05 marzo 2023

MUSICA PROGRESSIVA ITALIANA: L' ANIMA LATINA DI LUCIO BATTISTI NELL'OTTANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NASCITA



"Anonima la casa, anonima la genteAnonimo anch'ioUn cane e ciak azioneAll'improvviso un morso: figlio mio! ..."  Anonimo-Anima Latina 1974 Battisti/Mogol

Oggi ricorre l'ottantesimo anniversario dalla nascita di Lucio Battisti (5 marzo 1943) ed il grande artista pare oramai dimenticato, obliato, perso nei corridoi della memoria di noi, vecchi baby boomers, oppure banalmente rievocato dalle giovani generazioni in ignobili coretti televisivi che solitamente storpiano a gran voce
La Canzone del Sole Oltretutto, tutti noi che siamo cresciuti con le sue melodie ed i suoi suoni tendiamo, da sempre, a coniugare indissolubilmente la sua musica con i grandi testi di Mogol, ignorando, di fatto, quanto fosse immensa la sola creatività sonora di Lucio.

Lo testimonia proprio il fatto che quando, anni dopo, il loro sodalizio si interruppe, la successiva, difficile ricerca musicale del cantautore venne sempre di più ignorata dai fans. Un prodromo di quei futuri cambiamenti emerse probabilmente in quel grande capolavoro che fu Anima Latina (1974), un album di rottura, complesso e strutturato come pochi, in quegli anni di ricerca sonora continua. Oggi, in questo anniversario, vale la pena riparlarne ma soprattutto riascoltarne l'innovatività e il grande cuore che i due amici seppero trasporre nel disco. Anima Latina rappresentò un evento isolato nel loro connubbio, che continuò ancora su binari più semplici, adattati ai tempi e musicalmente meglio fruibili dal pubblico, per concludersi, nel 1982, con l'abbandono di Mogol e  l'inizio della nuova sperimentazione musicale di Battisti( l'album E già).



Anima Latina è la dimostrazione della grandezza di Lucio Battisti ma soprattutto della sua voglia di fare musica, di provare nuove combinazioni, di assorbire sollecitazioni innovative, rielaborarle e creare un qualcosa di totalmente nuovo e stimolante, in barba alla sua già grande popolarità e infischiandosene del mercato. In questa presentazione abbiamo voluto interpolare due articoli, dei quali quello tratto dal libro Anima Latina di Renzo Stefanel del 2014 ci fornisce acuni interessanti particolari sulla nascita di questo capolavoro sonoro. L'altro, di Luca Cecchelli, ricostruisce il valore sonoro e testuale di quest'opera, sospesa tra rock progressivo mediterraneo, sperimentalismo e una nuova affabulazione del grande Mogol. A terminare poi una postilla di GianPaolo Castaldo che coglie, in non molte righe, l'anima creativa ma anche tecnica delle composizioni che costituiscono il disco. 

Giorgio Giannoni

                                      

Lucio Battisti, fresco del successo de Il nostro caro angelo (1973), è oramai un affermato autore di riferimento per il cantautorato italiano da almeno un decennio. Il pubblico e la critica sanno cosa aspettarsi da lui e probabilmente questo ruolo a Lucio comincia a stare stretto rispetto alla sua voglia di sperimentare. Attento ascoltatore, sente il bisogno di una “innocente evasione”, intrigato da tempo dalle influenze musicali straniere, prime fra tutte quelle che vengono dalla Gran Bretagna, dall’America e anche dal Sud America, terra che visita e nella quale si trasferisce insieme a Mogol per qualche mese tra il 1973 e il 1974.



"Nel febbraio del 1974 Mogol e Battisti partono per Argentina e Brasile. Il tour promozionale dura in tutto circa venti giorni e ha il suo culmine nell’esperienza del carnevale brasiliano, che in quell’anno cadeva tra il 27 febbraio (giovedì grasso) e il 4 marzo (martedì grasso). Battisti si esibisce alla tv brasiliana in “uno special interamente dedicato a lui e destinato ad aprirgli la strada della popolarità tra i giovani dell’America Latina”, come afferma l’Intrepido (settimanale di musica e fumetti molto diffuso tra i giovani dell’epoca) dell’ 8 agosto 1974 in un articolo non firmato e privo di altri dettagli, che ha però il pregio di mostrare tre foto scattate durante le registrazioni del programma, che mostrano Lucio indossare pantaloni e giubbetto nero sopra una maglietta gialla. Al collo, un foulard verde. Giallo e verde: i colori della bandiera brasiliana. Un po’ di ruffianeria non guasta mai. in Brasile Battisti deve fare incetta di dischi, come testimonia la palese influenza di “Lilia” di Milton Nascimento sull’armonia del brano “Anima latina”.(di Renzo Stefanel da Rock.it)


  
In quel periodo, immerso nel folklore delle musiche tradizionali di Argentina e Brasile, trova ispirazione per il suo disco più ambizioso e complesso: Anima latina. «Un’operazione culturale, quasi un esperimento» dichiarerà, un tentativo cioè di declinare in un’alchimia sonora elementi latini, cantautorato italiano e progressive rock. «La mia permanenza in Sudamerica mi ha fatto prendere coscienza di un’altra dimensione della musica […] come vita, come possibilità di stare insieme, di ballare insieme, di protestare insieme. La musica brasiliana […] non ha perso la sua funzione di consentire a chi è “in mezzo alla musica” di parteciparvi […] un grosso fatto sociale oltre che musicale» (Lucio Battisti, intervista Ciao 2001, 1 dicembre 1974).
Lucio parla di questa idea a Mogol e al ritorno in Italia, nella primavera del 1974, si mette al lavoro, prima al Mulino di Anzano vicino a Milano e più tardi negli studi Fono – Roma Sound Recordings insieme ad uno schieramento di musicisti. 


 
"Tra la fine di aprile o al massimo all’inizio del mese di maggio 1974, iniziano le prove al Mulino di Anzano del Parco. […] In data 20 maggio le prove sono terminate da qualche giorno e sono durate in tutto una decina di giorni, che però vanno spalmati in almeno due settimane, se si tiene presente che sabato e domenica non si lavorava.  E forse anche su tre settimane, se si considera che Pascoli ricorda che il chitarrista Massimo Luca, lì, in campagna, soffriva di allergie, e ogni tanto doveva tornare allo smog di città. Peraltro, il mese di maggior presenza di allergeni nell’aria è proprio maggio. La formazione delle prove è un piccolo ma agguerritissimo ed eccellente mix di musicisti underground e mainstream: Lucio Battisti a voce, tastiere e chitarra elettrica, Massimo Luca alla chitarra acustica, Bob Callero al basso, Franco Loprevite alla batteria, Claudio Maioli alle tastiere, Claudio Pascoli a flauto e sax. 

Il Mulino di Alzano

Al Mulino si provava solo “in una saletta in acustica, quella che sarebbe diventata poi la sala di ripresa, […] e il banco-mixer non era ancora stato cablato”, come ricorda il sassofonista Claudio Pascoli, circostanza confermata dal batterista Franco “Dede” Loprevite, che avrebbe voluto registrare le prove: invece Lucio “non registrava: non è che avesse un registratore o che”. E, d’altro canto, “avevamo solo gli amplificatori” aggiunge il batterista genovese. Leggermente diverso il ricordo del tastierista Claudio Maioli: “Al Mulino […] mi sembra che ci fosse per il momento solo un registratore a quattro tracce, giusto per un pronto ascolto dopo le prove, e non c’erano ancora le macchine per registrare i dischi veri e propri […]. Facemmo al Mulino una prima stesura delle canzoni, anche se si sapeva fin dall’inizio che sarebbe stato lasciato un ampio spazio all’improvvisazione in studio, e così infatti accadde” .
Si lavora per spunti che vengono sviluppati sia grazie all’apporto creativo dei musicisti, sia tramite l’approfondimento degli stessi da parte di Battisti. 
Fu lì che venne fuori la cosa dei tempi dispari. Io ne ero entusiasta e penso di avergli instillato l'idea di inserirli nell'album”, assieme a Callero, ricorda Loprevite . È quindi forse su insistenza dei due genovesi che “Macchina del tempo” diventa un 7/8 da un ipotetico originario 4/4.  A ogni modo, le canzoni non dovevano essere così informi, dato che Loprevite ricorda che “nelle prove c’erano già i testi” e che Mogol si faceva vedere, su richiesta di Lucio, per piccole modifiche degli stessi dovute a modificazioni della metrica della canzone apportate proprio durante le prove. La natura di work in progress delle prove, unita alla ricerca di nuovi suoni sul suo nuovo multieffetto/synth da parte di Battisti spiega come, dopo 38 anni, nella memoria di molti le prove sembrino essere state molto più lunghe: quando ci si annoia, il tempo sembra non passare mai".(di Renzo Stefanel da Rock.it)

Lavora duro tra prove, ripensamenti e versioni poco soddisfacenti poi completamente riarrangiate e nuovamente registrate. Battisti incide e sovraincide frasi musicali in lunghi brani dall’orchestrazione estremamente composita e stratificata, fatta di cori, fiati, percussioni e sintetizzatori: ne ricava talmente tanto materiale che in principio pensa a un disco doppio, possibilità che poi viene scartata – ad oggi comunque rimangono ancora inedite alcune registrazioni di quelle sessioni.

L’avveniristico, per l’epoca, effetto per chitarra usato da Battisti: l’EMS Synthi Hi Fli - VEMIA 3

A poco a poco prende forma il disco che per primo metterà in discussione la fama del solido cantautorato popolare di Mogol-Battisti. 

 IL BASSO MIXAGGIO DELLA VOCE

Finalmente pubblicato nel dicembre del 1974, quando i fan della prima ora posano la puntina sul disco rimangono disorientati: le parole del primo brano Abbracciala, abbracciali, abbracciati, che inizia sorniona tra rarefazioni elettroniche, sono volutamente quasi impercettibili per il basso mixaggio della voce allo stesso livello degli altri strumenti.



Il tutto secondo i piani di Lucio, come aveva preannunciato in un’intervista di Renato Marengo per Ciao 2001, per costringere l’ascoltatore a concentrarsi maggiormente sulle parole nella loro interazione musicale: «Quando uno parla in mezzo agli altri se la sua voce interessa a chi ascolta viene individuata in mezzo alle altre, magari con un po’ più di attenzione. Questo ho fatto con il mio LP: ho messo la mia voce in mezzo alla mia musica stimolando gli altri a capire le parole, ad afferrare il senso o la sola sonorità […] non perché questo sia piacevole, ma perché ascoltare significa qualcosa: e ascoltare con attenzione, magari rimettendo il disco daccapo perché non si è capito, facendo irritare chi non è riuscito ad individuare al primo ascolto una parola […] è il modo che ho scelto per comunicare con gli altri, per essere presente in mezzo agli altri».


LA MANCANZA DEL RITORNELLO, MELODIE COMPLESSE, RITMICHE COMPLICATE, TEMPI DISPARI


Il basso mixaggio della voce non è che la prima disorientante rivoluzione: man mano che si prosegue nell’ascolto ci si rende conto che tutti i brani (tranne Due Mondi) sono privi di ritornello, costruiti su lunghe sequenze musicali dominate da strumenti a corda, cori e sintetizzatori. Arrangiamenti stratificati, melodie complesse e poco immediate, ritmiche complicate in alcune sequenze da tempi dispari rappresentano la vera conquista di Battisti: allontanarsi dal suo stile formato-canzone aprendo la strada verso nuovi generi.




 I NUOVI TESTI DI MOGOL


Lontano dalle consuete immagini di quotidianità di Mogol, a questa nuova musica si sposano liriche brevi, ermetiche e crepuscolari ma di grande carica evocativa. Sono testi che raccontano, nella maggior parte delle tracce, il rapporto di coppia dal punto di vista dell’io-poetico maschile, conferendo all’album una sorta di tematica da concept avente per oggetto il rapporto uomo-donna/separazione-unione o più semplicemente il percorso umano e sentimentale di un bambino e una bambina in un mondo periferico, con evidente riferimento alle favelas brasiliane. 
Si passa così dal tripudio dei sensi di Abbracciala abbracciali abbracciati a liriche amorose più innocenti che riguardano la scoperta del sesso come Il salame o la jam pastorale Anonimoche si conclude con una citazione bandistica velocizzata de  
I giardini di marzo. Il rapporto di coppia oscilla tra critici allontanamenti e legami erotici, passando per Macchina del tempo, il brano musicalmente più complesso dell’album, incentrato sulle estreme conseguenze dell’alienazione amorosa fino ai quattro versi di Separazione naturale, il testo più breve scritto da Mogol, il malinconico allontanamento finale.
Tra le pieghe delle tematiche amorose paesaggi urbani di musica e miseria, progresso e natura contaminata tipici della vitalità sudamericana: emblematica su tutte la title track, Anima latina, con una folkloristica introduzione strumentale d’accompagnamento al quadretto di Mogol, che all’epoca ritenne essere il più bello da lui mai scritto, fino alla sfrenata danza carioca del finale.
Merita menzione anche Gli uomini celesti, samba avvolta nelle atmosfere oniriche del sintetizzatore e squarciata da un breve intermezzo percussivo, nella quale si condanna  la facilità di molte illusioni dell’epoca, prendendo le distanze da un certo conformismo modaiolo.

Un album certamente inconsueto che all’epoca spiazzò molti fedeli ascoltatori di vecchia data ai quali Battisti non regalò neppure un singolo degno di altri brani del suo migliore repertorio ma che poi, nonostante tutto, rimase per tredici settimane l’album più venduto in Italia raggiungendo il primo posto.
La critica si divise tra chi lo stroncò in pieno e chi provò timidamente a difenderlo («Battisti fa un tentativo per uscire da una certa strada: in questo senso il disco è positivo», Andrea Lo Vecchio) mentre oggi molti ascoltatori contemporanei, non necessariamente fan, a riprova del suo autentico valore, hanno notevolmente rivalutato l’album tra i migliori mai scritti dal cantautore, per alcuni addirittura il suo capolavoro degli anni Settanta, nonché precursore dell’era Battisti-Panella.

Che vogliate apprezzarlo come concept album di progressive rock mediterraneo capace di miscelare tradizioni musicali diverse e inusuali trovate ritmiche o come curioso esperimento, rimane indubbio che si tratti di un’opera unica e ineguagliabile che ha segnato non solo il percorso musicale di Battisti ma di molti altri artisti da allora fino ai contemporanei Verdena e Dente.
Un disco che ancora oggi merita un ascolto e comunque rappresenta un’altra occasione per riconfermare, se ancora fosse necessario, che Battisti è stato uno dei pochi veri cantautori italiani a “fare musica” senza nulla o poco invidiare ai colleghi stranieri. (di Luca Cecchelli da Musica 361)


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Dalla pagina Facebook LUCIO BATTISTI, viene riportato questo bellissimo post di Gianpaolo Castaldo sull'album "Anima latina":

"Lucio fece un missaggio abbassando la voce e alzando l'orchestra. Quando gli chiesi il perchè, mostrandomi deluso, lui disse: così almeno gli facciamo fare più attenzione a quello che diciamo. A parte il missaggio, che ritengo sbagliato, sono convinto che ANIMA LATINA sia uno dei nostri lavori più belli. Nasce da un viaggio che io e Lucio facemmo in America latina alla fine del 73. Forte fu la voglia di far ricerca, di assorbire nuove musicalità, di avere nuovi stimoli. Non ci sono molti artisti che all'apice del loro successo abbandonano una facile strada a favore della sperimentazione e della ricerca. Molti fra i nostri fans storsero il naso a fronte di un disco assolutamente non commerciale". Così Mogol commentò dopo molti anni questo piccolo grande capolavoro di musica italiana. 


                                  
Si parte con Abbracciala abbracciali abbracciati con Lucio che deve aver ascoltato a fondo "Dark Side Of The Moon", tanto questo brano assomiglia a "Us And Them". Renzo Stefanel nel suo libro dedicato proprio ad Anima Latina azzarda persino una somiglianza con la "Gymnopedie n° 1" di Erik Satie! La voce di Mara Cubeddu introduce il brano successivo, Due Mondi, uscito anche come singolo: la parola universo chiude il brano precedente ed apre questo, un inno all'amore libero, alle donne latine con chiaro il concetto "nessuno appartiene a nessuno". Massimo Luca introduce una strofa successiva, tutta strumentale e suonata con una cetra per bambini comprata in un grande magazzino di MIlano. 




E poi i sette minuti abbondanti di Anonimo, brano musicalmente molto complesso: otto battute in 3/4, la storia di Rosetta, 21 anni, malata di tubercolosi con un bambino piccolo da accudire, la gonna corta e l'immaginario erotico dei bambini che la osservano ("la frutta nel giardino, i panni nel catino e lei, ore ed ore")....e a 6,37, il colpo di scena! la parodia de "I Giardini di Marzo" (eseguita in stile bandistico), con la differenza che nel testo l'interlocutore di oggi è un uomo maturo, bravo nel gestire le relazioni, non quello acerbo ed insicuro di "Ma il coraggio di vivere ancora non c'è". Dalla semplicità de Gli uomini celesti(con Milton Nascimento nella testa, ed uso geniale di basso, campanelli, chitarra acustica svisata, synth, batteria ed un glockenspiel più, nel testo, una denuncia di Mogol sulla corruzione nel mondo), si passa al brano che dà il titolo all'album, Anima latina. Un 4/4 classico, con al centro del testo la gioia della vita delle favelas brasiliane ("La vita dentro gli occhi dei bambini, denutriti, allegramente malvestiti, che nessun detersivo potente può aver veramente sbiaditi"), e poi, Il salame, testo autobiografico di Mogol costruito su una melodia pazzesca. Due bambini che si confrontano, si guardano, si abbracciano: ("Alzati in punta di piedi, appoggiati contro di me, fra un anno io vado a scuola, dopo mi sposo con te"). La scoperta del sesso, e qui torna il tema dell'amore libero in precedenza citato e le tre melodie sovrapposte, un glockenspiel, un clavicembalo ed un pianoforte, ognuno per sè ma magicamente in sincrono! La Nuova America, piccolo gioiello di 3 minuti scarsi con il tapping della chitarra accreditato addirittura ad Ivan Graziani e poi Macchina del tempo, puro progressive in 7/8, con Mogol che dichiara "Qui è sesso puro! Un invito!" e la vita, con le sue leggi, le sue contraddizioni. Chiude l'album Separazione naturale, un minuto e mezzo di voce e synth....coi suoi borbottii in stile scat, il famoso popoporoporopo e la conclusione del disco, un bilancio amaro della vita e la morte.

E' tutto, grazie ancora a Renzo Stefanel per l'ispirazione e per le preziose notizie contenute nel suo libro. Con la partecipazione attiva e/o spirituale di: Pierluigi Mucciolo, Claudio Pascoli, Massimo Luca, Mara Cubeddu, Mario Lavezzi, Cesare Monti Montalbetti, Ares Tavolazzi, Bob Callero, Gianni Dall'Aglio, Franco Loprevite, Claudio Maioli, Alberto Radius, Gneo Pompeo, Gabriele Lorenzi, Vince Tempera, Alberto Salerno, Gianpiero Reverberi, Karl Potter, Toni Tony Esposito, Ivan Graziani, Hugh Ballen, Pippo Colucci, Gianni Bogliano, Piero Bravin, Ambrogio Ferraro, Renato Marengo e per chiudere, IL MULINO di Anzano del Parco.

Un album, oggi, da ri-ascoltare con maggiore attenzione

Formazione:
  • Lucio Battisti – voce, chitarra, percussioni, tastiera
  • Massimo Luca – chitarra, percussioni
  • Bob Callero (Bob J. Wayne) – basso
  • Franco Dede Lo Previte (Dodo Nileb) – batteria, percussioni
  • Ares Tavolazzi – basso (in Abbracciala, abbracciali, abbracciati)
  • Claudio Maioli – tastiera, pianoforte
  • Tony Esposito – percussioni
  • Gneo Pompeo – sintetizzatore, pianoforte, Fender Rhodes
  • Gianni Dall'Aglio – batteria (solo in due brani)
  • Karl Potter – percussioni
  • Pippo Colucci – tromba
  • Pier Luigi Mucciolo – tromba
  • Gianni Bogliano – trombone
  • Claudio Pascoli – flauto, ance
  • Mara Cubeddu – voce (Due mondi) e cori (in La nuova America e Due mondi - ripresa)
  • Alberto RadiusMario Lavezzi – cori (in La nuova America e Due mondi - ripresa)
  • Arrangiamenti: Lucio Battisti 

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