03 ottobre 2022

MUSICA PROGRESSIVA ITALIANA- L'INSOLITO CONNUBIO DI UN MUSICISTA CON UN POETA: Lucio Dalla e Roberto Roversi

 

Lucio Dalla e Roberto Roversi

Dopo aver parlato di D'Andre in un contesto protoprog, prendiamo in considerazione l'opera del primo Lucio Dalla. L'approccio, anche con Lucio, riguarda i primi anni della sua carriera musicale che, probabilmente, molti non conoscono o li hanno dimenticati, conquistati da una musicalità successiva indubbiamente più semplice ma sempre di grande effetto come da una affabulazione personale più lineare, agevole ma dotata ancora di un certo fascino.


Dunque ripercoriamo quegli anni (che neanche a farlo apposta erano Anni Buoni) e raccontiamo l'importante presenza di un poeta nella costruzione di una serie di album dove musica e parole raggiunsero vette di una creatività non comune, veicolati da momenti di ricerca e di cambiamento inusuali.

Ho avuto la fortuna di ascoltare Lucio Dalla nel lontano 1976 alla Spezia, al Teatro Monteverdi assieme ad altri pochi disperati e siamo trasecolati di fronte alla forza di Automobili, il terzo album con il poeta Roberto Roversi come paroliere, denso lavoro pieno di invenzioni affabulatorie e di incredibile creatività sonora (basti pensare a Mille Miglia o Nuvolari, vere gemme innovative). Lucio Dalla, pur nella dignitosissima  e felice carriera successiva (a partire da Come è profondo il mare), non ha più toccato, a mio avviso, il perfetto incastro dei testi di Roversi con quella vena surreale che la sua musica in quegli anni trasmetteva (si capisce quanto amasse il jazz). Senza voler forzare un'appartenenza totale allla musica  progressive del periodo (che non esiste), occorre però sottolineare i tre non facili album, dal Giorno aveva cinque teste (1973), passando per Anidride solforosa (1975) e chiudendo con Automobili (1976) costruiti, appunto, assieme a Roversi in veste di poeta, paroliere. 


Ma per comprendere appieno la verve creativa e proto-progressiva di Dalla è necessario andare ancora più indietro e partire, come si dice, dalle origini. Dunque, a seguire, vi propongo l'articolo su Lucio Dalla estratto da un esilarante articolo, dove la figura di questo cantautore viene ampiamente descritta soprattutto nella prima parte della sua carriera, momento nel quale ha composto le cose migliori in assoluto. Poi sulla Gazzetta di Parma una interessante revisione dei lavori con Roversi e in particolare de Il giorno aveva cinque teste, dove l'innovatività creativa in alcuni brani ci riporta sicuramente su sentieri protoprog.
QUI John's Classic rock ci circostanzia il reale rapporto tra Dalla e Roversi.

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DROGA MAGAZINE

                                                                 
da "Te lo do io il Prog"

"La provenienza jazz di Lucio Dalla si fa sentire subito, soprattutto nell’eclettica forma espressiva; il debutto, 1999, viaggia fra potenti canzoni soul e R&B inusuali cantati scat e impennate freak, come in Intro e La paura


Il successivo Terra di Gaibola è praticamente un disco prog, e lo si capisce già dall’incipit di Il fiume e la città. Orfeo bianco è subito uno dei picchi del disco, con il suo incedere possente e i tuonanti riffs dei fiati.  DolceSusanna  e,soprattutto, ABCDEFG mantengono il disco su solidi binari progressivi, fino ad arrivare al picco, Sylvie, la canzone perfetta. L’intro è affidata ad un lugubre tappeto d’organo, e poco dopo entra un devastante basso trattato con il fuzz; parte la strofa e sale la tensione fino a sublimarsi nell’esplosione del refrain, con tanto di chitarra solista che sciorina legati a grappoli come fossero frustate. Irresistibile, non si fanno prigionieri. A chiudere degnamente un altro tris di magia, AfricaK.O. e Il mio fiore nero.



Il successivo Storie di casa mia si appunta sulla giacca un paio di episodi a tinte forti, Il bambino di fumo Il colonnello


                                     

Il giorno aveva cinque teste segna l’inizio della collaborazione con il paroliere Roberto Roversi, con cui andrà a realizzare una trilogia da considerare come spartiacque fra la prima e la seconda parte della carriera di Lucio Dalla. L’importanza dei testi si fa predominante, lo stile musicale si plasma di conseguenza per meglio veicolare i concetti del poeta bolognese. Alla fermata del tram è uno degli emblemi progressivi della trilogia Roversiana, come un manifesto programmatico di quella che sarà la proposta del duo, esplorazione musicale e concettuale, aderenza alla politica nei temi testuali, materiali futuribili nel suono. Il coyoteGrippaggioL’operaio Gerolamo e la sua ripresa ne La canzone d’Orlando gli altri punti focali dell’opera. 



Anidride Solforosa alza il tiro, già dall’operetta kosmische della title track, proseguendo con il caracollante jazz de La borsa valori. Quindi si arriva ad uno dei capolavori assoluti di Dalla, Ulisse coperto di sale. La canzone parte con un ostinato di piano, con la voce quasi urlata, arrivando in crescendo al ritornello quasi Zappiano, e subito dopo parte lo stacco rallentato, enfatico e drammatico, con il clarino a fare da contrappunto alla parte cantata, ma ecco che subito il pezzo riparte con una fuga in avanti del basso, che tesse note su note come una ragnatela. Quattro cambi di tempo nei soli primi due minuti del pezzo. Appena il tempo di riprendersi dallo stordimento di cotanta maestria che si arriva a Carmen Colon, canzone tratta da un episodio di cronaca nera, la giovanissima vittima di quello che all’epoca venne chiamato Alphabet Killer. La musica è un folk jazzato, punteggiato dalla voce impostata su registri alti. Un mazzo di fiori scomoda paragoni addirittura con i King Crimson di In the Wake of Poseidon e Lizard, mentre la conclusiva Le parole incrociate sembra citare addirittura i Second Hand di Death MayBe Your Santa Claus.



Automobili è il canto del cigno della collaborazione con Roversi, l’album più esplicitamente politico di Dalla, uno dei più infarciti di progressive; 
Intervista con l’avvocato inframezza scatti prog, musica contemporanea e aperture free. L’eco dei Genesis di Peter Gabriel rimbomba possente in Mille miglia (l’inizio molto simile a The Fountain of Salmacis). Nuvolari è un prog pianistico con un gusto retrò che non sarebbe dispiaciuto ai Roxy Music. La cavalcata de L’ingorgo ci introduce a Il motore del 2000, l’episodio più celebre del disco, la Welcome to the Machine di Lucio Dalla. A chiudere Due ragazzi, altro rimando ai Genesis, questa volta di The Lamb Lies Down on Broadway. ( di Diego Foschi da DrogaMagazine)



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"Qualcuno sostiene che il “primo” Lucio Dalla, il Dalla cosiddetto sociale, fosse il più intenso. Forse è vero. In particolare la “trilogia” che vide il fruttuoso sodalizio con il poeta bolognese Roberto Roversi può essere considerato uno dei periodi più felici della produzione dell'artista scomparso il primo marzo del 2012. Primo “episodio” della cosiddetta trilogia firmata dal duo Dalla-Roversi è un disco molto interessante capace di suscitare grandi suggestioni: è “Il giorno aveva cinque teste” che rappresenta ,anche in un certo modo, l'incursione di Dalla nel rock progressivo. Come detto, questo album verrà seguito da altri due pregevoli lavori con cui si concluderà la collaborazione con Roversi: “Anidride solforosa” (1975) e “Automobili” (1976), in cui è contenuta la celeberrima “Nuvolari”. Questi tre album non venderanno tanto, ma saranno apprezzati dalla critica. E oltre quarant'anni dopo hanno ancora un loro posto nella storia della canzone italiana. E possono, a buon diritto, non sfigurare con album come i tre successivi dell'artista, quelli della definitiva affermazione e dell'ingresso nel gotha della canzone d'autore italiana: “Com'è profondo il mare” (1977), “Lucio Dalla” (1979) e “Dalla” (1980). Lavori che, assieme alla trilogia con Roversi, testimoniano del periodo artisticamente più felice del grande cantautore bolognese, un livello che Dalla in seguito riuscirà a raggiungere solo a tratti, in una carriera pur lunga e piena di soddisfazioni.

Poesie e impegno  - Criptico, ruvido, ma di grande impatto lessicale e “visivo”, nonostante qualcuno abbia bollato alcuni testi di Roversi  come troppo enigmatici, “Il giorno aveva cinque teste” è anche un disco nello stile tipico del grande artista. Amaro, ironico, dolente. Già dall'incipit, “L'auto targata TO”, in cui Dalla tra i primi si occupa di tematiche ambientali. 



Nei primi anni Settanta, infatti, il “distacco” tra uomo e natura comincia a essere percepito nella sua gravità e la denuncia di Dalla è quanto mai puntuale. L'interesse per l'ecologia del cantautore bolognese è addirittura precedente a quello che fu forse il momento più alto di denuncia della deriva ambientale, fatta guarda caso da un altro grande cantautore emiliano anche lui scomparso, Pierangelo Bertoli. Nel '76 l'artista di Sassuolo regalò infatti alla canzone italiana una perla come “
Eppure soffia”. Ritornando al disco di Dalla, il “viaggio”, da Scilla a Torino, sull'auto targata appunto TO inizia infatti da “un paesaggio che è un'Italia sventrata dalle ruspe che l'hanno divorata”. E alla fine del viaggio c'è la città della Mole in cui “i teroni (sic) sono condannati a costruire per gli altri appartamenti da cinquanta milioni”.


Un'indagine sull'uomo  - In “Alla fermata del tram”, brano questo che si potrebbe a buon diritto classificare prog, il mezzo pubblico è tutt'uno con l'incedere delle stagioni, proprio per questo insensibili all'alienazione e alle sofferenze dell'uomo. Dalla procede tra nonsense pieni invece di un'anima profondissima, con “E' lì”, quando si improvvisa stralunato speaker per annunciare che “in questa notte di serenità, di pace e di amore, è stato rinvenuto il cadavere di un uomo, morto”. Cosa “di un'eccezionalità insolita e veramente eccezionale perché erano vent'anni che in questo nostro bel mondo, nostro, non moriva un uomo. E non veniva trovato”. Da ascoltare per riflettere. Non c'è però tempo perché in “Passato presente” Dalla, da musicista sapiente, prende l'ascoltatore per mano e, citando anche un episodio storico come la Strage di Melissa, accaduta in Calabria nel '49, lo trascina in un vortice fino al presente che “è un aratro che scava dentro il cuore in fretta”. Uno dei pezzi più famosi dell'album è “L'operaio Gerolamo”. Una storia di miseria, emigrazione e  vita dura, “mentre 's'alza il sole sui monti”. Fiabesche, “Il Coyote” e la “Canzone d'Orlando”, che chude il disco e potrebbe rimandare al paladino di Carlo Magno ma anche al personaggio immortalato da Virginia Woolf (“anser, anser, che va”). In mezzo a queste due fiabe, c'è “Grippaggio”, in cui in una realtà ormai dominata dai motori non è poi così male che l'auto si guasti. Mutatis mutandis, si pensi allo smartphone, simbolo di oggi. Comunque, l'auto in panne è l'occasione per vedere “un grande verde di bosco”, ma anche “sull'argine in fila, diecimila baracche e caverne di fuggitivi”, o "giovani orsi" che "annusano i tubi di petrolio" e intanto "scuotono un ramo di pesco secco". "Pezzo zero" è infine uno "scat", forma di canto improvvisato  molto amato da Dalla.

                                     


Un disco da scoprire - "Il giorno aveva cinque teste" non è un disco che si può definire facile. Ma forse proprio per questo va scoperto. Dentro c'è molto: detto e lasciato immaginare. A partire dal disegno della copertina: donne a sinistra e uomini a destra, con abiti di epoche diverse. La donna e l'uomo moderni invece sono nudi. E, sullo sfondo, le città degli uomini".(di Gaetano Ceparano dalla Gazzetta di Parma)

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