25 giugno 2023

PENSIERI STUPENDI: Neanche a morire siamo tutti uguali di Giorgio Giannoni

 


La tragedia che si è consumata nell'Atlantico si presta, purtroppo, a varie considerazioni, soprattutto se ne parliamo in concomitanza all'altra tragedia, avvenuta qualche tempo prima nel Mar Mediterraneo. Valutazioni che hanno in comune il sentire di molti  esseri umani del pianeta che si sono sentiti in dovere di solidarizzare, di empatizzare con i protagonisti di entrambi i naufragi mentre altri hanno sicuramente portato dei distinguo in relazione alla "qualità" e alla "quantità" delle due sciagure, aprendo, di fatto, una contrapposizione, sulla povertà e sulla ricchezza dell'essere umano mentre i media del mondo hanno trovato modo di proporre morbosamente, giorno dopo giorno, la sola notizia  del batiscafo e dei suoi importanti occupanti in difficoltà.


Molti diranno, in fin dei conti, che la colpa della morte di seicento migranti (con quasi 100 bambini!) sia dovuta alla mancata e tempestiva risposta nell'occuparsi di un battello che, una volta individuato, mostrava chiaramente la propria pericolosità, stipato, come era, all'inverosimile di sfortunati migranti e pare, a seguire, alla successiva imperizia della guardia costiera greca nel tentativo di rimorchiare il battello con le conseguenze terribili che si sono verificate.

Dall'altro lato un battello da immersioni profonde, considerato un gioiello di tecnologia, probabilmente imploso nel suo tentativo di raggiungere lo scafo del Titanic per vedere e fotografare il relitto, uccidendo così i cinque occupanti. Di loro si conoscono volti e nomi, un privilegio che non è toccato alla massa di sconosciuti morti nel Mediterraneo e, caso del destino, il magnate all'interno e il figlio erano di origine pakistana (sebbene naturalizzati inglesi) come molti di coloro morti nel nostro mare.

Una prima considerazione ci suggerisce di mostrare cordoglio per tutti queste persone, accomunate nel loro perfido destino, ma sarebbe troppo comodo, qualunquisticamente, rubricare queste notizie come molte altre e guardare avanti. Un pensiero per i poveri sfortunati e nient'altro. L'ignavo, aiutato, nella sua breve commiserazione dal continuo logorio dei media che, dopo l'accaduto, hanno reiterato pedissequamente la notizia, ne ha ben presto avuto abbastanza dell'accaduto rimuovendo ogni interesse residuo. 

Poi sono entrati in campo coloro che, non vogliono mai schierarsi, mantendo una evidente superficialità di pensiero nel dare la colpa, indistintamente, ai partecipanti della propria morte. Come dire (prima di girare l'attenzione da qualche altra parte) che queste persone se la sono cercata. Quei poveri disgraziati non dovevamo migrare, mettersi in mano a degli irresponsabili ne tantomeno come hanno potuto quegli sfaccendati ricconi rinchiudersi in una bara tecnologica e avventurarsi nelle profondità marine? Dunque arrangiatevi, è colpa vostra. La classica posizione di chi è abituato poco a ragionare e che nella testa preferisce lasciare il posto a cose più leggere, poco importanti, come passare il proprio tempo nel cellulare.

Eppure, non dovrebbe sfuggire il fatto che questi due gruppi di persone sono uniti, oltre che dalla morte, da una necessità che si declina (ed è proprio qui la differenza) in due modi diversi. I migranti hanno dovuto praticare la necessità dei bisogni primari: dover mangiare e bere, trovare un lavoro, un sostentamento e cambiare o inaugurare una nuova maniere di esistere. Dunque avventurarsi, coscientemente e volutamente, su una piccola, insicura nave per arrivare in un luogo adatto ai loro sogni. Queste persone non hanno avuto tempo di fantasticare sui misteri del pianeta, sul "romantico" destino di una nave sfortunanta o sull'avventuroso vivere di qualche annoiato ricco imprenditore. Ogni loro interesse era diretto alla propria sopravvivenza nel normale ciclo della vita,  cercando di non mettere a rischio la propria esistenza per puro diletto o nella ricerca di brividi di piacere e di godimento. Anzi, erano troppo occupati a tentare di scansare proprio quei pericoli, quelle contingenze che la loro sfortuna di appartenere agli angoli sbagliati del pianeta, gli provocava. 

Dall'altro lato, la necessità è più profonda, più subdola ed affonda le radici nell'inconscio. Soddisfare i desideri più arcani, le voglie più esagerate sono i tratti di spinta della parte animale più profonda di tutti noi. Qui i bisogni consci primari non solo sono soddisfatti (basti pensare agli occupanti e alle loro vite di persone ricche ed agiate) ma nella smodatezza esistenziale emerge quella maggiore ricerca fuori scala, tutta inconscia, che i greci antichi chiamavano hybris. Quell'orgoglio esagerato che spinge a compiere gli atti peggiori, i godimenti più perversi, le scelte più stupide perchè le tasche di queste persone lo permettono, senza guardare le conseguenze verso se stessi o i propri famigliari. E', ancora una volta, una rappresentazione di potere, mascherata dalla propria possibilità di poter superare i limiti ed arrivare a scelte estreme che solo pochi possono praticare.

I migranti annegati non praticavano l'hybris, semplicemente speravano coscientemente di poter cambiare la propria esistenza, fatta di precarietà, di fame, di sopprusi rischiando la propria vita per un necessario cambio di paradigma. Se avessero potuto non sarebbero saliti su quella carretta del mare, non avrebbero fatto rischiare la vita delle loro mogli e dei loro figli; semplicemente sono stati costretti ad un rischio così odioso e terribile dall'intransigenza di una umanità che, nel suo profondo, non è capace di leggere la propria ambiguità di fondo. I passeggeri del batiscafo, ebbri di una vita esagerata e ricca hanno sfidato i limiti biologici imposti all'essere umano che abita il pianeta. Questa è la reale visione moderna dell'hybris. Come i passeggeri celesti che oggi salgono sui nuovi razzi per circumnavigare la Terra, togliendosi lo sfizio o il desiderio del proprio inconscio. Pratiche, evidentemente del tutto lecite, mediate però dalla possibilità di avere quella ricchezza, dominio di pochi, che manca totalmente alla massa più grande dell'umanità. Occasioni, sintomatiche di uno stato dei tempi e di una visione della vita basata sul troppo, sull'esagerazione, sul superare il confine della decenza, sullo sfruttamento e sulla coercizione.

Allora la chiave di lettura è sempre quella che da millenni attraversa la vita del Sapiens. Ovvero la diseguaglianza esistenziale tra una massa di diseredati alla ricerca del proprio necessario senso vitale ed una minoranza, arricchitasi in una società che permette, nelle proprie gerarchie, iniquità ed esagerazioni, che vuole divertirsi superando quella soglia di rispetto verso i più sfortunati. Molti osserveranno che, in fin dei conti, ognuno fa quello che vuole, anche andare in fondo all'oceano e magari morire per sfortuna o imperizia tecnica. E' certamente vero, ma il drammatico risiede proprio nel fatto che molti non considerano queste azioni una stupidaggine bensì un'atto di comprensibile avventura nel voler andare a cercare una nave affondata tanti anni prima, rivestita da un alone di romantica storia mentre, le innumerevoli barche affondate nel Mediterraneo con decine di migliaia di disperati vengono rapidamente dimenticate e lasciate al più terribile oblio.

Che le cose stiano in questi termini si è decisamente notato dalla considerazione mediatica e generale dovuta a questi protagonisti benestanti da parte del mondo, espressa nella smodatezza con la quale si è messo in moto tutta la ricerca necessaria, amplificata da incredibili mezzi e materiali, giusta certamente nella sua umanità, che ha però cozzato pesantemente contro ciò che era accaduto nel Mediterraneo dove l'imperizia verso i migranti, lo scaricabarile delle responsabili, l'indifferenza delle autorità sono stati l'evidente controaltare a quanto invece è stato successivamente praticato nell'Atlantico. Due pesi e due misure che rappresentano le differenze sistemiche, a tanti troppi livelli, che attraversano il pianeta. Alla fine questi due avvenimenti, pur nella loro incontrovertibile tragedia, ci insegnano che neppure nella morte siamo e saremo mai veramente uguali. 

Giorgio Giannoni

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