La Pasqua incombe, i riti si succedono lungo sequenze note e definite, muovendosi su una direttrice partita da lontano, dal Natale e chiudendosi con gli accadimenti che la religione cristiana da tempo immemore presenta come metafora della salvazione, come aspettativa di una nuova vita oltre la morte. In una parola la fede come sicurezza verso il nulla dal quale proveniamo e nel quale, inevitabilmente, ritorneremo. La storia dell'uomo è costellata di ricoveri, ricette per la vita, ripari, rifugi tali da tentare di arginare quella paura, quell'angoscia, quel panico esistenziale che inesorabilmente ci accompagna lungo i sentieri della nostra esistenza e la religione, da sempre, è uno dei più funzionali nell'arginare l'abisso. In filosofia si dice che i tentativi come la religione con la sua fede, e oggi, in maniera più perentoria e aggiornata, la scienza con la sua tecnologia sono degli episteme, termine greco che si riferisce ad un sistema di sapienza che, in teoria, sia capace di dare un senso alla nostra vita e arresti questa tracimazione verso il nulla, verso la non esistenza. Ma siamo sicuri di sentire e di comprendere veramente questa angoscia e questa paura che ci pervade? Basti pensare, per un momento, ai primi nostri progenitori preistorici incapaci di trovare una risposta a quel senso di paura, di terrore che ogni attività o accadimento umano provocava in loro. Come spiegarsi la nascita, la morte, il mangiare, il defecare, il riprodursi, l'alternanza del giorno e della notte, il progredite delle stagioni, il sole e la luna in cielo? Possiamo compendiare quel terrore sovrumano che viene dal profondo, dal nostro inconscio, quel senso di impotenza definendola oggi come Senso del Sacro e proprio da tali inspiegabili paure è emersa la necessità di inventare qualcosa, qualcuno che potesse dare un senso ad ogni cosa. Le prime proiezioni di questo inconscio terrore nella natura furono i primi passi per raccontarsi le cose e cominciare a pensare a qualcosa, qualcuno che scacciasse la paura e ci difendesse dall'inconoscibilità del futuro, dall'instabilità del quotidiano, dalla mancanza di un senso e di un significato nella natura. Il passo successivo si espresse, allora, nel codificare un culto, nel creare dei e dee simili a noi, con le stesse paure, le stesse idiosincrasie ma potenti nelle loro azioni superiori, tali da creare riferimenti e sicurezze e poi storie, prima orali, successivamente scritte per giustificare azioni, comportamenti, spiegazioni sul mondo e sulla vita. Erano nati i grandi miti e le loro necessarie elucubrazioni. Forse, le parole di Umberto Galimberti chiariranno meglio quanto ho appena scritto:
" Sacro è una parola indoeuropea che noi traduciamo con “separato” e fa riferimento alla potenza che gli uomini hanno avvertito come superiore a loro e perciò collocata in uno scenario “altro” a cui hanno dato il nome di sacro, successivamente di “divino”. In questo scenario Dio è arrivato con molto, molto, molto ritardo. Cerco di indicare una terminologia in modo che nessuno identifichi il sacro con Dio. Si tratta di potenze che l’uomo ha avvertito come superiori a sé e ha collocato in una regione “altra”, denominata appunto “sacralità”. Sacralità è una parola ambivalente che vuol dire al contempo, benedizione e maledizione: tutte le parole che oltrepassano l’umano sono parole ambivalenti. Stante la natura ambivalente di questa dimensione, ambivalente è anche il rapporto che l’uomo stabilisce con il sacro: da un lato lo teme come si può temere ciò che si ritiene superiore e che non si è in grado di dominare e dall’altro ne è attratto come si è attratti dall’origine da cui un giorno ci si è emancipati. Il sacro è una dimensione perdurante nella condizione umana, può essere rimosso, invocato, temuto, dimenticato addirittura, ma opera comunque. Per difenderci dal sacro sono nate le religioni, le quali, non sono dimensioni che ci mettono in rapporto con il sacro bensì ce ne difendono..."
Ecco perchè questa sera guarderò nuovamente Jesus Christ Superstar perchè proprio nella certezza, mia e solamente mia che la religione sia un palliativo, un rimedio momentaneo alle spinte innegabili del nostro inconscio, la riproduzione del suo mito più centrale (in questa maniera così penetrante, convincente e coinvolgente ) servirà a sublimare e lenire momentaneamente le paure e le angosce di quel Senso del Sacro che, sempre imperscrutabile, indefinibile, inafferrabile ci condanna alla nostra piccolezza e insignificanza. Potrà sembrare paradossale servirsi della religione per affermare la sua sostanziale inesistenza ma è proprio il Senso del Sacro, come afferma Galimberti, che ha spinto l'essere umano in una dimensione divina così irraggiungibile, della quale la religione è solo un risibile, implausibile aspetto.
Buona Pasqua a tutti
Giorgio Giannoni
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