La vera domanda da porsi in questa ennesima casualità di sovrapposizioni politico/esistenziali è: perchè, per molti, la morte di un papa è più importante del 25 aprile?
Semplicemente perchè i fondamenti di uno Stato attengono a strutture coscienti e costruite consapevolmente da esseri umani, dunque effimere, fugaci, transuenti mentre la morte del capo di una gerarchia attiene alla sfera dell'inconscio, al mito del capo, di un capo, in questo caso, intermediario con Dio e dunque dell'inconscio stesso. L'immensa pletora di persone che, in questi momenti, corre al capezzale della figura papale nella bara è emblematica di uno smarrimento collettivo, di una assenza imprevista. Il Senso del Sacro deflagra inconsciamente in queste donne e in questi uomini che, sebbene poco praticanti o magari dimentichi, quotidianamente, della profondità esistenziale (perchè immerse e affaccendate nella loro quotidianità), in questi frangenti smarriscono le certezze e, nell'ultimo, doloroso saluto, leniscono provvisoriamente la mancanza di una guida, ponendosi, affannosamente nell'aspettativa della prossima santità; numeri traboccanti che si riverberano nelle file e nelle masse attese per il funerale o già nelle prenotazioni di coloro che si ritroveranno a Roma solo per poter cogliere la tanto attesa fumata bianca che allevierà, fin da subito, quella recondita mancanza, nella totalizzante attesa della comparsa sul balcone di San Pietro della nuova guida etica e morale.
La forze di questa energia sono così forti che gli stessi rappresentanti dello Stato perdono il senso della loro appartenenza a regole condivise, a principi acclarati che provengono dalle strutture stesse che hanno permesso loro la posizione apicale che occupano nell'ambito dei poteri dello Stato. Tutto passa in secondo piano difronte al sentire profondo dei misteri che si agitano nelle nostre menti più ancestrali, quando coloro che vengono considerati inconsciamente guide spirituali scompaiono nella certezza, nell'evidenza della loro semplice umana piccolezza. Bisogna dunque fare silenzio, placare i rumori, porsi in una catartica attesa dell'ultimo saluto, cancellando ogni altra attività, qualunque essa sia, anche quella attinente ai doveri e alla dignità dello Stato di cui, loro, sono rappresentanti.
Tutto ciò è l'ennesima riprova di come essere più critici, più attenti, più coscienti attenga sempre ad uno stato di sofferta consapevolezza, di scelta arbitraria contro le paure e i rigurgiti di un inconscio la cui caratura fondamentale è l'obbedienza all'animalità, alla semplice espressione di un potere gerarchico dunque del potere, al godimento più semplice, al lasciarsi travolgere dalle paure ancestrali con il risultato di operare scelte sbagliate nella vita di tutti i giorni.
Le affermazioni di Musumeci contro il 25 aprile sono l'emersione nella coscienza di spinte più profonde che, in persone più conservatrici trovano una consonanza di fondo, una loro ragione d'essere che porta, in definitiva, ad affermazioni e altre volte a scelte di vita che sconfinano, inevitabilmente, nel reazionario, nel retrivo più incomprensibile. Non si ragiona più sul fatto che, in fin dei conti, il papa è solo una persona come tante altre e che, sebbene nel rispetto della sua figura politica e sociale, occorra non lasciare che la sua ultima presenza offuschi i caratteri di uno Stato sovrano. Come ho sottolineato lo stravolgimento è quasi totale, nell'esagerata durata del lutto italiano (come se il Vaticano fosse una nostra provincia) ma, guarda caso, non attiene a quel godimento, a quel divertimento (altra faccia dell'inconscio) che si traduce nel lasciare inalterato i giochi sportivi (leggi calcio) o altre manifestazioni ludiche, interrotte solamente nel giorno dei funerali.
Festeggiamo dunque il 25 aprile e il suo 80° anniversario con la percezione di un qualcosa di importante, con la reale consapevolezza di aver costruito, in questa nazione, una società certamente imperfetta ma che proprio in questi momenti di ricordo possa trovare la forza di migliorare senza lasciarsi travolgere dai quei pessimi rigurgiti profondi che, invece, sono stati alla base di altri momenti della nostra storia. Il 25 aprile non ha mai avuto la necessità della baldoria e del rumore (cose più attinenti a chi si lascia irretire da nostalgiche correnti sotterranee) ma solo della certezza di essere a fondamento di una comunità di esseri umani, la nostra.
Giorgio Giannoni

Nessun commento:
Posta un commento