02 novembre 2022

PENSIERI STUPENDI: 5 Terre, Cimiteri monumentali e la Bellezza

Folla sulle banchine della stazione di Corniglia (dal Secolo XIX del 1° novembre 2022)
 

“La bellezza risplende nel cuore di colui che ad essa aspira più che negli occhi di colui che la vede.” KHALIL GIBRAN

Ieri sera, seguendo in tv il telegiornale regionale della Liguria ho potuto prendere atto della protesta dei cittadini delle Cinque Terre (e delle varie soluzioni che la sindaca di Riomaggiore suggeriva) contro l'assalto dei transumanti che, da sempre, oramai, ricoprono, come un sudario, i borghi e i sentieri di quello splendido scenario.


Se non che, il successivo servizio  parlava del cimitero monumentale di Genova (ovviamente, vista la festività) e delle sue bellezze artistiche e architettoniche, pur nel degrado e nell'abbandono che molte parti dello stesso presentavano. Anche qui si auspicavano soluzioni per risolvere, in questo caso, i danni del tempo e dell'uomo, augurando un successiva fruizione turistico-transumante che, come per molti altri cimiteri monumentali d'Italia, avrebbe portato a poter gustare, anche tra i defunti, quella Bellezza che pare sia la vera araba fenice da inseguire a tutti i costi con relativo ritorno economico. Soprassediamo, ovviamente, sul ponte festivo. Ai più poco importa di cosa siano formati quei "preziosi" giorni di cosidetta vacanza. Fossero santi o defunti la transumanza non trova requie ne ideologica, ne religiosa. L'importante è muoversi, mantenere un corretto assetto di corsa inseguendo la Bellezza come sostanzialmente ci insegna, perdonatemi la blasfemia, una nota pubblicità di carta igienica, molto presente in televisione negli ultimi tempi. Mi sono invece chiesto perchè non siamo più in grado di creare Bellezza a casa nostra. Perchè quella rimasta (ahimè) nelle nostre città di residenza pare poco interessarci? Perchè cerchiamo disperatamente il passato (e lo facciamo altrove), le creazioni di un tempo mitico e svanito o ci intruppiamo in borghi e castelli, la cui dolcezza, calma e suadente del paesaggio diviene, nella ressa più terribile, un qualcosa di inaccettabile, trasformato nei suoi costituenti in una informe, piatta estensione di un desiderata mai raggiungibile? Eppure, nei ritorni a casa, nelle descrizioni fatte a parenti e amici, nelle risposte a occasionali interviste, i transumanti rispondono felici ed eccitati che tutto è bellissimo, che è una fortuna essere in quel posto, che in fin dei conti anche se siamo tanti la bellezza rimane parecchia e per tutti. Evidentemente non si riesce a cogliere la l'evidenza di quanto tutto ciò che è normale bellezza del vivere quotidiano è stato da tempo cancellato. Da quando la nostra società occidentale ha abdicato, dopo l'ultima guerra, a costruire comunità che fossero più equilibrate, l'arroganza del consumismo, la prevaricazione economicista, lo sviluppo ad ogni costo sono diventati dirimenti cancellando, di fatto, tutta una serie di visioni d'anima che, in tempi più antichi, ci accompagnavano in quegli atti di vita, per così dire, necessari e contingenti. Pensiamo solo agli arredi urbani, all'edilizia piena di orpelli per abbellire e di sensazioni che perfino il fascismo (penso alle poste alla Spezia), nella sua follia totalitaria, aveva preservato per molta della sua estetica. Oppure ai borghi di un tempo, quasi candidi nella loro rappresentazione millenaria di una bellezza atavica, modesta e ombrosa che i suoi abitanti difendevano con caparbietà dalle prime, timide ma sopportabili presenze di coloro che avevano a cuore, prima di tutto, il rispetto dei luoghi e la bellezza che ne derivava. Risulta evidente allora che per la maggioranza dei cittadini la costrizione di vivere in luoghi sempre uguali, dove auto e inurbamento sono diventati la norma, dove i rapporti umani sono sempre più difficili, dove la bellezza diverge, essa stessa, verso nuove e indefinibili composizioni, la spinta inconscia a reagire a un mondo sempre più adulterato non poteva non portare alla ricerca disperata, fuori da una castrante quotidianità, di qualunque cosa che potesse essere Bellezza. Una sorta di santo graal ma anche di esodo biblico verso luoghi che ancora (così si pensa e se ne ragiona) ne fossero provvisti. Luoghi sempre più affollati, luoghi sempre più inventati, luoghi modificati per rispondere alla domanda disperata di Bellezza come, oggi, i cimiteri monumentali, divenuti oramai i depositari non dei defunti ma di una dimensione antica (chiediamoci dove è finita, oggi, l'arte nei cimiteri ma soprattutto nelle città) che questa società non è più in grado di fare propria, di servirsene ancora una volta nella vita di tutti i giorni. O come le navi da crociera, paradossali, ecumenici luoghi del godimento scambiati e travisati come luoghi di Bellezza che galleggiano tra mete lontane, delle quali ai più poco importa, troppo impegnati a perpetuare una semplice quotidianità che qui, in mezzo al bel mare, viene creduta, interpretata come riparazione alla loro complicata vita. O come le Cinque Terre, surrogato meraviglioso, che dovrebbe sostituire nel cuore dei transumanti le mancanze paesaggistiche, ecologiche e di bellezza che, nelle loro residenze, sono magari decadute, sostituite, disperse da nuove visioni più pragmatiche, distruttive che hanno azzerato i luoghi e confuso le loro anime. Cosa fare, allora? Nulla. I meccanismi sociali sono troppo grandi, troppo complessi ma soprattutto la nostra parte animale continua indefessamente a comandare i movimenti. Dunque, meglio lasciar perdere. In fin dei conti il sottoscritto ha girato per lavoro le 5 Terre per trent'anni con sole e pioggia (evitando rigorosamente l'estate), da solo e nell'assoluto silenzio dei borghi rotto solo dai saluti dei residenti e dal rumore del mare. Una pacchia finita, ma almeno è rimasto lo Sciacchetrà. Non è poco.

Giorgio Giannoni  

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