13 settembre 2022

MUSICA PROGRESSIVA ITALIANA: La prima complessità musicale di Fabrizio D'Andrè

 


Continuiamo la disamina di alcuni album cantautorali italiani per meglio conoscere (o potremmo dire per meglio ricordare) la figura di molti di loro ed il loro percorso artistico e umano. Dopo Lucio Battisti  (l'album Anima Latina del 1974) e Angelo Branduardi (il primo omonimo, 1974 e La Luna, 1975) proviamo ad avvicinarci alla enorme figura di Fabrizio D'Andrè per meglio capire le sue origini musicali che, come per altri suoi colleghi, sono anch'esse intrise di quella musica progressiva che all'inizio dei settanta dello scorso secolo (gli Anni Buoni) attraversava l'etere e la vena creativa di molti giovani musicisti. Parleremo dunque de La Buona Novella, album uscito nel lontano 1970, da cui abbiamo estratto come riferimento sonoro L'infanzia di Maria.



 
Da ascoltare sempre con reverenza:

L'Infanzia di Maria



Ho colto l'occasione per parlare di questa opera dopo aver letto un articolo del nostro conterraneo Carlo Massarini che, nella sua rubrica "La discoteca di Mr. Fantasy", ha pubblicato un grande ricordo di Fabrizio de Andrè intitolato il Testamento di Faber dove viene rivisitato "La Buona Novella"1970, un album grandissimo per i famosi Tempi Buoni che suscitò grande accettazione anche tra coloro che non erano religiosi e contemporaneamente un grande rifiuto tra i tanti che in quegli anni erano in piazza per le proteste degli anni '60-'70. 
Invito tutti a leggere la bella pagina di Carlo e ascoltare la bellezza di un album che mi colpì profondamente quando l'ascoltai per la prima volta (ricordo a tutti il mio ateismo di fondo) sia per la profondità del pensiero quanto per l'arrangiamento musicale e una voce senza tempo. Mi sono permesso di  integrare, "progressivamente", con gli scritti a seguire, l'inarrivabile lettura di Massarini proprio per cogliere ancora di più l'atmosfera di quegli anni e poter ascoltare un messaggio che oggi, più che mai, rimane particolarmente valido. Nel post sono presenti due video dello splendido Concerto Ritrovato del 1979. Buon ascolto.

 Giorgio Giannoni

                PROGRESSIVAMENTE FABER


Sarebbe fin troppo facile parlare di musica progressiva e di Fabrizio De Andrè sottolineando i due splendidi dischi nei quali il grande cantautore genovese assieme alla celebrata Premiata Forneria Marconi "dipinse", nel 1979, di rock progressivo i suoi capolavori. Il discorso che vogliamo fare oggi per sottolineare questa sorta di unione musicale parte da molto più lontano nella carriera di Faber e della stessa PFM, proprio all'inizio del decennio e con i primi dischi
 calati, anche suo malgrado, in una atmosfera creativa di grande cambiamento e movimentazione.

Una prima precisazione ci giunge da Rosalba Crosilla che ha colto in poche note la valenza di Tutti morimmo a stentosecondo album del cantautore, ispirato (lo stesso De Andrè lo sottolinea) da Days of future passed dei Moody Blues, realizzato insieme alla London Symphony Orchestra. E' evidente, da parte del sottoscritto, di non volere ad ogni costo accomunare De Andrè al progressive (sarebbe veramente esagerato) ma solo cogliere quei molti segnali che arrivavano dalle scelte musicali o tecniche degli inizi di D'Andrè che diventeranno più concrete nel quarto album La Buona Novella, di cui la recensione di Metallized a seguire esprime con cura la valenza musicale (e poi testuale) della novità assoluta, del progredire sonoro che porta indubbiamente a poter parlare di una sorta di pre-progressive in divenire. La Buona Novella nella sua struttura concept totalizzante è una pietra miliare non solo musicale ma anche nei testi e nella visione socio-politica che esprime.

Giorgio Giannoni




Tutti Morimmo a Stento esce nel 1970, con il sottotitolo “Cantata in si minore per coro e orchestra”. I testi e le musiche sono di Fabrizio De Andrè, tranne “Cantico dei Drogati” (De Andrè e Mannerini) mentre la “Leggenda di Natale” è ispirata a La Pére Noel e la Petite Fille di Brassens. E' uno dei primi concept italiani, uno di quegli album, cioè, nei quali ogni traccia/brano si lega alle altre e tutte assieme formano un racconto unico, come i capitoli di un libro, ed anche dal punto di vista musicale sono presenti delle "riprese" che legano assieme anche il concetto musicale espresso. Prerogativa del rock progressivo. Ma era un cantautore progressive, De Andrè? Si, vista la premessa sul "concept", si, visto il ritorno di un motivo conduttore che si innesta tra i brani, ma ancora manca lo sviluppo della parte musicale, gli arrangiamenti, i pezzi puramente strumentali ad ampio respiro, le suite. L'incontro artistico con la PFM (si chiamavano ancora I Quelli) che inizierà nel 1970 con La Buona Novella segnerà una svolta nella musica (arrangiamenti,soprattutto) di Faber e da quel punto in poi, si, negli album "concept" si potrà parlare di progressive.(di Rosalba Crosilla da Planando)


Fabrizio De André e PFM - Il concerto ritrovato - Il pescatore - Live in Genova - 03/01/1979 HQ
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FABRIZIO DE ANDRE'-LA BUONA NOVELLA 1970


Parla Fabrizio De Andrè:


Da qualche parte troverete scritto "a cura di", "arrangiamenti di" e qualche altra doverosa e professionale gratitudine stampata da una macchina disperata, senza amici. Io ho degli amici: Roberto Dané, che ha usato l'intelligenza per censurare e suggerire, l'affetto per stimolare e convincere e infine il forcipe, perché questo lavoro diventasse un lavoro finito, perché nascesse; Giampiero Reverberi, che ancora una volta ha saputo vestire di musica la mia consueta balbuzie melodica; Corrado Castellari e Michele ai quali devo un'idea per la musica del Testamento di Tito;

Franco Mussida - chitarra, Franz Di Cioccio - batteria, Giorgio Piazza - basso, Flavio Premoli - organo, Mauro Pagani - flauto del complesso I Quelli ed il chitarrista Andrea Sacchi che dopo due giorni di distaccata collaborazione hanno dimenticato gli spartiti sui leggii e sono venuti a chiedermi "perché hai fatto questo disco, perché hai scritto queste parole". Anche con loro la fatica comune si è trasformata in amicizia: da quel momento.



"Mi scuserete se inizio questa recensione direttamente con le parole di Fabrizio De André ma ritengo che siano perfette per cominciare a calarsi nell’atmosfera di un disco di cui c’è veramente tanto da dire. Iniziamo innanzitutto, allora, dai compagni di viaggio del musicista genovese: come avrete letto, si rinnova il sodalizio artistico con Roberto Dané, che accompagna ormai De André da inizio carriera e lo seguirà per tutti i primi otto album, mentre Reverberi presta la sua opera di arrangiatore e direttore del coro. A lui si devono quindi il gusto barocco, pre-progressive diremmo, che pervade il disco, donandogli l’aura di “sacralità” necessaria al dispiegarsi del racconto. L’unica canzone non direttamente arrangiata da lui è, d’altra parte, anche quella più famosa: parliamo ovviamente de Il Testamento Di Tito, brano classico del repertorio di De André, tra i più richiesti e definitivi tra quelli usciti dalla penna del cantautore. La band che accompagna la splendida voce baritonale di De André è, all’epoca, in piena fase ascendente: I Quelli sono infatti una famosa backing band, di sovente utilizzata da Reverberi per i lavori in studio, ed autrice di diversi 45 giri e di un unico Lp risalente all’anno precedente. La band, con questo appellativo, cesserà di esistere già dall’anno successivo, ma è inutile precisare quale sarà il destino a venire di questi musicisti, vero? Come è ben comprensibile dalle parole di De André, quella che doveva essere una semplice sessione di registrazione tra le tante, diede via ad un corto circuito che solo nel mondo della musica può accadere, quando musicisti di estrazione e forse anche direzione opposta o comunque parallela, si incontrano e si scoprono. Il concept elaborato dal cantautore e le parti strumentali create da Reverberi si rivelano di tale profondità e spessore da lasciare profondamente il segno anche nei musicisti chiamati ad inciderle. Un’influenza che la band non scorderà più e che, forse, ha dato il via a quella maturazione che trasformerà I Quelli nella Premiata Forneria Marconi. Un sodalizio che non si esaurirà comunque con La Buona Novella, come tutti sappiamo.





LA MUSICA 


La Buona Novella nelle intenzioni di De André, doveva costituire un passo indietro rispetto al precedente 
Tutti Morimmo a Stento, a suo avviso fin troppo esasperato da un punto di vista degli arrangiamenti realizzati. La musica per il nuovo album avrebbe dovuto essere solenne, ricercata ma meno artificiosa e complessa del pur illustre predecessore. Giampiero Reverberi offre ancora una volta il suo contributo, che spinge comunque il disco verso un equilibrio che utilizza più linguaggi espressivi e si spinge spesso verso un linguaggio “progressivo” ancora inconsapevole ma non per questo meno affascinante. Il linguaggio cantautoriale di De André questa volta emerge prepotentemente, centrale e forte, protagonista assoluto. Ma non manca l’uso intelligente del coro, che simula la moltitudine del popolo con una impostazione assolutamente classica e gregoriana, a sottolineare l’aspetto sacrale della musica e del testo. Gli arrangiamenti sono scarni, quasi poveri, eppure ricercati e maniacali, e se L'Infanzia di Maria ha il classico incipit cantautoriale, ecco subito il coro ed il clavicembalo a spostare il segno, con un break centrale dominato da una fuga quasi terribile; ne Il Ritorno di Giuseppe una musica dal flavour “desertico” accompagna il viaggio di Giuseppe che torna dopo anni di assenza alla sua casa per trovare la giovane sposa Maria, ancora una ragazza, che lo accoglie quasi mendicando attenzione e comprensione per una storia incredibile, che ne spiega la maternità incipiente. Meraviglioso il passaggio musicale nel momento in cui Giuseppe vede la giovane moglie corrergli incontro. Commovente e bellissimo l’accompagnamento de Il Sogno di Maria, una canzone che è impossibile ascoltare senza che resti scolpita per sempre nella memoria; cadenzata come i colpi di martello del falegname che costruisce le croci su cui andranno i corpi dei condannati, si rivela la strofa di Maria Nella Bottega d'un Falegname, che si apre poi ad un ritornello che ne denuncia un gusto tipicamente Seventies, quasi da musical. Quasi country alla-Morricone, invece, l’accompagnamento di Via Della Croce. Ancora il coro, stavolta unico protagonista in Laudate Hominem, conclusione musicale e poetica del disco: Non voglio pensarti Figlio di Dio ma Figlio dell’Uomo, Fratello anche mio.


I TESTI


Da un autore ormai affermato come Fabrizio De André, probabilmente nessuno si sarebbe aspettato un disco come questo. In effetti, al momento della sua uscita, non furono poche le critiche rivolte a La Buona Novella, le più benevole delle quali parlarono di un disco fuori dal tempo ed assolutamente non contestualizzato rispetto alla realtà in evoluzione di quegli anni. L’accusa rivolta a De André, insomma, fu quella di aver composto una “novellina morale” anche piacevole ed, al solito, poeticamente elevata ma assolutamente avulsa dal contesto sociale e politico di rivolta che caratterizzava i movimenti giovanili. Da un autore che si era sempre caratterizzato per l’impegno politico, ci si aspettava qualcosa di più diretto e penetrante, più “sul pezzo”, di una parabola ispirata al Vangelo. Una critica che il cantautore soffrì moltissimo, ed alla quale cominciò da subito a ribattere sottolineando innanzitutto che La Buona Novella è, e vuole essere, un omaggio al più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Il percorso lirico del disco si configura quindi come una progressiva spoliazione del carattere mistico e religioso che avvolge la figura di Yehova, fino a riportarlo alla sua dimensione di uomo. In questo senso, il disco è un omaggio alla figura di Gesù, non a quella del Messia, del Cristo (in maniera del tutto appassionata e rispettosa, intendiamoci). Un percorso particolarmente evidente sin dalla scaletta dei brani, che si apre con Laudate Dominum e si chiude con Laudate Hominem. Si tratta palesemente di una progressiva umanizzazione del personaggio, tale da sottrarlo alla sua dimensione di Figlio Di Dio per restituirlo alla sua realtà di Figlio Dell’Uomo. In questo senso, è esemplare il volersi rifare ai Vangeli Apocrifi per la caratterizzazione della figura dominante del concept, Maria. L’attenzione posta alla sua storia è infatti totale, e tutto il concept può dirsi composto nell’ottica di Maria, madre del Cristo ma, prima di tutto, donna e madre. Una prospettiva, questa sì, tutto sommato rivoluzionaria e che trova l’apice con l’Ave Maria posta, non a caso, a metà dell’opera. Da qui in avanti, la prospettiva di Maria si stacca da se stessa e si rivolge verso un Gesù già adulto e lontano. La presenza di questo figlio amato allo stremo e, al tempo stesso, destinato ad un percorso unico, che sfugge al controllo ed alla volontà umana, aleggia per tutto il disco, ma non si fa mai compiuta: Gesù non è mai prima persona, mai protagonista diretto. E’ distante, incomprensibile e già condannato quando appare nel concept. Di Maria impariamo invece la “vera” storia: dalla nascita, all’infanzia nel Grande Tempio, fino alla sua cacciata nel momento in cui diventa donna, al matrimonio obbligato con un vecchio falegname vedovo ed ormai indurito dagli anni, che la lascia sola per quattro anni appena adolescente, fino all’apparizione dell’Angelo ed alla progressiva coscienza del destino che attende il figlio. Meravigliose sono le parole che De André dedica a questa donna, struggenti e delicate ne L’Infanzia Di Maria e ne Il Sogno Di Maria (capolavoro del disco e senza dubbio uno degli apici assoluti della musica italiana), strazianti e durissime da Maria Nella Bottega D’un Falegname in poi. Che questo sia poi un omaggio del tutto particolare, lo si capisce infine dal fatto che, anche nell’ora del supplizio, non è la voce di Gesù a parlare, ma sempre e comunque di chi gli sta intorno: sono infatti prima le madri dei suoi compagni di morte, Dimaco e Tito ed, infine, proprio quest’ultimo, ad elevare l’ultimo sguardo su quest’uomo morente, sul suo messaggio e la sua vita. Le parole pronunciate da Tito (Il testamento di Tito), infatti, annunciano la pietà ed il dolore per la sua morte, ma colpiscono anche, e con sferzante sarcasmo, le fondamenta stesse della religione in quanto struttura ed organismo legislativo e dogmatico, paradigma del controllo esercitato sulle persone e sulle loro coscienze: i dieci Comandamenti. Ecco quindi, il messaggio de La Buona Novella: da un lato, l’amore, la compassione ed il perdono come valori universali ed imprescindibili, dall’altro la rivolta contro le parole vuote ed ipocriti di un mondo che ha trasformato il messaggio rivoluzionario di un uomo in una istituzione religiosa immutabile, che ne ha svuotato di significato gli atti concreti, trasformandoli in ritualità immutabili e dotate di un senso proprio ed alieno rispetto all’originario. Conservatorismo dove c’era rivoluzione; ritualità, dolore e controllo, dove c’erano libertà e gioia; dogmatismi e violenza, dove c’erano pace ed amore. Non male, per una “novellina morale”, sganciata dalla realtà, vero?




Disco difficile ed affascinante, oggi forse un po’ dimenticato e schiacciato tra le opere prime e i grandi successi della maturità del meraviglioso cantautore genovese, La Buona Novella è stato a lungo il disco preferito proprio dal suo autore, che riconosceva in esso un’opera fondamentale nella sua poetica, dotato di un equilibrio unico e particolare tra testo e musica. Una sua riscoperta appare oggi quindi del tutto necessaria ed auspicabile: un’opera d’arte ci parla attraverso il tempo ed il suo messaggio resta sempre attuale, perché si rivolge ad un piano superiore, anche se la tecnica realizzativa può apparire superata. Non è neanche questo, però, il caso de La Buona Novella, il cui equilibrio compositivo e il riuscito ibrido tra linguaggi musicali diversi ed affini, resiste al tempo continuando ad affascinare".( da Metallized). 


 Da ascoltare sempre con reverenza:
L'Infanzia di Maria

IL TESTO:

Consegnata ai vecchi sacerdoti quando aveva solo tre anni, Maria impara a misurare il tempo con il succedersi delle preghiere, fino a quando l'ingresso nella pubertà fa ritenere ai sacerdoti che una fanciulla, divenuta donna e quindi impura, non possa più restare nel recinto sacro del tempio. Così, con grande concorso di popolo, si tiene un'insolita asta pubblica per assegnare in sposa la giovane Maria. La sorte assegna a Giuseppe, un vecchio falegname, quella che, in realtà, è per lui una figlia piuttosto che una moglie. Questa è la trama, impreziosita dalla trascrizione, sulla busta interna del disco, di alcuni brani del protovangelo di Giacomo. La canzone si chiude sulla voce narrante del solista, che cita un altro passo dello stesso vangelo: Giuseppe porta Maria nella propria casa e subito la lascia per andare a svolgere un lavoro che lo terrà lontano quattro anni.... Il coro... prima piange l'infanzia reclusa della giovane e poi impersona la folla durante l'assegnazione di Maria.

 L'INFANZIA DI MARIA

 Coro: Laudate dominum Laudate dominum Laudate dominum

Voce: Forse fu all'ora terza forse alla nona cucito qualche giglio sul vestitino alla buona forse fu per bisogno o peggio per buon esempio presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio. 

 Non fu più il seno di Anna fra le mura discrete a consolare il pianto a calmarti la sete dicono fosse un angelo a raccontarti le ore a misurarti il tempo fra cibo e Signore a misurarti il tempo fra cibo e Signore.

 Coro: Scioglie la neve al sole ritorna l'acqua al mare il vento e la stagione ritornano a giocare ma non per te bambina che nel tempio resti china ma non per te bambina che nel tempio resti china. 

 Voce: E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio avevi dodici anni e nessuna colpa addosso ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio la tua verginità che si tingeva di rosso la tua verginità che si tingeva di rosso. 
 
E si vuol dar marito a chi non lo voleva si batte la campagna si fruga la via popolo senza moglie uomini d'ogni leva del corpo d'una vergine si fa lotteria del corpo d'una vergine si fa lotteria. 

 Coro: Sciogli i capelli e guarda già vengono... Guardala guardala scioglie i capelli sono più lunghi dei nostri mantelli guarda la pelle viene la nebbia risplende il sole come la neve guarda le mani guardale il viso sembra venuta dal paradiso guarda le forme la proporzione sembra venuta per tentazione. 

Guardala guardala scioglie i capelli sono più lunghi dei nostri mantelli guarda le mani guardale il viso sembra venuta dal paradiso guardale gli occhi guarda i capelli guarda le mani guardale il collo guarda la carne guarda il suo viso guarda i capelli del paradiso guarda la carne guardale il collo sembra venuta dal suo sorriso guardale gli occhi guarda la neve guarda la carne del paradiso. 

 Voce: E fosti tu Giuseppe un reduce del passato falegname per forza padre per professione a vederti assegnata da un destino sgarbato una figlia di più senza alcuna ragione una bimba su cui non avevi intenzione. 

E mentre te ne vai stanco d'essere stanco la bambina per mano la tristezza di fianco pensi "Quei sacerdoti la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa a un cuore troppo vecchio che ormai si riposa". 

Secondo l'ordine ricevuto Giuseppe portò la bambina nella propria casa e subito se ne partì per dei lavori che lo attendevano fuori dalla Giudea. Rimase lontano quattro anni.  
http://www.giuseppecirigliano.it/L_in..

 

Fabrizio De André e PFM - Il concerto ritrovato - Andrea - Live in Genova - 03/01/1979


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