24 novembre 2022

EVENTI: Soumaila Diawara, migrante, ci racconta IL DIARIO DI UN SOPRAVVISSUTO racchiuso nel suo libro "LE CICATRICI DEL PORTO SICURO"

 

Martedi 13 dicembre prossimo alle ore 20,30, nel ridotto del Teatro degli Impavidi, avrà luogo l'ultimo  evento dell'anno organizzato da InSarzana. Parleremo di migranti, dunque un incontro di particolare importanza, soprattutto perchè, in questi ultimi tempi, l'acuirsi di una visione ancor meno solidale e fraterna verso coloro che fuggono dalla loro terra per i motivi più disparati, ma reali e seri nella loro concretezza esistenziale, deve essere controbattuta con rigore e con una nuova conoscenza. 




Sarà con noi Soumaila Diawara, migrante e rifugiato che ci presenterà il suo libro "Le cicatrici del porto sicuro ", il diario del suo terribile viaggio dal Mali fino in Italia. Che l'immigrazione rappresenti un problema è sotto gli occhi di tutti, ma la sua esistenza, la sua ineludibilità ed anche, per quanto se ne possa discutere, la sua necessità trova nel rifiuto delle persone un muro di ignoranza e di odio che va, giorno dopo giorno, smantellato. Ecco perchè la presenza di un vero testimone diventa insostituibile per spiegare prima ma per comporre poi una sorta di comprensione, di tolleranza e di rispetto reciproco fra esseri umani che abitano lo stesso pianeta. 

Lo stesso Soumaila afferma nel libro:

"Il punto di vista di chi migra è determinante per capire che cosa accade nelle esperienze di mobilità spaziale degli esseri umani. Assumerlo vuol dire cambiare completamente il modo di comprendere questo fenomeno. Si esce dalle astrazioni concrete delle frontiere e dei documenti, ma anche dalle strategie della geopolitica, che usano le persone che migrano, o tentano di farlo, per il loro obiettivi, e si entra nel mondo reale delle vite degli esseri umani. Si penetra in quel fatto sociale totale che, ci ha spiegato Sayad, definisce ogni processo d'immigrazione-emigrazione, rendendolo un'esperienza di trasformazione definitiva e radicale, che cambia in modo definitivo e profondo l'esistenza di chi la vive, ma anche quello delle altre persone vicino a quelle che migrano, travolte nella loro esistenza quotidiana, nei loro sentimenti e affetti, così come nelle loro emozioni. Migrare significa cambiare tutto e per sempre. E' un atto di coraggio assoluto. E' un atto di forza, a volte anche di disperazione, specialmente quando è compiuto in assenza di alternative, stretti tra la vita e la morte. Migrare(sempre nel senso di emigrare-immigrare) è, dunque, un'espressione di soggettività, di presa di parola, anche se silenziosa, di affermazione di sè e della propria identità sociale. In definitiva, ancora seguendo la lezione di Sayed, migrare è un atto fondamentalmente politico, anche se questo suo carattere costitutivo viene continuamente negato per fare spazio a categorie morali, come quelle di minaccia e risorsa. Queste categorie sono utili per confermare l'esistenza minoritaria e subordinata dell'immigrato come ospite a casa d'altri, e quindi, sempre in debito, sia se definito come minaccia( e quindi indotto a scusarsi e a rassicurare) sia se descritto come risorsa (e quindi spinto a lavorare senza mai protestare). 

Cambiare la prospettiva da cui si guarda alle migrazioni contribuisce a far luce su questa costruzione depoliticizzata e disincarnata delle migrazioni. Sollevare il velo dell'ipocrisia di Stato è possibile se si guarda ai processi migratori dall'interno e si agisce una pratica conoscitiva tanto importante quanto ignorata, quella dell'ascolto, che è necessario per capire gli altri e imparare a da loro, combinando ragione e passione, senza separazioni ne gerarchie". 


 

Le cicatrici di un porto sicuro. Diario di un sopravvissuto” di SOUMAILA DIAWARA racconta il viaggio dal Mali alla Libia, la detenzione, il lager, il Mar Mediterraneo, il naufragio e finalmente l’arrivo.
Foto e interviste raccolte di nascosto nel lager rischiando la vita: la volontà di rendere testimonianza diretta della realtà disumana che migliaia di donne, bambine, bambini e uomini vivono in quel luogo che va oltre l'orrore nella speranza di incidere anche in minima parte sull'opinione nazionale e internazionale ancora cieca e sorda alle richieste di aiuto.


Soumaila Diawara nasce il 4 febbraio 1988 a Bamako, dove consegue la laurea in Scienze Giuridiche con una specializzazione in Diritto Privato Internazionale. All’età di tre anni, in seguito alla separazione dei genitori, si trasferisce dalla nonna materna e comincia il percorso scolastico. 


Nel periodo universitario inizia la sua esperienza politica prendendo parte attiva ai movimenti studenteschi a fianco della società civile. Al termine degli studi si inserisce definitivamente in politica entrando nel partito “Solidarité Africaine pour Démocratie et l’Indépendance” (SADI) di cui fu responsabile del movimento giovanile. Grazie al suo partito ha avuto l’opportunità di viaggiare in vari stati in Africa, America Latina, Europa e in Canada nella continua lotta per la liberazione del suo paese dell’imperialismo occidentale. 

Diventa responsabile della comunicazione del suo partito in collaborazione con la Sinistra Maliana e con l’Organizzazione della Sinistra Africana (ALNEF). Fino a quando nel 2012, fu costretto ad abbandonare il Mali in quanto accusato ingiustamente, insieme ad altri, di una aggressione ai danni del Presidente dell’Assemblea Legislativa. A seguito di tali accuse molti suoi compagni sono stati uccisi, altri sopravvissuti hanno lasciato il paese, mentre lui si trova costretto a seguire le rotte dell’attuale fenomeno migratorio partendo dalla Libia su un gommone. Grazie al salvataggio di una nave della Marina Militare giunge in Italia nel 2014 dove ottiene la protezione internazionale ed è tuttora rifugiato politico. 

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