La dimensione nella quale è immersa La Vigilia di Natale è quella della malinconia. Il testo crudo, costruito anche con delle immagini quasi fotografiche, restituisce l’idea di una festività ormai non più sentita come poteva essere in passato, quando si era più giovani. Si avverte, quindi, il desiderio di fuga ma, non potendo scappare fisicamente, è la mente che lavora di fantasia.
“E continuo a sognare quella casa sul mare
con la spiaggia e una barca per andare a pescare qualche pesce tropicale o vecchie storie marinare di stelle cadenti che diventano lampare”
La realtà però ci distoglie prepotentemente dal sogno, irrompendo con la sua routine di brodi vegetali, luci colorate, presepi, parenti con le facce sempre uguali, le farfalle al salmone che fanno molto anni ’80 (quasi come le pennette alla vodka). Il pensiero insofferente corre ancora all’immagine di una giovane donna che illuminava e riempiva le notti di vent’anni fa, colme di ingenuità. Inevitabile chiedersi, di quelle notti di luna piena e sogni… “Cosa rimane? Mogli, figli, fantasie.”.
Accompagnato dalle note di un pianoforte in crescendo, Brunori canta uno spaccato di malinconia e rimpianti. Un desiderio di fuga da un contesto familiare ripetitivo e asfissiante, che però alla fine non si concretizza. Perché se è vero che la monotona quotidianità in famiglia non corrisponde all’idea di futuro nel quale avevamo riposto speranza in gioventù, è anche vero che il Natale ha quella particolare tendenza ad amplificare le emozioni. Se l’amore ti sembra “più amore”, allora la tristezza ti sembrerà “più tristezza”. Per cui, forse… quello che possiamo fare è mangiare l’ennesima insalata di mare, scartare altri regali con la stessa espressione di finta sorpresa, aspettare che la giornata passi e andare a dormire. Che domani non sarà più Natale e potremo tornare alla solita vita, sempre routine ma più sopportabile.
“Quest’anno a Natale volevo morire
poi ho visto l’orario e sono andato a dormire
ho spento la luce e la stella cometa
“Finite le feste mi metterò a dieta”
Emanuela Cristo da metropolitamagazine.it
Vol.3 – Il Cammino di Santiago in Taxi
Già vincitore del Premio Ciampi per il miglior disco d’esordio (2009) e della Targa Tenco come miglior esordiente (2010), Dario Brunori nel 2013 tirò fuori la sua terza fatica, al termine di un periodo molto intenso, seguito alla dolorosa perdita del padre e all’inaspettata svolta nella sua carriera. Il titolo, Vol.3 – Il Cammino di Santiago in Taxi, faceva riferimento un po’ alla sua attitudine frettolosa e un po’ all’aneddoto di una “signora bene” che aveva deciso di compiere questo viaggio del corpo e dell’anima, senza rinunciare però al comfort di una modalità di spostamento molto meno spirituale. Ad ogni modo non bisogna però lasciarsi fuorviare: nel disco non si parla né del cammino né della “signora bene”. C’è però il filo conduttore dell’eterna tensione fra superficie e profondità, razionalità ed emotività.
Per non lasciarsi condizionare dall’asetticità di uno studio di registrazione, Brunori decise di incidere l’album in un ex convento di frati Cappuccini in provincia di Cosenza e si avvalse della produzione di Taketo Gohara. I suoni ne risultarono estremamente puliti.
Il lavoro rappresenta un po’ il punto di maturità artistica di Dario, con molti rimandi anche al cantautorato della tradizione italiana. Le atmosfere dei brani spaziano dalle note più allegre e quelle più nostalgiche, come, appunto, in La Vigilia di Natale.
Emanuela Cristo da metropolitamagazine.it
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