Credo valga la pena fare qualche considerazione un poco più approfondita sulla fiction televisiva"La lunga notte. La caduta del Duce", prodotta da Luca Barbareschi. Non fosse altro perche questa produzione televisiva possiede una sua forza e un suo costrutto da non poter essere facilmente etichettata come "propaganda di regime".
A questo punto occorre parlare di Dino Grandi che non può essere liquidato come un "semplice" fascista della prima ora ma, occorre dirlo, era un uomo intelligente e politicamente di grande livello che seppe muoversi dall'ascesa del fascismo alla fine del ventennio tra efferatezze, violenze e la stessa Marcia su Roma con un intelligente e ambizioso criterio personale con il quale seppe armonizzare le spinte più estreme e un pensiero che, sebbene fascista e interventista, gli permise di rimanere sempre in auge durante tutto quel periodo. Consiglio a tutti di leggere sulla Treccani la sua biografia. La figura di Dino Grandi, così come è raccontata (cioè da fiction) trasforma questo complesso personaggio, pieno di bon ton e buone maniere, (ben definito e interpretato dall'attore Alessio Boni) in una sorta di salvatore della Patria. Una figura carismatica che si muove in un contesto degradato, sentito senza ritorno e che sente di dover cambiare assolutamente (sebbene la sua ipotesi post-Mussolini non fosse particolarmente democratica come la sua biografia illustra). La percezione finale che ne deriva pare proprio questa e dunque, nella brevità e nella semplicità di una rappresentazione televisiva, si assiste ad una lettura di un personaggio affascinante che diverte, appassiona, nel susseguirsi e nell'alternarsi di scene drammatiche e più romantiche (queste ultime fin troppo presenti nella loro sdolcinata necessità televisiva) ma, nel contesto, si coglie la mancanza di una reale lettura critica di un personaggio troppo coinvolto con il fascismo per farne un eroe. Di contraltare assistiamo ad una forte denigrazione di un ambiente e di personaggi storici che fino ad oggi parevano dimenticati e che vengono descritti nelle loro peggiori manchevolezze, arrivando, qualche volta, anche al limite della caricatura. Mi sono chiesto allora se Barbareschi, il produttore di questa fiction storica e di cui conosciamo una vicinanza ideologica e d'azione con movimenti di destra (pur dichiarandosi socialista),non abbia inaugurato con questa rappresentazione, in una Rai ovviamente oggi lotizzata dai partiti di governo ( e che ha co-prodotto la fiction), una sorta di voluta distanza dai personaggi peggiori del fascismo per promuovere figure di quel ventennio, complesse e comunque meritevoli di attenzione o di interesse, con l'obiettivo finale di far percepire la diversità della destra odierna dalle sue peggiori origini. Già le sue dichiarazioni su Giorgia Meloni (la stimo infinitamente) o su coloro che assaltarono la CGIL (sono subumani, la capitale da decenni è in mano a un branco di delinquenti), senza dimenticare i comportamenti arroganti e maleducati che l'attore/produttore ha mantenuto durante la presentazione in conferenza stampa della fiction, sono emblematiche nel voler marcare la distanza tra una visione radicale fascista e un'incensamento verso la nuova destra e della copertura che lo stesso Barbareschi gode in Rai. In una frase, si potrebbe allora dire che il pensiero ricorrente in questa ultima Rai potrebbe diventare: non abbiamo più paura a rappresentare i nostri scheletri nell'armadio. Un tentativo evidente di annacquare i tratti peggiori del fascismo e di creare una base di pensiero che rassicuri il Paese sulle intenzioni governative di coloro che, pur proveniendo da quei lidi, oggi non hanno ancora preso una chiara posizione antifascista e galleggiano tra antiche prosopopee e il cosidetto nuovo che avanza. A pensar male del prossimo...
Giorgio Giannoni
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