01 settembre 2022

PENSIERI STUPENDI: Primo settembre, una data da tenere a mente



La data del primo settembre adombra da sempre foschi fantasmi. Tutti ricordiamo il folle inizio della Seconda Guerra Mondiale con l'invasione, da parte delle truppe naziste, della Polonia il 1° settembre del 1939. Questo anniversario, oggi, è carico di presagi infausti che aleggiano a Zaporizhzhia, in Ucraina, ricordandoci la folle stupidità umana di giocare con l'energia nucleare (che dimostrò proprio a termine di quella guerra la sua inutile potenza distruttiva) e che si sono materializzati nell'immensa esercitazione militare nell'estremo est russo dove oltre alla Russia, alla Cina e all'India si è visto partecipare Laos, Mongolia, Nicaragua, Algeria, Siria, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.


Ancora una volta l'eterna follia della guerra, già in forte movimento in Ucraina, allarga pericolosamente i propri confini ignorando le più semplici ragioni di sicurezza sull'uso dell'atomo e prepara nuovi scenari  funzionali a gerarchie di potere che vogliono dimostrare, sempre e comunque, con la storia alla mano, che gli antichi mandati, ricevuti precedentemente, siano ancora validi e debbano essere non solo difesi ma nuovamente imposti. Follia nella follia. Dunque, crediamo di sapere dove stanno verità e libertà, combattiamo nel loro nome, nella sicurezza di essere nel giusto mentre invece abbiamo un grande vuoto nella mente ma non ce ne accorgiamo. Yuri Camisasca lo ricorda a tutti e Henry Laborit, ancora una volta, faticosamente e inutilmente dipinge il reale concetto di libertà che non è quello di scannare chicchessia nell'accettare i dettami di un inconscio sempre prevaricante e gonfio della ricerca del potere ma semplicemente quello, inalienabile, per evitare gli spargimenti di sangue, di conoscere se stessi e sostituire a questa distorta concezione di libertà almeno quello di una improba, reciproca tolleranza. Franco Battiato, infine, ci invita alla speranza.

G.G.


                  Yuri Camisasca "Ho un grande vuoto nella testa" live
 

LA LIBERTA'

di Henry Laborit da Elogio della Fuga

Nel corso delle numerose conferenze che ho fatto, mi sono reso conto che parlare di assenza di libertà umana sconvolge sempre l'uditorio, che sembra non afferrare il concetto qualunque sia la sua struttura sociale. La nozione di libertà è confusa perché non si precisa mai in che cosa consista la libertà di cui si parla, che rimane così un concetto vago e affrontato passionalmente. Ammettere che là libertà umana non esiste è difficile, perché provoca il crollo di tutto un mondo di giudizi di valore senza i quali la maggioranza degli individui rimane disorientata. Assenza di libertà vuoi dire assenza di responsabilità, e quest'ultima significa a sua volta assenza di merito, negazione del suo riconoscimento sociale, crollo delle gerarchie. Pur di non perdere il quadro concettuale in cui si è sviluppato il narcisismo, dalla nascita in poi, la maggior parte degli individui preferisce addirittura rifiutare di discutere l'argomento. Si ammette che la libertà sia "un dato immediato della coscienza". Ebbene, noi "chiamiamo libertà la possibilità di realizzare atti che ci gratificano, di realizzare il nostro progetto, senza scontrarsi col progetto altrui. Ma lo spazio gratificante non è libero". Anzi è completamente determinato. Per agire, bisogna essere motivati e sappiamo che la motivazione, quasi sempre inconscia, viene da una pulsione endogena, o da un automatismo acquisito, e cerca solo la soddisfazione, il mantenimento dell'equilibrio biologico, della struttura organica. L'assenza di libertà è dunque il risultato dell'antagonismo di due determinismi comportamentali e della predominanza di uno sull'altro. In un insieme sociale, si potrebbe ottenere l'ingannevole sensazione di essere liberi, facendo in modo che, grazie agli automatismi culturali, il determinismo comportamentale di ogni individuo avesse la stessa finalità, ossia facendo in modo che la programmazione di ogni individuo avesse lo stesso scopo, ma posto al di fuori di lui. Anche questa sarebbe solo apparenza, perché in realtà l'individuo agirebbe ancora nel proprio interesse, per evitare la punizione sociale o meritare la ricompensa, in definitiva per gratificarsi. Ciò è possibile in periodo di crisi, in qualunque regime socioeconomico, cioè in un sistema gerarchico di dominanza.

L'ingannevole sensazione di libertà si spiega col fatto che generalmente ciò che condiziona la nostra azione appartiene alla sfera dell'inconscio, mentre il discorso logico appartiene alla sfera della coscienza. E il discorso ci permette di credere alla libertà di scelta. Ma come fa una scelta a essere libera, se siamo inconsapevoli dei motivi di tale scelta, e come si fa a credere all'esistenza dell'inconscio, che per definizione è, appunto, inconscio? Come si fa a diventare coscienti delle pulsioni primitive, trasformate e controllate dagli automatismi socioculturali, quando questi ultimi, puri giudizi di valore di una data società in una determinata epoca, sono innalzati al rango di etica, di principi fondamentali, di leggi universali, mentre sono solo strategie messe in atto da una struttura sociale di dominanza allo scopo di perpetuarsi, di sopravvivere? Le società liberali sono riuscite a convincere l'individuo che la libertà consiste nell'obbedienza alle regole delle gerarchie del momento, e nell'istituzionalizzazione delle regole da rispettare per salire di grado in queste gerarchie.

I paesi socialisti sono riusciti a convincere l'individuo che sarebbe diventato libero quando fosse stata soppressa la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio ed egli non avesse più dovuto alienare la sua forza di lavoro al capitale, mentre in realtà egli rimane imprigionato come prima in un sistema gerarchico di dominanza.

L'ingannevole sensazione di libertà deriva anche dal fatto che il meccanismo dei nostri comportamenti sociali è entrato da poco a far parte delle conoscenze scientifiche, sperimentali, e questi meccanismi sono così complessi, e i fattori che li compongono sono così numerosi nella storia del sistema nervoso di un essere umano, che il loro determinismo sembra inconcepibile. Così il termine "libertà" non si oppone al termine "determinismo", perché si pensa al determinismo del principio di causalità lineare, il principio di causa-effetto. Per fortuna i fatti biologici ci fanno penetrare in un mondo in cui lo studio dei sistemi, dei livelli di organizzazione, delle retroazioni, dei servomeccanismi, rende questo tipo di causalità desueto e senza alcun valore operativo. Ciò non significa che un comportamento sia libero. Semplicemente i fattori in causa sono troppo numerosi, i meccanismi in gioco troppo complessi, perché esso sia prevedibile in tutti i casi. Ma le regole generali che abbiamo esaminato prima schematicamente ci permettono di capire che i comportamenti sono programmati interamente dalla struttura innata del sistema nervoso e dall'esperienza socioculturale.

Come essere liberi quando un'implacabile falsariga esplicativa ci impedisce di concepire il mondo in modo diverso da quello imposto dagli automatismi socioculturali che essa comanda? Quando la sedicente scelta dell'uno o dell'altro deriva dalle pulsioni istintive, dalla ricerca del piacere attraverso la dominanza e dagli automatismi socioculturali determinati dalla nicchia ambientale? Come essere liberi quando sappiamo che nel nostro sistema nervoso ci sono solo, interiorizzati, i rapporti con gli altri? Quando sappiamo che un elemento non è mai separato da un insieme? Che un individuo, isolato da ogni ambiente sociale, inselvatichisce e non diventerà mai un uomo? Che l'individuo non esiste al di fuori della sua nicchia ambientale, diversa da ogni altra, che lo condiziona interamente a essere ciò che è? Come essere liberi sapendo che l'individuo, elemento di un insieme, dipende anche dagli insiemi più complessi che inglobano l'insieme a cui appartiene? Quando sappiamo che l'organizzazione delle società umane fino all'insieme più vasto, la specie, avviene secondo livelli di organizzazione ciascuno dei quali rappresenta il comando del servomeccanismo che controlla la regolazione del livello sottostante? La libertà, o perlomeno l'immaginazione creatrice, si trova solo a livello della finalità del più grande insieme, e probabilmente anche a questo livello obbedisce a un determinismo cosmico che ci sfugge perché non ne conosciamo le leggi.

"La libertà comincia dove finisce la conoscenza" (J. Sauvan). Prima, non esiste, perché la conoscenza delle leggi ci obbliga a rispettarle. Dopo esiste solo per l'ignoranza delle leggi future e per la nostra convinzione che esse non ci comandino, dato che le ignoriamo. In realtà, ciò che può chiamarsi "libertà" (se proprio teniamo a questa parola) è l'indipendenza, molto relativa, che l'uomo può acquistare scoprendo parzialmente e progressivamente le leggi del determinismo universale. Allora, ma soltanto allora, diventa capace di immaginare un modo di servirsi di queste leggi per sopravvivere meglio, e ciò lo immette in un altro determinismo, tipico di un altro livello di organizzazione, fino a quel momento ignorato. E' compito della scienza raggiungere nuovi livelli di organizzazione delle leggi universali. Finché ha ignorato le leggi della gravitazione, l'uomo ha creduto di poter essere libero di volare. Ma, come Icaro, si è sfracellato al suolo. O meglio, ignorando che aveva la possibilità di volare, non sapeva di essere privo di una libertà che per lui non esisteva. Una volta scoperte le leggi della gravitazione, l'uomo è potuto andare sulla luna. Così facendo, non si è liberato da quelle leggi, ma le ha adoperate a suo favore.

Neppure quando l'uomo assolve pienamente al suo compito di Uomo arrivando, grazie alla sua immaginazione creatrice, non a sottrarsi ai determinismi che lo alienavano, ma, applicando le loro leggi, a servirsene nel modo migliore per la sua sopravvivenza e il suo piacere, neppure in questo caso compie una scelta, una libera scelta. Perché la sua immaginazione funziona solo se lui è motivato, dunque animato da una pulsione endogena o un avvenimento esterno. E la sua immaginazione può funzionare solo adoperando un materiale memorizzato che non ha scelto liberamente ma che gli è stato imposto dall'ambiente. E infine quando una o più soluzioni nuove saranno in apparenza offerte alla sua "libera scelta", agirà ancora una volta rispondendo alle sue pulsioni inconsce e ai suoi automatismi di pensiero, altrettanto inconsci.

E' interessante cercar di capire le ragioni per cui gli uomini si attaccano disperatamente al concetto di libertà. Per prima cosa occorre notare che per l'individuo è rassicurante pensare di esser libero, di poter "scegliere" il proprio destino, di poterlo costruire con le proprie mani. Stranamente, appena viene al mondo cerca invece una rassicurazione nell'appartenenza a un gruppo (familiare, poi professionale, di classe, di nazione, eccetera) che limiterà per forza la sua presunta libertà, poiché le relazioni che si stabiliranno con gli altri individui del gruppo si formeranno secondo un sistema gerarchico di dominanza, L'uomo libero desidera soprattutto essere paternalizzato, tutelato dal numero, dall'eletto, o dall'uomo della provvidenza, dall'istituzione, in virtù di leggi protettive stabilite dalla struttura sociale di dominanza.

Gli piace anche pensare che, essendo libero, è "responsabile". Si può notare che questa supposta responsabilità aumenta col livello raggiunto nella scala gerarchica. Sono i dirigenti e i padroni, naturalmente, a essere responsabili, e la responsabilità è alla base del corrispettivo di dominanza concesso a coloro a cui tocca la responsabilità.

Infatti, grazie alla responsabilità possiamo acquistare un "merito" che viene allora ricompensato con la dominanza concessa dalla struttura sociale che abbiamo contribuito a consolidare.

E l'uomo, libero di sottomettersi al conformismo imperante, fa sfoggio, bene impettito, delle sue decorazioni, si pavoneggia e può così soddisfare l'immagine ideale che si è fatto di se stesso guardandosi riflesso, come Narciso, sulla superficie limpida di un ruscello: si rispecchia nella comunità umana di cui fa parte.

Ma non esistendo libertà di decisione, non può esistere neppure responsabilità. Tutt'al più si può dire che, dal punto di vista professionale, l'adempimento di una funzione esige un certo livello di astrazione, determinate cognizioni tecniche e una certa quantità di informazioni professionali che permettono di garantire questa funzione. In possesso di queste acquisizioni la decisione diventa obbligatoria, ecco perché ci si affida sempre più ai calcolatori. Oppure, se c'è la possibilità di più scelte, la soluzione adottata riguarda la sfera dell'inconscio pulsionale o dell'acquisizione socioculturale. Fanno la guerra nel Vietnam con i calcolatori e la perdono perché la scelta delle informazioni date al calcolatore non è libera, ma comandata dagli stessi meccanismi inconsci.

Si può obiettare che raccogliere le informazioni è un lavoro duro che esige una "volontà" particolarmente tenace. Ma nei meccanismi nervosi centrali, dove è situata questa volontà così tipica degli uomini forti? Non rappresenta forse unicamente la potenza della motivazione più volgare, la ricerca del piacere e il suo conseguimento, quasi sempre attraverso la dominanza? Più l'appagamento del desiderio è sentito come indispensabile alla sopravvivenza, all'equilibrio biologico, alla "felicità", più la motivazione, cioè la volontà, sarà tenace nello sforzo di appagarlo. Chi può negare quella parte dell'apprendimento socioculturale che, dall'infanzia, di generazione in generazione, segnala ai cuccioli dell'Uomo che lo sforzo, il lavoro, la volontà sono la base del successo sociale, dell'ascesa nelle gerarchie, dunque della felicità? L'ideale dell'io non può affermarsi in tale contesto senza favorire la "volontà". Ma chi avrà la tracotanza di sostenere che essa è espressione di libertà?

Ricapitolando, la libertà, lo ripetiamo, è concepibile solo quando ignoriamo ciò che ci fa agire. Può esistere, a livello cosciente, solo se ignoriamo ciò che popola e anima l'inconscio. Ma l'inconscio stesso, parente del sogno, potrebbe far credere di aver scoperto la libertà. Purtroppo le leggi che regolano l'inconscio e il sogno sono altrettanto rigide, ma non possono essere espresse sotto forma di discorso logico. Sono la rigorosa espressione della complessa biochimica che stabilisce, dal momento della nascita, il funzionamento del nostro sistema nervoso.

Bisogna riconoscere che questa nozione di libertà ha favorito invece l'istituzione di gerarchie di dominanza perché, ignorando ancora le regole che ne governano l'istituzione, gli individui hanno potuto credere che le avevano scelte liberamente e che nessuno gliele aveva imposte. Quando esse diventano insopportabili, credono di cercare liberamente di disfarsene.

Combattere l'ingannevole idea di Libertà significa sperare di conquistarne un po' sul piano sociologico. Ma per far questo non basta affermare la sua assenza. Occorre anche smontare i meccanismi comportamentali, mettendoli in evidenza, per far capire perché essa non esiste. Solo allora sarà possibile controllare questi meccanismi e arrivare a un nuovo stadio del determinismo universale che per qualche millennio avrà un buon odore di Libertà, paragonato all'odore che c'è sul pianerottolo in cui l'umanità si trova ancora.

Abbiamo mai pensato poi che, appena si abbandona la nozione di libertà, si arriva immediatamente, senza sforzo, senza inganno di linguaggio, senza esortazioni umaniste, senza trascendenza, alla semplicissima nozione di "tolleranza"? Ma anche in questo caso si tratta di togliere a essa l'apparenza di gratuità, di dono magnanimo di levare ogni merito a colui che pratica questo comportamento lusinghiero pervaso di umanità, sempre consigliabile, anche se mai messo in pratica, perché, in quanto liberi, non siamo obbligati a praticarlo. Eppure è probabile che la causa dell'intolleranza, in ogni campo, sia proprio credere l'altro libero di agire come agisce, cioè non conformemente ai nostri progetti. Lo crediamo libero, quindi responsabile delle sue azioni, dei suoi pensieri, dei suoi giudizi. Lo crediamo libero e responsabile di non aver scelto la via della verità, che è evidentemente quella da noi scelta. Ma se immaginiamo che ognuno di noi fin dal concepimento è stato messo su binari da cui non può allontanarsi, se non "deragliando", come possiamo provar rancore per il suo comportamento? Come non tollerare, anche se ci da fastidio, che non transiti dalle nostre stesse stazioni? Stranamente siamo più tolleranti proprio con coloro che "deragliano", i malati di mente, coloro che non sopportano il percorso imposto dalle ferrovie dello Stato, dal destino sociale. E' vero che è facile sopportarli in quanto stanno rinchiusi nelle prigioni degli ospedali psichiatrici. Da notare inoltre che gli altri sono intolleranti nei nostri confronti perché ci credono liberi e responsabili delle opinioni, contrarie alle loro, che esprimiamo. Lusinghiero no?

 

              Vorrei suggerire un messaggio di pace: 

 

                           Franco Battiato-"Strade dell'Est" live
 

Nessun commento:

Posta un commento