02 febbraio 2024

PENSIERI STUPENDI: "Barbareschi, la fiction e l'arroganza" di Giorgio Giannoni

 

Credo valga la pena fare qualche considerazione un poco più approfondita sulla fiction televisiva"La lunga notte. La caduta del Duce", prodotta da Luca Barbareschi. Non fosse altro perche questa produzione televisiva possiede una sua forza e un suo costrutto da non poter essere facilmente etichettata come "propaganda di regime".


Ad una rapida analisi ci sarebbe da chiedersi perchè proprio in questi giorni si propone in televisione una parte della nostra storia recente che, sostanzialmente, non è particolarmente conosciuta nei suoi dettagli (anche per reali motivi storici) e riguarda la fine di un periodo tragico che non è mai stato posto in evidenza come può essere stato l'armistizio dell'8 settembre o l'uccisione di Mussolini e della Petacci con l'esposizione macabra dei loro corpi in Piazzale Loreto a Milano. D'altronde la fine del fascismo (mai veramente elaborata dal popolo italiano), e di questi due ultimi episodi in particolare, ha avuto comunque gli altari della rappresentazione scenica di vari film tra i quali: il primo Mussolini, ultimo atto, di Carlo Lizzani nel 1974 (dunque negli anni dove si tentava di dare una reale connotazione a ciò che il fascismo aveva rappresentato nella nostra storia recente) e Io e il Re, 1995 di Lucio Gaudino che descrive le responsabilità di Vittorio Emanuele e la sua ignominosa fuga dall'Italia dopo l'armistizio, interpretato da uno strepitoso Carlo Delle Piane. L'arrivo di una fiction sul tema della famosa (ma non credo così tanto per gli italiani) notte del 24 luglio 1943 quando Mussolini venne messo in minoranza durante la seduta del Gran Consiglio fascista lascia perplessi ed incerti. L'ipotesi della vicinanza della Giornata della Memoria e del giorno del ricordo  non mi pare abbiano una particolare attinenza ( intendo la data della trasmissione, ovviamente) con la serie, ma io credo che sia innegabile il dover riconoscere l'onesta descrizione degli eventi e dei personaggi nel dipanarsi della storia pur con varie sbavature, errori storici e melensaggini di troppo. Mussolini viene raffigurato come un dittatore, oramai da operetta, incapace di comprendere e di valutare dove ha portato l'Italia. Un guitto d'avanspettacolo che Duccio Camerini (nipote del regista Mario Camerini) ha reso con inusitata recitazione. Il re Vittorio Emanuele è stato giustamente rappresentato come un inetto, il responsabile delle scelte sbagliate nel aver avvallato il fascismo e incapace di comprendere, anch'egli, il momento storico. Sullo stesso piano,la figura del principe di Savoia, Umberto, educato ad ubbidire e a non prendere mai decisioni necessarie e la moglie Maria Josè ritratta come effettivamente e storicamente si impegnò per impedire il tracollo italiano. Un repellente Ciano, mostrato concretamente nella sua doppiezza e nella sua stomachevole natura di ambiguo approfittatore. Come, d'altronde, è estremamente efficace il momento finale del 25 luglio quando gli italiani si svegliano da un tragico letargo e distruggono gli orpelli e i fasci del regime e la gigantesca testa di Mussolini.  Una constatazione: la fiction è stata seguita da circa 3 milioni e mezzo di spettatori, dunque un record, e credo che la rappresentazione a tratti teatrale dell'iter narrativo abbia giovato molto, a onta dei molti denigratori abituati al moderno televisivo, alla rapidità delle storie.

A questo punto occorre parlare di Dino Grandi che non può essere liquidato come un "semplice" fascista della prima ora ma, occorre dirlo, era un uomo intelligente e politicamente di grande livello che seppe muoversi dall'ascesa del fascismo alla fine del ventennio tra efferatezze, violenze e la stessa Marcia su Roma con un intelligente e ambizioso criterio personale con il quale seppe armonizzare le spinte più estreme e un pensiero che, sebbene fascista e interventista, gli permise di rimanere sempre in auge durante tutto quel periodo. Consiglio a tutti di leggere sulla Treccani la sua biografia. La figura di Dino Grandi, così come è raccontata (cioè da fiction) trasforma questo complesso personaggio, pieno di bon ton e buone maniere, (ben definito e interpretato dall'attore Alessio Boni) in una sorta di salvatore della Patria. Una figura carismatica che si muove in un contesto degradato, sentito senza ritorno e che sente di dover cambiare assolutamente (sebbene la sua ipotesi post-Mussolini non fosse particolarmente democratica come la sua biografia illustra). La percezione finale che ne deriva pare proprio questa e dunque, nella brevità e nella semplicità di una rappresentazione televisiva, si assiste ad una lettura di un personaggio affascinante che diverte, appassiona, nel susseguirsi e nell'alternarsi di scene drammatiche e più romantiche (queste ultime fin troppo presenti nella loro sdolcinata necessità televisiva) ma, nel contesto, si coglie la mancanza di una reale lettura critica di un personaggio troppo coinvolto con il fascismo per farne un eroe. Di contraltare assistiamo ad una forte denigrazione di un ambiente e di personaggi storici che fino ad oggi parevano dimenticati e che vengono descritti nelle loro peggiori manchevolezze, arrivando, qualche volta, anche al limite della caricatura. Mi sono chiesto allora se Barbareschi, il produttore di questa fiction storica e di cui conosciamo una vicinanza ideologica e d'azione con movimenti di destra (pur dichiarandosi socialista),non abbia inaugurato con questa rappresentazione, in una Rai ovviamente oggi lotizzata dai partiti di governo ( e che ha co-prodotto la fiction), una sorta di voluta distanza dai personaggi peggiori del fascismo per promuovere figure di quel ventennio, complesse e comunque meritevoli di attenzione o di interesse, con l'obiettivo finale di far percepire la diversità della destra odierna dalle sue peggiori origini. Già le sue dichiarazioni su Giorgia Meloni (la stimo infinitamente) o  su coloro che assaltarono la CGIL (sono subumani, la capitale da decenni è in mano a un branco di delinquenti), senza dimenticare i comportamenti arroganti e maleducati che l'attore/produttore ha mantenuto durante la presentazione in conferenza stampa della fiction, sono emblematiche nel voler marcare la distanza tra una visione radicale fascista e un'incensamento verso la nuova destra e della copertura che lo stesso Barbareschi gode in Rai. In una frase, si potrebbe allora dire che il pensiero ricorrente in questa ultima Rai potrebbe diventare: non abbiamo più paura a rappresentare i nostri scheletri nell'armadio. Un tentativo evidente di annacquare i tratti peggiori del fascismo e di creare una base di pensiero che rassicuri il Paese sulle intenzioni governative di coloro che, pur proveniendo da quei lidi, oggi non hanno ancora preso una chiara posizione antifascista e galleggiano tra antiche prosopopee e il cosidetto nuovo che avanza. A pensar male del prossimo...

Giorgio Giannoni

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