La presunta aggressione al sindacalista della CGIL genovese, ancora non chiarita, soprattutto dopo la denuncia ritirata dallo stesso, ha offerto, come era logico, l'inevitabile ridda di commenti, di prese di posizione, di affermazioni incontrollate da parte della destra al potere.
Evidentemente, l'accaduto verrà valutato nelle sedi opportune e sia le indagini e le decisioni eventuali della magistratura, se vi saranno, serviranno a capire se si è assistito a qualche leggerezza di troppo o una verità di fondo. Ma quello che volevo sottolineare, nell'affrontare senza particolari colorazioni politiche questo avvenimento, sono le parole di risposta di alcuni eletti della destra alla decisione del sindacalista di ritirare la denuncia, sebbene come si è visto sia stata mantenuta la richiesta, da parte della CGIL, di continuare ad indagare sull'accaduto.
In particolare Edoardo Rixi, deputato leghista, viceministro e segretario della Lega in Liguria ha proferito, con stolida leggerezza, una risposta che vale la pena analizzare, alla luce di come il neofascismo in Italia sia più che presente e operante:
"Il fascismo a Genova è una montatura. I veri rigurgiti d’odio arrivano dai professionisti dell’antifascismo. A pochi giorni dal 25 aprile, data che dovrebbe unire il Paese nella difesa della democrazia, assistiamo all’ennesimo teatrino dell’odio organizzato da chi dell’antifascismo ha fatto una carriera. Un odio strumentale, costruito ad arte, e smentito dai fatti. Con buona pace della retorica da corteo, a Genova i fascisti non ci sono più dal 1945. Oggi c’è una maggioranza democratica di centrodestra, scelta liberamente dai cittadini, che lavora ogni giorno per dare forza a Genova e ai genovesi. Chi semina odio non ha nulla da insegnare sulla libertà”.
Affermare che i fascisti dal 1945 non ci sono più potrebbe essere presa come una ilare battuta perchè se "fascismo" rimane certamente una categoria politica del '900 con la quale molti sprovveduti pensano di non aver più a che fare, occorrerebbe chiedere, in primis, alle varie associazioni dichiaratamente fasciste, come Casa Pound o Forza Nuova, il perchè si ostinino a declamare i fasti dell'antico regime e ad adottare tutta la nera prosopopea di quel ventennio totalitario. Passando, invece, a questi governanti di destra sia nazionali che regionali, bisognerebbe chiedere loro perchè si ostinino a tentare di applicare decreti e leggi che riverberano visioni, principi e valutazioni che sono marcatamente illiberali e antidemocratici e dunque fascisti per estensione. Il termine fascismo, tutto italiano all'inizio, oggi viene usato in tutto il mondo come sinonimo di prevaricazione e dittatura. Forse molti di loro non si sono resi conto di come la democrazia, categoria politica oggi presente in Italia, sia proprio il vero limite, l'estrema linea di demarcazione tra l'espressione politica, sociale ed egualitaria di una comunità e l'avvento di un governo gerarchico e totalitario che rispecchia, appunto, il ritorno a forme fasciste di governo.
Ci si aspetterebbe, dunque, che qualsiasi governo democratico nazionale o regionale italiano, sia antifascista e usi il termine stesso, riportato in Costituzione, come riferimento di fondo, nell'espletare i propri doveri quotidiani, al di là dell'evidente riferimento al passato mussoliniano. Evidentemente ciò non accade, partendo dalla voluta "dimenticanza" di non volere usare il termine, imputando, appunto, alla parola stessa, in questo presente, una sua non necessità politica e storica ma, e qui sta la contraddizione, di servirsene invece per accusare le opposizioni di innescare "teatrini d'odio" da parte di coloro che hanno fatto dell'antifascismo "una carriera".
E' un gioco delle tre carte quello di questa destra sovranista, che nasconde con maestria la propria, deleteria visione del mondo con la proposizione di compiere un lento ma efficace rimodellamento del nostro sistema democratico, aiutati, ovviamente, dal perdurare, soprattutto in molti giovani squadristi appartenenti alle nuove associazioni fasciste, di una atmosfera di violenza che permea sempre di più gli spazi democratici di una società civile come la nostra.
Il ricordare il 25 aprile e l'antifascismo sul quale è costruita l'Italia democratica deve partire, inevitabilmente da queste considerazioni, ma la necessità di ricordare quanto venne fatto dalla Resistenza non trova però un suo sbocco politico se non applicato alla necessaria considerazione di mandare a casa al più presto questa parte politica con le prossime elezioni e di rendere fuori legge ogni associazione che si richiama al fascismo.
L'articolo che segue mostra ancora di più e meglio questa situazione che possiede, come è logico, anche degli aspetti psicologici che è giusto conoscere.
01/2024 - Costituzione e neofascismo
L’“ombra” del neofascismo
di Giuditta Brunelli da Associazione dei Costituzionalisti
Alcuni recenti episodi – la commemorazione dei morti di via Acca Larentia il 7 gennaio e la pronuncia della Cassazione, Sez. Unite penali, del successivo 18 gennaio, originata da una vicenda milanese del 2016 – hanno riproposto la controversa questione della liceità penale di pubbliche manifestazioni riconducibili alla simbologia del disciolto partito fascista. Si tratta, nei casi ricordati, della qualificazione giuridica da attribuire, ai sensi delle leggi Scelba (n. 645/1952) e Mancino (n. 205/1993), al rito della “chiamata del presente” e al c.d. “saluto romano”. Molto è già stato detto nei precedenti interventi in questo dibattito. Vorrei pertanto limitarmi a sottolineare due profili: uno di carattere generale, attinente ai presupposti culturali di quanto accaduto, e uno più tecnico giuridico, circa la natura associativa (e dunque organizzata) dei comportamenti posti in essere...
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