L'animo umano possiede la caratteristica di mitizzare ogni persona che, per così dire, raggiunge il culmine di una gerarchia.Tale propensione ha le sue origini nell'inconscio, nella ricerca di un capo che possa, ovviamente guidare, la comunità nelle problematiche esistenziali e che si assuma responsabilità di verifica e di comando nelle situazioni più disparate.
Le parole di Paul Ginsborg, nella sua Storia d'Italia, tratteggiano con chiarezza la reale consistenza politica e umana di una figura altamente morale e democratica, di prima grandezza, ma che, nella sua azione politica, non eguagliò, nei fatti, quella sua visione democratica così avanti nei tempi
G.G.
L'atrofia del comunismo italiano
da Storia di Italia di Paul Ginsborg
Gli anni '80 per il Partito Comunista Italiano si rivelarono un decennio assai difficile, come del resto fu per tutta la sinistra europea. I rapidi mutamenti in corso nella società stavano sgretolando il tradizionale elettorato di sinistra e mettendo in forse molte delle antiche certezze ideologiche. Enrico Berlinguer era un leader troppo esperto e intelligente per non rendersi conto della nuova sfida che il partito si trovava ad affrontare. In ambito internazionale, la sua risposta fu cauta ma determinata. In seguito al colpo di stato del 1981 in Polonia e alla brutale repressione di cui fu fatto oggetto il sindacato indipendente Solidarnosc, Berlinguer dichiarò:
" La capacità propulsiva di rinnovamento delle società, o almeno di alcune delle società, che si sono create nell'est europeo, è venuta esaurendosi".
In un partito come il Pci, con un'alta percentuale di iscritti anziani e fermamente aggrappato all'idea che all'est si fosse instaurata una qualche forma di socialismo, quell'affermazione provocò un autentico shock. Il 24 gennaio 1982 la Pravda, organo ufficiale del Partito comunista sovietico, accusò il Pci di aver assunto una posizione "contro gli interessi della pace e del socialismo". Berlinguer non si laciò intimorire e al XVI congresso del partito, svoltosi nel 1983, riuscì a portare dalla propria parte la grande maggioranza dei delegati.
Molti critici e alcuni sostenitori del Pci hanno affermato che lo "strappo" dall'Unione Sovietica era avvenuto troppo tardi nella storia del partito. A loro parere, se i comunisti italiani avessero trovato il coraggio di compiere la rottura decisiva all'epoca dell'invasione della Cecoslovacchia nel 1968, si sarebbero trovati in una posizione molto più forte per rivendicare il diritto al governo del Paese nei decenni successivi. Ma la rottura non fu così tempestiva. Quantunque in privato Berlinguer non mostrasse grande considerazione per il comunismo del blocco orientale, nel 1975 egli sostenva ancora pubblicamente che nei Paesi dell'Est le condizioni di vita dei lavoratori andavano migliorando mentre in Occidente si assisteva ad un loro peggioramento. Non vi è dubbio che i comunisti italiani dovessero pagare cari simili errori di analisi e le loro lealtà residuali. D'altra parte si può argomentare che nei confronti dell'Unione Sovietica essi si erano sempre mostrati più critici di ogni altro Partito comunista occidentale, e che nel 1981 Berlinguer ancora una volta si era spinto lontano e più in fretta di chiunque altro.
Per quanto riguarda la politica interna, l'operato di Berlinguer fu più incerto. Dopo il fallimento del "compromesso storico" elaborò una strategia alternativa secondo la quale il Pci e il Psi avrebbero dovuto unire le loro forze per abbattere il regime democristiano. In questo senso appariva incoraggiante l'esempio della Francia, dove la sinistra, coalizzandosi sotto la leadership di Mitterand, era giunta al potere per la prima volta nel corso della Quinta Repubblica. Naturalmente, per Berlinguer, era sottinteso che nel caso italiano il peso relativo di socialisti e comunisti sarebbe risultato capovolto. Ma "l'alternativa democratica" non aveva la minima possibilità di realizzarsi. Troppo tempo era passato da quando i socialisti avrebbero accettato un simile patto elettorale, e Craxi era fermamente deciso a proseguire sulla strada dell'anticomunismo. Il "compromesso storico", con tutti i suoi punti deboli, aveva rappresentato un programma profondamente meditato ed estremamente suggestivo per il futuro dell'Italia. L'"alternativa democratica" era poco più che un ripiego.
Il Berlinguer dell'inizio degli anni '80 era, sotto molti punti di vista, uno dei migliori leader politici che si potessero trovare in Europa in quel periodo. La sconfitta del "compromesso storico" non aveva cancellato la sua ostinazione ma l'aveva reso più umano, più consapevole dei propri limiti e di quelli del partito. Era acutamente consapevole della corruzione diffusa a ogni livello della vita pubblica e della necessità di riformare il sistema politico. Riconosceva inoltre l'importanza rivoluzionaria della nuova e attiva presenza femminile nella società italiana, e credeva appassionatamente nella necessità di porre fine al predominio dell'uomo sulla donna.
Berlinguer, tuttavia, non riuscì ad adattare la linea politica del partito alle trasformazioni in corso nella società italiana contemporanea. Se De Mita era privo di una vera sensibilità sociale difronte alla modernità e Craxi ne celebrava acriticamente alcuni tra gli aspetti più deteriori, Berlinguer in sostanza vedeva la modernità come decadenza. Ciò conferiva alla sua voce un forte accento critico, ma al tempo stesso gli impediva di affrontare la questione dei consumi individuali in termini che non fossero critici. Storicamente, il il movimento comunista nel suo complesso aveva sempre prestato scarsa attenzione alla sfera dei consumi e a quella dell'individuo. Il suo interesse si era sempre rivolto più alla produzione che ai consumi, più all'industria che ai servizi, più alle "masse" che agli individui. Berlinguer riconosceva che nuovi soggetti collettivi-le donne. i giovani, i disoccupati, gli anziani- stavano facendo il loro ingresso sulla scena della storia, ma allo stesso tempo gli era difficile individuare il processo in virtù del quale le nuove compagini non erano organismi compatti e forti, ma realtà costituite da componenti singole e autonome. Di conseguenza la società civile, in quanto luogo d'incontro di individui liberi, difficilmente riusciva ad attirare su di sè l'attenzione che avrebbe meritato da parte della dirigenza comunista. Ciò che contava era il partito, la sua organizzazione e la sua disciplina, i suoi riti e le sue celebrazioni, le sue assemblee di massa e la sua forza numerica.
Ma la lacuna più grave, che certamente non andava ascritta al solo Berlinguer, era la sempre più evidente nebulosità della cosidetta "terza via" al socialismo, da intendersi come qualcosa di diverso sia da quella percorsa dai Paesi dell'Est comunista, sia da quella della socialdemocrazia. Berlinguer credeva fermamente che i comunisti italiani fossero diversi, ma quella diversità non riusciva a tradursi in un programma convincente di trasformazione socialista. Negli anni '50 e '60 si era posto l'accento soprattutto sulla realizzazione di riforme di struttura, intrinsecamente anticapitalistiche, come primo passo verso l'edificazione del socialismo. Questa strategia, in sè mai del tutto soddisfacente, venne silenziosamente messa da parte negli anni '70 e '80 senza che si riuscisse a trovare un'alternativa credibile.
Il contributo di Berlinguer alla vita politica italiana fu tragicamente breve. Durante un comizio a Padova per la campagna elettorale europea del 1984, venne colpito da emorragia cerebrale. Morì quattro giorni dopo, l'11 giugno. L'improvvisa scomparsa di Berlinguer privò il Pci dell'unico uomo che possedesse una sufficiente statura nazionale e internazionale per traghettare il partito oltre la palude degli anni'80. Più di un milione di persone affluirono a Roma per le sue esequie, in un commovente tributo all'ultimo grande leader comunista d'Occidente. Sebbene, in generale, la sua azione politica non possa dirsi coronata da successo, egli lasciò tuttavia un'indelebile testimonianza di rettitudine, intelligenza e impegno democratico.
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