07 febbraio 2023

EVENTI L' Associazione InSarzana presenta: E PENSARE CHE C'ERA GIORGIO GABER di e con ANDREA SCANZI

 



Anticipiamo la notizia di un grande evento prossimo di InSarzana che vedrà Andrea Scanzi, giornalista, scrittore, drammaturgo al Teatro Impavidi di Sarzana, mercoledi 29 marzo alle ore 21, impegnato in uno spettacolo incentrato sulla figura teatrale del grande Giorgio Gaber.

Per prenotazioni:
 
Ecco un primo assaggio della notizia, tratto dall'articolo sullo spettacolo pubblicato dal Fatto Quotidiano e qualche, inevitabile, immensa, proposta dell'arte di Gaber nei link che troverete. 


       E PENSARE CHE C'ERA GIORGIO GABER


Lo spettacolo si incentra sul Giorgio Gaber teatrale, quello che ha il coraggio di uscire dalla tv e che entra con Sandro Luporini nella storia.
Tutto nasce da un’idea di Andrea Scanzi, gaberiano doc ; giornalista e scrittore aretino che si è laureato ad
Arezzo nel 2000 su Gaber, De André e i cantautori di quella generazione. Scanzi conosceva Gaber, che di lui
amava dire: “Ma perché questo ventenne sa tutto di me?”. Se non fosse stato malato, Gaber sarebbe stato
correlatore nella sua tesi di laurea.

Ho visto per la prima volta Giorgio Gaber nel ’91 a Fiesole ed è da allora che gli voglio bene; sono terrorizzato dall’idea che la sua memoria si perda .
Il nome Gaber lo conoscono tutti, ma se vai a scavare ti accorgi che Giorgio Gaber è conosciuto solo in modo
superficiale. Il Gaber più forte, quello più geniale, è spesso quello che meno si conosce.
Sono convinto che Gaber e Luporini siano stati profetici almeno quanto Pasolini. In ogni loro canzone e monologo ci sono degli elementi di lucidità, profezia e forza che sono qualcosa d’ incredibile.
La presenza scenica, la mimica, la lucidità profetica, il gusto anarcoide per la provocazione, il coraggio (a volte brutale) di “buttare lì qualcosa” e l’avere anticipato così drammaticamente i tempi, fanno del pensiero di Gaber-Luporini, oggi più che mai, un attualissimo riferimento per personaggi della politica, dello spettacolo, della cultura, del nostro sociale quotidiano. E pensare che c’era Giorgio Gaber è uno spettacolo per non dimenticare un artista eccezionale . Viva Gaber! ”

La durata dello spettacolo è di circa 1 ora e 30 minuti, si articola in una narrazione e da video , proiettati sul
maxischermo con le esecuzioni di Gaber.

Regia e direzione di scena di Simone Rota

Lo spettacolo ha il patrocinio della Fondazione Giorgio Gaber. 

Giorgio Gaber se n’è andato vent’anni fa, ed ha lasciato tantissimo a chi lo ha seguito nella sua svolta teatrale. E’ riuscito ad arrivare anche alla generazione
dei cinquantenni o giù di lì, che lo hanno scoperto quasi sempre grazie ai genitori gaberiani. Ma non è arrivato, se non in parte, ai giovani.
Gaber è stato uno dei più grandi pensatori del Novecento e ha avuto solo due difetti

Il primo è che se n’è andato troppo presto, il Primo Gennaio 2003, a neanche 64 anni. Il secondo è che, una volta abbandonata la tivù all’apice del
successo nel 1969, ha detestato farsi riprendere in video. E Gaber non andava solo ascoltato, ma anche visto. Per fortuna, in quei trent’anni di perfezione di
Teatro Canzone dal 1970 al 2000, in almeno due occasioni lo “costrinsero” a eternare in video parte del suo repertorio, sul finire dei Settanta (retrospettiva
Rai) e a inizio 1990 (Versiliana). E proprio grazie a quel materiale irrinunciabile– unito alle sue apparizioni mirate nella tv svizzera – possiamo avere piena
contezza di quanto la sua presenza scenica fosse mostruosa. Gaber è un unicum artistico: lo conoscono tutti, ma in realtà non lo conosce -veramente - quasi nessuno. C’è ancora troppa gente che, quando sente il suonome, reagisce tipo effetto Pavlov dicendo sempre le stesse cose (“Eh, però la moglie berlusconiana...”). Oppure citando le solite due o tre canzoni ridotte a
slogan: La libertà, Destra-sinistra. Due brani tra tanti, e neanche i migliori. 

La seconda era un giochino che l’ultimo Gaber interpretò quasi nei ritagli di tempo, mentre quel “Libertà è partecipazione” – che troppi politici hanno citato ignobilmente, inconsapevoli del fatto che Gaber li avrebbe mandati serenamente affanculo – non era che un ritornello venuto bene e baciato da
troppo successo. Un successo che a Gaber dava un po’ fastidio, perché temeva di essere semplificato e depotenziato. Paura legittima: chi in questi vent’anni
ha cercato di annacquarlo e santificarlo – levigandone gli spigoli – lo ha reiteratamente violentato, con la scusa nobile ma talora equivoca della salvaguardia della memoria. Quando si parla di Gaber, e andrebbe fatto sempre perché Giorgio è stato un
artista prodigioso e ogni città dovrebbe avere una via col suo nome, non si può prescindere da alcuni punti fermi. Il Gaber televisivo dei Sessanta era già
geniale, ma il Gaber vero è quello del Teatro Canzone. Gaber non è mai stato facile o rassicurante: ti scorticava, non aveva pietà e sapeva elevare il concetto di invettiva a livelli inauditi. Gaber non era solo quello lirico di Non insegnate ai bambini, ma – ancor più – quello iconoclasta e spietato di Quando è moda è moda e Io se fossi Dio. Gaber non sarebbe esistito – non quello teatrale,almeno – senza Sandro Luporini, pittore, intellettuale e immane genio pigro,
con cui il Signor G ha concepito tutto (e a dirla tutta i testi sono più di Sandro che di Giorgio).

Giorgio Gaber & Sandro Luporini

Gaber non dava risposte, ma alimentava dubbi. 

Gaber è l’unico al mondo ad essere partito da Sanremo, Cerutti Gino e Torpedo Blu per poi arrivare all’eresia più conclamata del teatro incazzato e militante. 

Gaber non aveva etichette, se non quella di “anarcoide”. 

Gaber bastonava tutti, non per
qualunquismo ma per utopia. 

Gaber non era pessimista, casomai un nichilista costruttivo. 

Gaber odiava dischi e discografia, e anche per questo non è facile da avvicinare (ma se lo scopri, poi, non lo lasci più). 

Gaber era presenza scenica, forza teatrale e fisicità debordante. 
 
Gaber ci ha lasciato tutto, e noi
non abbiamo imparato quasi nulla. 

Gaber era Gaber e non avrà mai eredi
(quello che lo interpreta meglio resta Giulio Casale).

 Gaber, come Pasolini, era
profetico anzitutto quando non avrebbe voluto, sempre avanti e sempre libero.

Gaber era onestà intellettuale. ​

Gaber era risate (il monologo Luciano andrebbe insegnato nelle scuole),
 

Gaber era indignazione vitale (Qualcuno era comunista). 

Gaber era pubblico, ma anche

Gaber era un musicista sopraffino.

Gaber, se andava in tivù dopo i Settanta, lo faceva di rado, controvoglia e solo 
se ad invitarlo erano amici (Minà, Celentano, Carrà).

 Gaber era talent scout
(Battiato lo ha scoperto lui, e lo spettacolo Polli di allevamento con 
arrangiamenti di Battiato e Giusto Pio è un capolavoro assoluto). 

Gaber non
aveva paura delle contestazioni, anzi a volte le
cercava. 

Gaber e Luporini ti
cambiavano (anzi cambiano) la vita. 

Gaber era una bella persona. 

Gaber era un
cane sciolto 

Gaber era un gabbiano ipotetico. 

Gaber era italiano, per fortuna e
purtroppo.

Gaber era coscienza critica

Gaber era fratello maggiore. 

Gaber buttava lì
qualcosa, e dopo averlo visto ti sentivi meno solo. Forse addirittura migliore.


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