Da sempre sono un appassionato di fantascienza tuttavia, da qualche tempo, come ho segnalato in un post passato, mi sono dedicato alla letteratura gialla, valutando, a mio avviso, quanto la science-fiction abbia perduto della sua valenza e del suo essere letteratura fin dagli anni novanta dello scorso secolo.
I generi letterari come il giallo, il fantasy, l'horror o la fantascienza sono costruzioni che, per definizione, si muovono all'interno di una sorta di struttura prestabilita che contempla precisi canoni, relativi all'ambientazione, ai personaggi, alla vicenda. Potremmo quindi dire che la ripetitività sia la caratteristica di fondo di un genere che solo la bravura dello scrittore, in termini stilistici e narrativi, può diversificare in infiniti modi, pur rimanendo all'interno del genere stesso. Gli esempi sono infiniti e il successo di moltissimi libri ne è la testimonianza. Eppure, a voler guardare con maggiore attenzione, la storia fantascientifica può possedere qualcosa di diverso che ha permesso al genere di uscire ( in certi casi e in un periodo definito, almeno fino ad oggi), dai ristretti binari codificati delle sue storie. Questo qualcosa è la possibilità di creare letture sociologiche, libri che possano argomentare come “scienza della società”, unendo, di fatto, un struttura narrativa con valutazioni, anticipazioni, critiche alla società alla quale appartiene il narratore ma estrapolate, solitamente, da accadimenti o società future immaginati uniti ad una maggiore introspezione psicologica e uno stile più evoluto. Anche qui la bravura stilistica e argomentativa dello scrittore compie quel salto di qualità che rende quel testo prezioso perchè capace di creare emozioni, divertimento ma anche stimolare il lettore a osservare la realtà con occhi diversi.
Per noi boomers appassionati di fantascienza il momento migliore della sua produzione, come genere letterario, rimane a cavallo tra i '60 e i '70 (con l'appendice del cyberpunk) dello scorso secolo. Non si tratta, ovviamente, di una presa di posizione fine a se stessa o banalmente nostalgica ma elaborata su quanto si è potuto osservare e leggere tra le molte opere che hanno caratterizzato il novecento fantascientifico e i due decenni del nuovo millennio. Basta dare un'occhiata ai titoli di quel periodo per rendersi conto quanto vicino al mainstream furono capaci di giungere gli autori di quell'epoca anche se, occorre sottolinearlo, lungo il cammino novecentesco della fantascienza vi furono già sporadiche apparizioni di autori capaci, negli anni 50, di pubblicare libri fortemente creativi. Mi vengono in mente 1984 di Orwell, Cristalli sognanti di Sturgeon o Ritorno al domani di Hubbard, Anni senza fine di Simak o Solaris di Lem.
Per inciso, mi è rimasta impressa la definizione del lettore medio di fantascienza in Italia che lo scrittore De Matteo ha elaborato in un suo articolo, intitolato proprio:" Ha senso scrivere fantascienza in Italia, pubblicato nel 2016". De Matteo scrive: " ...se proprio volessimo estrapolare dal rumore un identikit del lettore medio di fantascienza in Italia, squadrandolo con l’accetta verrebbe fuori il ritratto di un lettore piuttosto conservatore, di mezz’età, che non ha mai digerito il cyberpunk, con un atteggiamento già ambivalente rispetto alla New Wave; al quale non si dovrebbe per educazione parlare troppo di tecnologia, lasciamo perdere il postumano. Un lettore al quale andrebbe risparmiato il fastidio delle contaminazioni con altri generi e del discorso “impegnato”, sia esso un impegno rivolto alle tensioni sociali, alle questioni ambientali o alle dottrine politiche ed economiche.
Premesso che ho settant'anni, l'analisi di De Matteo pecca, almeno un poco, di impertinenza giovanile e ci sarebbe da chiedersi dove siano, in questi ultimi anni, tutti quei testi impegnati, anticipatori, stilisticamente innovativi di cui si parla tanto sia per la science fiction anglosassone che quella italiana. La nostra generazione è stata molto più critica e avanzata di quanto non si pensi proprio per la sua fortunosa finestra temporale esistenziale che è coincisa di fatto con il punto più alto della creatività letteraria fantascientifica. Comunque sia, ecco il mio scritto.
Alla ricerca della fantascienza perduta
La fantascienza è sgorgata debolmente dalla sua fonte ottocentesca per scorrere, poi a valle come un torrente in piena e, agli inizi del secolo scorso, diventare il modo, inderogabile e scientificamente evidente (o meglio non implausibile) con il quale superare i limiti di un immaginario basato sulla fiaba e sul fantastico (il passaggio è mirabilmente espresso da Roger Callois nel suo pamphlet Dalla fiaba alla fantascienza). Si assistette ad una corsa inconscia, dalla parte dei raccontatori, nel costruire un immenso universo immaginario che, banditi gli anelli magici, le pozioni, le apparizioni fantasmatiche, folletti ecc, potesse esistere se e solo se fosse stato verificato da leggi scientifiche. Tale creazione occupò i romanzieri fino alla fine degli anni '50, quando furono creati, per metà del novecento, racconti di spazio e tempo, dove alieni, astronavi e tutti i nuovi simboli scientifici vennero impiegati fino alla nausea nel descrivere imperi galattici, universi alternativi, distopie di vario genere e relativamente pochi testi capaci di offrire una speculazione credibile per andare oltre al buon divertimento e ad una rappresentazione stereotipata. Alla fine degli anni '50 la fantascienza era chiusa in se stessa, ridondante e poco originale e solo il momento storico-sociale del mondo occidentale che gli anni '60 espressero, innovativo sotto molteplici punti di vista (non solo letterari), permise alle nuove generazioni di scrittori di superare l'impasse e procedere in una direzione che potesse fare della fantascienza uno strumento letterario di alta definizione. La nostra fortuna di lettori nell’essere stati presenti in quel momento storico in maniera del tutto casuale, ci permise di leggere, da subito, testi di una notevole levatura, abituandoci a scritture che avevano la pretesa di diventare narrativa d’anticipazione, di approfondire i rapporti umani, di scavare nella psiche più intima ed diventare una sorta di coscienza della società in continua evoluzione, assommata ad uno stile che potesse considerarsi a livello della cosiddetta letteratura colta (se accettiamo la diversità tra genere e mainstrem). Ovviamente, il genere di base continuò a produrre cose dignitose più o meno divertenti ma lontane dalle vere novità come, d'altronde altri generi, il fantasy o il soprannaturale, l'horror continuarono ad avere il loro seguito e a migliorare anch'essi lo stile e le idee. I due grandi decenni della fantascienza espressero autori come Lem, Strugatsky, Ballard, Brunner, Delany, Dick, Silverberg, Wilhelm, Smith, LeGuin, Compton solo per citare i più famosi fino ad arrivare a Gibson e al cyberpunk. Tuttavia, la contemporanea visione post-industriale della società, la vittoria della finanza e del denaro, l’affievolirsi di molte aspirazioni sociali, sostituite dalla crescita di un individualismo edonista e consumistico, l'esplosione dell'elettronica, dei video giochi, di una cinematografia carica di molti effetti, fece si che gli stilemi del genere perdessero le loro caratteristiche di profonda innovazione e diventassero “d'uso comune” . Sempre più usata nelle storie realiste, portando di fatto ad una semplificazione/banalizzazione dei propri temi costitutivi e ad una sorta di “benevola dissoluzione” del genere in molte espressioni ludiche e culturali della società occidentale, la fantascienza perse la possibilità di crescere come letteratura più sofisticata, nell'incapacità, in se per se, ad esprimere storie di livello elevato e a mantenere un senso e un significato speculativo, psicologico e socio-anticipativo. Ciò che rimaneva della fantascienza intesa anche come comunità degli scrittori e dei lettori, si espresse in una sorta di chiusura, di rientro in un ghetto dorato che continuava ( e continua) a rimescolare le visioni più superficiali con l’aggiunta di qualche nuovo stilema, qualche nuova innovazione letteraria espressa magari, come oggi, dall'arrivo dell'immancabile intelligenza artificiale. Dai novanta dello scorso secolo in poi la fantascienza pervade, praticamente, ogni dove, dal cinema alla pubblicità, alle serie tv, dai giochi di ruolo ai video giochi, ai libri del mainstream (si sprecano i testi di autori come Ishiguro, McCarthy, Lessing e molti altri) e viene rivisitata da una pletora immensa di fantascrittori dilettanti che l'avvento della Rete ha permesso loro la produzione di infinite, informi, storie. Alcune di buon livello, moltissime inconsistenti. Vale la pena soffermarsi sull'articolo dello scrittore Jonathan Lethem: "Perchè la fantascienza non viene ancora considerata letteratura a tutti gli effetti " per meglio compredere lo stato delle cose.
Rimane evidente, allora, che la società moderna occidentale orientandosi su scelte capitalistiche estremizzate ha codificato una proprio codice esistenziale capace di estromettere sempre di più quelle spinte progressiste che nei decenni del dopo guerra avevano reso le comunità più aperte, più innovative, più liberali (certamente non perfette) dove, inevitabilmente, il confronto, la critica, il giudizio espresso nelle arti, di qualunque tipo fossero, ne erano componenti ineludibili e vivificanti. In questo senso anche la fantascienza, in quegli anni, aveva trovato una sua collocazione nei termini che ho espresso sopra. Nella modernità di fine secolo la scelta liberista, la superficialità più presente, l'edonismo e il divertimento più globale hanno appiattito sempre di più molti caratteri creativi dell'essere umano diluendo inevitabilmente ogni forma di dissenso creativo. Anche la fantascienza, ha diluito la sua valenza anticipatoria, lo scavare psicologico dei personaggi, il suo potenziale di critica e di giudizio verso la società e, come ho già sottolineato, si è rinchiusa nuovamente su se stessa. Oggi, nell'acquiescenza più diffusa, nell'omologazione più totale, consumistica e globalizzata, pare già difficile pensare ad un futuro diverso che non sia la catastrofe ecologica.
In tal senso, encomiabile, nella sua proposizione, è la nuova frontiera del solar punk che, si potrebbe dire, pare recuperare, sociologicamente, un evidente ritardo, visto che la fantascienza, per considerarsi stilisticamente e formalmente di buon livello dovrebbe essere narrativa d'anticipazione, come accadde molti decenni fa prevedendo, come accadde in quegli anni, con abili e pregnanti narrazioni di post-catastrofismo (sostanzialmente ignorate dal sistema), un futuro già di per se carico di pessime aspettative. Siamo dunque in un paradossale momento di una indiretta inflazione fantascientifica che, nella sua nuova genericità, non riesce più ad esprimere, soprattutto con i libri, una sua vera ragion d'essere e aldilà dell giuste speculazioni sull'editoria, sui curatori o sulle vendite, non possiede più quella radicalità e quella capacità di osservare il mondo che ne faceva un vero mezzo di crescita personale e di insegnamento. Emblematico è vedere la scomparsa dei libri fantascientifici dalle librerie ( i pochi rimasti sono tutti di vecchi glorie o serie famose con risvolti televisivi), le polemiche sui premi come l'Hugo, la recente presa di posizione di Mondadori che, come ho gia ricordato, per quanto riguarda la science-fiction nostrana, ha deciso di non pubblicare più nella collana Urania autori italiani. Tutte evidenze che testimoniano una profonda crisi tra scrittori, editoria e fans che non può non riverberarsi sulla creatività degli scrittori stessi. Ancora una volta, dunque, la fantascienza si è rinchiusa nella propria cittadella, autosservandosi, scegliendo narcisisticamente di rimanere lontana dalla società a raccontarsi le sue storie.
La fantascienza di oggi, io credo, ha smesso di servirsi del futuro, forse perché il guardarsi attorno spinge a lasciar perdere la speculazione su un mondo che tra qualche anno sarà quasi inevitabilmente peggiore di quello di adesso ( e forse per questo si accatastano in rete storie distopiche di ogni tipo e consistenza, ripetitive e poco interessanti). Si procede, in definitiva, di conserva, illuminati ogni tanto da cose egregie, da buone storie sia straniere che italiane (penso a La città e la città di Mieville, alla Trilogia dell'Area X di Vandermeer, a Black out/All clear della Willis, a Il ritorno della Demetra di Reynolds, a Stazione Rossa della De Bodard, a La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo della Niffenegger, al Fiume degli dei di McDonald o per rimanere in Italia, Korolev di Aresi, Lazarus di Cola, Mondo9 di Tonani, Resurrezione della Fazio) faticosamente scelte da troppi contenitori carichi di racconti poco originali. Da film, ultimamente qualcuno interessante (cito a memoria, Blade Runner 2049, Arrival, Interstellar, Midnight SKy) capaci di far rivivere gli antichi fuochi letterari, ispirati da pochi testi di vero spessore o dall’inventiva di registi non comuni, tuttavia non può sfuggire il fatto che la bellezza di un film come Dune risieda proprio in un libro di grande valore (uno dei buoni testi degli anni '60) e non è certo un caso che si ritorna sui propri passi per esprimere la grandezza e la visionarietà dell'universo fantascientifico che da giovani ci aveva così affascinato.
Lunga vita e prosperità
Giorgio Giannoni
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