25 settembre 2022

SULLE SPALLE DEI GIGANTI: Pharoah Sanders & Luise Fletcher ci salutano


Forse qualcuno potrebbe obiettare sulla celebrazione di troppe persone che, in questi ultimi tempi, hanno abbandonato il pianeta. D'altronde chi scrive non è certo giovane e, una volta presa coscienza della piccolezza di molti cosidetti creativi in campo musicale, cinematografico, sociale, politico, ecc.di questo tempo moderno, il rifugiarsi sulle spalle dei giganti diventa ineludibile quanto inevitabile.


 C'è da aggiungere che la morte è un argomento che il mondo occidentale tende sempre di più a nascondere e mascherare perchè l'eterna giovinezza e il godimento quotidiano non deve essere disturbato da inutili spaventi e da ipotesi di finitezza umana. I cosidetti Anni Buoni hanno solitamente questo nome dato loro dai Baby boomers del momento perchè sono stati realmente caratterizzati da cambiamenti a tutti i livelli e da una consapevolezza vitale non da poco e se le generazioni odierne si sono orientate sulla bassa manovalanza non dipende tanto dalla nostra parziale incapacità di trasmettere le buone novelle di quel periodo quanto dalla sete inconscia di benessere e di godimento che gli anni successivi hanno sempre di più instillato nei cittadini e nelle comunità, mediata da una economia sempre più pazza e da una tecnologia fuori scala. Il decadimento sociale e culturale della nostra società è sotto gli occhi di tutti e dunque oggi, a costo di sembrare monotono vorrei celebrare due ennesime rappresentazioni di quei tempi che, in questi giorni, hanno pensato bene di togliersi dai piedi.




Il primo  è il gigantesco, immenso sassofonista Pharoah Sanders, icona di un jazz mistico e spirituale capace di vette sublimi di suono e parole, scomparso ieri a 81 anni. Questa recensione di Spaccamascella (da DeBaser) del 2008, scritta nel primo pomeriggio del 13 maggio ci ricorda lo splendido album Karma e la leggendaria "The creator has a masterplan", un brano famoso capace di mostrare la sua grande sensibilità musicale e le visioni positive che aleggiavano nel periodo quando guardavamo il futuro con maggiore entusiasmo e curiosità.

RECENSIONE DI KARMA 1970 PHAROAH SANDERS

"Probably the best tenor player in the world." Questo disse Ornette Coleman di Pharoah Sanders, forse esagerando un po', ma come biasimarlo. Basta infatti ascoltarlo per pochi secondi per restare affascinati dalla sua intensità e dalla profondità spirituale con cui forse solo il grande John Coltrane può competere.

Farrell Sanders (il suo vero nome) nasce in Arkansas nel 1940 e comincia giovanissimo a suonare il sax tenore. Negli anni sessanta si trasferisce a New York dove inizia a suonare con artisti eccezionali, basti pensare che l'appellativo Pharoah (Faraone) gli fu dato dal mitico Sun Ra con il quale suonò insieme per un periodo. Dal 1965 inizia a suonare anche con John Coltrane contribuendo alla sperimentazione del free-jazz, non a caso Sanders suonerà in "Ascension" e "Meditations". I due grandi sassofonisti si influenzarono a vicenda, tanto Coltrane nell'ultima parte della sua carriera quanto Sanders nei suoi dischi futuri coniarono un linguaggio nuovo la cui base di partenza resta la sperimentazione del periodo trascorso insieme, ad esempio lo stile di Sanders è caratteristico per l'uso degli "sheets of sound", mutuato da John Coltrane. Pharoah vanta altre prestigiose collaborazioni, nel '68 partecipò al Jazz Composer's Orchestra Association di Carla Blay e Michael Mantler incidendo l'album "Communications" in cui suonano anche Don Cherry, Larry Coryell, Cecil Taylor e Gato Barbieri, e in cui suona quello che viene definito da John Zorn "the most intense and inspiring free tenor solo ever put to tape". Tra gli anni sessanta e settanta inizia la sua carriera "solista", dedicandosi a poche collaborazioni, incidendo dischi epocali. Il suo capolavoro, o comunque il disco a cui è dovuta maggiormente la sua fama, è "Karma" risalente al 1970 inciso per la Impulse. Questo disco si inserisce nel filone del cosiddetto "spirituali-jazz" e sembra quasi una continuazione di "A Love Supreme" anche se il capolavoro di Coltrane nel suo essere supremo è al di sopra di ogni categoria, mentre in Karma sono più evidenti elementi di musica Indiana e Africana.

L'album si apre con la leggendaria "The Creator Has a Master Plan" di quasi 33 minuti, composta con il vocalista e percussionista Leon Thomas, con al piano Lonnie Liston Smith, al flauto James Spaulding, al corno francese (il corno da caccia) Julius Watkins; al basso Reggie Workman che suonò anche con Coltrane e Richard Davis che appare anche in "Out To Lunch" di Eric Dolphy; alla batteria Billy Hart e alle percussioni Nathaniel Bettis.



                The Creator Has a Master Plan

Pharoah Sanders: tenor saxophone; William Henderson III: piano; Alex Blake: bass; Hamid Drake: drums. Recorded live in Leverkusen, Germany, 19th October 1999.

L'overture è affidata al sax di Sanders che ricorda il lamento di un muezzin e l'odore di incenso; è la preghiera di apertura prima del rito (intro che verrà ripresa dai Gun Club nell'album "Las Vegas Story" nella canzone "The Creator Was A Master Plan"). Si rimane subito affascinati e catturati dalla musica e l'introduzione non è altro che l'annuncio di un lungo viaggio. Quando Leon Thomas inizia a cantare c'è la rivelazione divina: "The creator has a master plan / peace and happiness for every man / The creator has a working plan / peace and happiness for every man / The creator makes but one demand / happiness through all the land". Quest'album è la trasfigurazione sonora di un viaggio dantesco alla ricerca del disegno divino ("There was a time, when peace was on the earth / And joy and happiness did reign and each man knew his worth / In my heart how I yearn for that spirit's return / And I cry, as time flies / Om, Om"), e Pharoah ci guiderà passo passo, avendo fede nel piano divino anche nei momenti più difficili perchè sa che chi arriva al termine sarà ricompensato ("There is a place where love forever shines / And rainbows are the shadows of a presence so divine / And the glow of that love lights the heavens above / And it's free, can't you see, come with me"). Un viaggio spirituale dunque, una prova che può durare una vita oppure una sola giornata, o che può non esaurirsi in questa vita, ma continuare finché non si raggiunge il nirvana. E' un viaggio difficile perciò, ostile, che può essere superato solo da chi ha la forza per credere che la ricompensa finale vale più della sofferenza incontrata durante il percorso. Il travaglio e la sofferenza sono espressi dal free-jazz, dalle urla, dal disordine infernale che percorrono la canzone nel mezzo del cammino. Il sax di Sanders è infuocato, inquieto, un pathos quasi insostenibile. Pian piano la confusione ritorna alla tranquillità, ci si avvicina alla meta e Leon ricomincia a cantare il tema iniziale, quasi ricordando che il Master Plane non sarà disatteso. La successiva "Colors" infatti è immersa in un clima di pace, finalmente si è raggiunto il nirvana, la tranquillità, la redenzione.

Probabilmente alla fine potrete ritrovare voi stessi e rendervi conto che quest'album, come a volte la vita, una storia, non sarebbe un tale capolavoro senza tutto il sangue e sudore gettato strada facendo.

Un'opera da non perdere, per i jazzofili e non.

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La seconda figura è l'attrice statunitense Luise Fletcher, scomparsa ieri all'età di 88 anni. Non una famosa interprete, ma tutti noi la ricordiamo in quel meraviglioso film " Qualcuno volò sul nido del cuculo (la recensione)", dove la cattiveria dell'infermiera Mildred Ratched raggiunse vette sublimi di malevolenza donando ad un film già notevole una angolazione creativa ancora maggiore. Ricordo che "Qualcuno volò sul nido del cuculo" vinse, nel 1976, praticamente tutto sul pianeta(QUI l'elenco completo compreso l'Oscar alla migliore attrice per la Fletcher). 




Un saluto ad entrambi. Il vostro ricordo ci accompagnerà sempre.

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