Ricordiamo la nuova inaugurazione del MONUMENTO ALLA DEPORTAZIONE che avverà in due momenti distinti, giovedi 31 ottobre 2024.
Il primo, alle ore 10,30 nel Cimitero comunale di Sarzana, Via Falcinello 1, con l'inaugurazione vera e propria.
Il secondo, alle ore 18,30, nei locali dello Spazio Espositivo dell'Associazione artistica Factory in Via Fiasella 64 con la presentazione della mostra d'arte ispirata al monumento stesso. Nell'avvicinamento all'evento vogliamo sottolineare alcuni particolari di questo manufatto che risale alla fine degli anni'70, eretto su progetto dell'architetto Gianfranco Damiano, e che venne voluto dalla allora consigliatura sarzanese presieduta dal sindaco Anelito Barontini.
Immagine stilizzata del Monumento |
Il monumento voleva ricordare il dramma della deportazione di massa a partire dalla seconda guerra mondiale fino a quegli anni '70 di fine decennio (tragedia, ahimè, continuata ancora oggi, con perfido slancio) e dunque, come si può osservare nell' immagine stilizzata sopra riportata, è composto da cinque lastre di cemento armato poste in verticale che riportano i nomi di altrettanti luoghi di violenta e terribile deportazione (dai tristemente noti luoghi dell'Olocausto come Treblinka e Auschwitz ai profughi della Palestina e dell'eccidio di Tal Al Zatar, dai rinchiusi cileni nello stadio di Santiago del Cile durante la dittatura di Pinochet al tristissimo, e per certi versi eclissato, campo di concentramento italiano della Risiera di San Sabba, istituito a Trieste nel 1943) La sesta lastra, orizzontale, riportava la dedica in varie lingue a tutti coloro che avevano subito questo atroce martirio.
Vorremmo, allora, ricordare qualcosa della storia di questi luoghi e di quanto vi avvenne e la storia dello Stadio di Santiago del Cile è la prova di come la tragedia,moltre che generare violenza e terribili lutti e capace anche di diventare misera farsa.
LO STADIO NAZIONALE DEL CILE
Lo Stadio Nazionale del Cile, costruito tra il 1937 e il 1938 dall’architetto austriaco Karl Brunner e ufficialmente chiamato Stadio Nazionale Julio Martínez Prádanos, è un impianto polifunzionale situato nella città di Santiago, capitale del Cile. È qui che generalmente si giocano le partite della nazionale di calcio cilena e della squadra dell’Universidad de Chile. Arturo Alessandri Palma, allora presidente della Nazione, inaugurò lo stadio il 3 dicembre 1938.
Salvador Allende durante l’attacco al “Palacio de la Moneda” |
Quella partita: quando il Cile di Pinochet giocò da solo nello stadio della barbarie
La bandiera rossa ammainata l’11 settembre 1973, all’ultimo piano del palazzo della Moneda a Santiago del Cile, mentre gli aerei militari bombardano il progresso di un popolo. Il presidente Salvador Allende, con l’elmetto in testa e gli occhiali appannati dalla polvere, è l’immagine di un uomo ucciso dalla violenza che non gli appartiene. La democrazia ha perso. Il medico prestato alla politica per servire il suo Paese morirà di lì a poco, nel prologo di una mattanza infinita. L’ultimo appello pronunciato alla radio, asserragliato nello studio, è carico di nobiltà e lucida preveggenza:
“Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore”.
Allende aveva rappresentato la speranza dei giovani, guidando il primo governo marxista dell’America Latina verso la riforma sociale. Non gli fu perdonato. Avviene tutto nel giro di qualche ora. Il presidente è la vittima simbolica di un colpo di Stato che per 15 anni consegnerà il comando al generale Auguro Pinochet, volto truce della repressione. Il potere autoritario è spietato e non conosce mezze misure.
L’Estadio Nacional diventa un enorme campo di concentramento per detenuti politici dove vengono interrogati, torturati, uccisi o fatti sparire nel nulla migliaia e migliaia di oppositori. Molte sono le donne stuprate dai militari addetti alla sorveglianza con il fucile a tracolla. Una barriera di filo spinato divide l’erba dagli spalti, nei sotterranei la barbarie è un film dell’orrore.
Eppure, incredibilmente, c’è chi pretende che in quel lugubre catino si debba giocare a pallone. Come? E soprattutto: perché?
Le persone detenute nello stadio di Santiago del Cile nel 1973 |
l calcio globale sta vivendo le fasi decisive delle qualificazioni al Mondiale che nel ’74 si disputerà in Germania. Il regolamento vuole che si scontrino in due gare da dentro o fuori la vincente del gruppo 9 europeo e la prima del girone 3 sudamericano. Ovvero l’Unione Sovietica e il Cile, i comunisti opposti ai golpisti. Quando il 26 settembre, a telecamere spente, si svolge il primo atto dello spareggio nello Stadio Lenin di Mosca, in Cile la libertà è già un ricordo perso nella tenebra. Finisce zero a zero, tutto è rimandato al match di ritorno del 21 novembre. La decisione di Breznev, segretario generale del Pcus, è però una sentenza senza appello: la partita va disputata in campo neutro o niente.
È a questo punto che entra in gioco la Fifa. Gli osservatori della federazione internazionale volano a Santiago vestiti di molti timori, danno uno sguardo troppo rapido alle tribune, ignorano la pancia dello stadio e scrivono sul rapporto ufficiale: la situazione è tranquilla, via libera. La squadra dell’Urss resta in patria, il Cile vincerà a tavolino. Senonché a Pinochet questo finale non piace proprio. Il dittatore vuole festeggiare il suo trionfo politico con le gradinate colme di spettatori esultanti. Escogita così una soluzione surreale con la connivenza dei pezzi grossi del calcio: partita dev’essere e partita sarà. Anche senza gli avversari.
Nel più grande teatro dell’assurdo mai visto va in scena una tragica farsa. La formazione cilena scende in campo contro 11 invisibili, l’arbitro — anche lui di Santiago — fischia l’avvio e si comincia. Spetta ai due giocatori più rappresentativi la parte peggiore: Francisco Valdes, il capitano, e Carlos Caszely, il cannoniere. Sono entrambi militanti di sinistra, e come tali considerano ripugnante l’ordine ricevuto. Eppure sono obbligati a eseguirlo. Si scambiano lentamente la palla, avanzano verso l’area sguarnita, tentennano incerti finché arrivano a tre metri dalla porta vuota. Il compito di segnare toccherebbe a Caszely, l’idolo del Colo Colo — la Juventus cilena — soprannominato El Rey del metro cuadrado per la capacità di trasformare in gol qualsiasi pallone gli passi sotto il naso. Invece lui non ce la fa: restituisce la sfera al compagno che la spinge nella rete. Cinquanta secondi sono bastati per l’uno a zero, per il successo cruciale, per la qualificazione al Campionato del Mondo. Per umiliare una nazione oppressa.
Sul tabellone dello stadio il punteggio di 1-0: l’Urss è sconfitta / archivio Gazzetta dello Sport |
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