01 maggio 2023

1° MAGGIO, FESTA DEL LAVORO: Ei fu, siccome immobile...

 


Hai finito il tuo lavoroHai tolto trucioli dalla scoccaè il tuo lavoro di catenaChe curva a poco a poco la tua schiena
Neanche un minuto per ogni autoLa catena è assai veloceE il lavoro ti ha condottoA odiare la 128...
L'operaio della Fiat "La 1100" 1974 Rino Gaetano 


Quando in una comunità si comincia a mettere in discussione i propri simboli etici e morali vuole dire essere arrivati al capolinea della convivenza sociale e a mettere in dubbio i valori  portanti della democrazia e della libertà di un popolo. Che l'Italia sia stata fondata sul concetto/diritto di lavoro come recita la nostra Costituzione nel primo articolo è diventato uno slogan di forma, una sbadigliante affermazione capace solo di annoiare la maggior parte dei cittadini come dimostrano i sondaggi in questi giorni.


D'altronde lo esplicita ampiamente la storia stessa del lavoro e di come questo diritto sia stato lentamente edulcorato, modificato, divelto giorno dopo giorno da una visione sbagliata del mondo che la politica, tutta, ha applicato sistematicamente nel corso degli anni dal dopoguerra ad oggi. Eppure occorrerebbe pensare bene cosa significhi l'edificazione di una nazione, di una comunità sul concetto di lavoro che non è banale o poco importante.

 In primo luogo è un evidente esempio di democrazia perchè la certezza di un lavoro garantisce ad ognuno la possibilità di vivere meglio permettendo una giusta promozione individuale e sociale. 

In secondo luogo, come ci ricorda Maria Mantello: "In uno Stato democratico non possono esserci né sfruttati né sfruttatori. Perché nessun individuo può essere merce e strumento di arricchimento di pochi, che sulla precarizzazione delle vite altrui creano potentati economico-politici di familismo amorale. Perché fuori del diritto per ciascuno di trarre sicurezza dal proprio lavoro non c’è libertà, democrazia, giustizia"

Ma non pare che, alla fine, quanto sancisce la Costituzione sia stato definitivamente strutturato, anzi, nel tempo le cose sono andate molto diversamente.

 Sempre Maria Mantello :" Flessibilità del lavoro. Una narrazione iniziata negli anni Ottanta. Quando il craxismo dava la stura al riflusso politico-economico-sociale. Rampatismo e Disimpegno erano il dittico per la svolta reazionaria. Le reti berlusconiane, a cui Craxi assicurava la scalata, smerciavano la favola della ricchezza a portata di mano grazie alla flessibilità del lavoro: ne lasci uno, ne prendi un altro, padrone di scegliere! Bisognava «liberarsi da lacci e lacciuoli» del posto fisso. In questo delirio collettivo di balle demenziali erano allevate le nuove generazioni che scambiavano soap opera per realtà. Nel 1995 Tiziano Treu, ministro del lavoro del governo Dini, presentava il suo “pacchetto” che diventava legge il 24 giugno 1997. Al governo c’è Prodi e Treu è sempre il ministro del lavoro.

La favola della flessibilità è spacciata ancora come incremento dell’occupazione. Ed è il trionfo dei contratti interinali. Che la legge 1369/1960 vietava per le attività continuative e stabili. Una pacchia per le imprese e per le agenzie private di collocamento.
Dopo tre anni di gestazione parlamentare (2001-2003), in meravigliosa combutta di alleanze trasversali l’instabilità del lavoro prende il volo con la Legge 30 del 14 febbraio 2003, meglio conosciuta come “legge Biagi”.

Ed ecco il trionfo dei contratti a progetto (co.co.pro.). Il tempo indeterminato è ormai un miraggio, ma la favola del lavoro flessibile continua, e il sacrificio delle tutele dei lavoratori anche.
Ed è ormai una catena ininterrotta, che già ben oleata negli ingranaggi, si implementa in un pullulare di tipologie di legalizzati contratti «atipici».
Nemmeno il padronato (forse) sperava tanto. Ma vista l’aria, alza il tiro, fino ad ottenere lo scalpo dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Ci aveva provato Berlusconi, ma poi con Monti ne inizia la decapitazione… e il suo delitto è portato a termine con Renzi. 
La precarizzazione avanza e si chiama Jobs act: lavoro sicuro in libero licenziamento.

Dopo anni e anni di sempre più legalizzata deregolamentazione del lavoro, assistiamo al tradimento del dettato costituzionale del diritto al lavoro motore di emancipazione individuale e sociale. Per essere liberi dalla soggezione, dal ricatto, dal sopruso".

Ancora oggi, nella nuova narrazione di un governo di destra, molti, obnubilati dalla necessità e dal miraggio di una vita lavorativa, paiono succubi e consenzienti ad ogni idea malsana, ad ogni incoerente decreto o legge sull'argomento, accettando di fatto che la regressione continui come si può vedere dalle ultime decisioni del Consiglio dei Ministri che, badate bene, viene convocato proprio oggi, il Primo Maggio, Festa del Lavoratori, in un sussulto irrispettoso che allinea la sostanza ad una forma becera, volgare, volutamente esplicativa di una pessima considerazione del significato sociale e politico che riveste questo giorno. Una sorta di capolinea che mette assieme molti italiani nella oramai persa sensibilità verso le proprie radici e i propri principi fondanti. L'insensata liberalizzazione del mercato del lavoro, in fin dei conti, fa il paio con la messa in dubbio del 25 aprile come festa degli italiani e pone le basi per creare una società avulsa dalle proprie responsabilità, solo pronta ad accettare ogni scelta sempre più reazionaria e dividente con il sorriso ebete di chi è incapace di vedere più in là del proprio naso. Se la flessibilità spinta, il precariato, i voucher sempre più diffusi sono ormai la norma è probabile dunque che lo svuotamento del Primo Maggio sia un fenomeno irreversibile. La percezione del valore della festa sta scomparendo anche tra i suoi destinatari. Il racconto del lavoro, specialmente quello giovanile, è da tempo monopolizzato da nuove ideologie informatiche e da altre visioni, mentre è palese l'afasia del sindacato costretto da questo governo ad accettare scelte praticate, come accadde oggi, addirittura consultandoli solo la sera prima. Eppure, noi più anziani continueremo a crederci, a raccontare quando il lavoro si trovava perchè la società funzionava meglio, quando le disparità erano meno forti, quando il rispetto e la responsabilità verso gli altri era palese, quando le regole erano chiare e forti nella loro scrittura e condivisione. Difendiamo, dunque, la Costituzione ed ogni tentativo di modificare le sue evidenti derivazioni come il lavoro e la sua festa. Resistere al conformismo, all'edulcorazione del presente, all'esagerazioni della nuova quotidianità sono un doveroso retaggio e un segno di rispetto verso coloro che, in ben altra maniera, hanno edificato la nostra comunità.

Giorgio Giannoni

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