vecchio, perfettamente a suo agio in questa parte di addio dove la consapevolezza di essere oramai alla fine diventa un tutt'uno con la rappresentazione di un Indiana sconfitto, comunque, nel cuore e negli affetti dal tempo che è passato: una perfetta fusione tra la fiction e la vita. Non si poteva chiudere meglio una rappresentazione dove anche Spielberg, rifiutando di essere il regista, pare quasi tirarsi indietro nell'impossibilità di poter gestire, senza lacrime e malinconia, la creazione di George Lucas, oramai al capolinea. Ci mancherai, Indiana. Grazie di cuore.


Indiana Jones 5: la vecchiaia al di là del mito

di Flavio De Bernardinis da Micromega

Indiana Jones e il Quadrante del Destino, capitolo 5, mostra un eroe ormai solo e rassegnato: la moglie è andata via, e l’unico figlio deceduto, presumibilmente in Vietnam. Pur in tarda età, le avventure comunque non lo abbandonano, affiorando dal periodo storico che fa da matrice all’intera saga, ovvero la dittatura nazista, che interessa direttamente tre film su cinque. Quest’ultimo capitolo è non a caso l’unico a non essere diretto da Steven Spielberg, il quale si ritaglia il ruolo di produttore assieme all’amico e sodale George Lucas. Tutto il film è pervaso da un tono elegiaco sentimentale che il nuovo regista James Mangold, abile tessitore di miti in disarmo, uno per tutti il Silvester Stallone poliziotto grasso e sordo in Copland del 1997, sostiene con convinzione e misura...

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