Non avere paura delle mie voci
tra esse ce n'è una che ti chiama
non chiamare inferno
qui, ove nessuno è giudicato
l'inferno si nutre di sentenze
e i diavoli han di meglio da fare...
(Le città, da Blues in sedici)
Brianza, 1988, liceo scientifico, classe 2aC. Un giorno di gennaio, mi pare intorno alla fine. Cielo grigio piombo, pioggerellina fine, nebbia, freddo umido, di quello che penetra i vestiti e arriva alle ossa.
Fresca di laurea, disorientata dal fuso orario e dall'eccesso di studi grecizzanti - filologia greca, grammatica greca, letteratura greca, epigrafia greca, storia greca - devo assegnare letture di italiano. Non troppo facili e non troppo difficili, non troppo lunghe, divertenti ma edificanti.
Eliminata tutta la mia formazione. Cassata in un attimo. Smarrimento.
C'era un vecchio collega di cui non ricordo il nome, compito, coltissimo, grande affabulatore. Dalle 7 e 30 alle 7 e 45 teneva un amabile siparietto, consistente nell’esegesi e commento filologico ai titoli dei film erotici del “Corriere della sera”. E già l'ossimoro era perfettamente scodellato. Cultura e gioco in un unico, sapidissimo individuo. Per me, che di giocoso conoscevo solo quello di Callimaco! Era la persona giusta.
Gli chiedo, distrattamente, entrando in classe: “Ma tu che letture assegneresti in una seconda?”
Tra i tanti nomi, che conoscevo e che amavo, ne butta lì uno che, francamente non capii neppure bene. Benni
Ohibò. L’arroganza della supponente inesperienza subì un terribile scacco.
Uno sconosciuto. Ma proprio buio pesto. Mai sentito. Non ero neppure sicura del nome.
Carneade...curiosità attivata, modalità on.
Al pomeriggio, libreria in Buenos Aires saccheggiata. Il bar sotto il mare, Bar sport, Comici spaventati guerrieri.
Una rivelazione. Di più, una rivoluzione copernicana. Di più. La salvezza dalla convergenza. Questo fu per me Stefano Benni. Con lui ho imparato che esiste un altro modo di scrivere rispetto ai classici con i quali avevo affinato il palato. Più libero, fuori dagli schemi, ironico. Spettinato. Ma non per questo banale. Sorprendente scoppiettante, bizzarro e serio, profondo e comico. A pensarci bene, proprio come il mio collega.
Proposto ai ragazzi, le mie quotazioni schizzarono in alto. Leggevano tutti, anche quel tipo dark che sembrava uscito da un film di Dario Argento e che amava solo Stephen King.
Stefano Benni mi ha salvato.
Da lui ho imparato a non prendermi troppo sul serio, ad essere più duttile, più cedevole alla fantasmagoria del mondo.
Ecco, mi ha insegnato le sfumature, che fino a poco tempo prima mi sembravano solo imperfezioni, infrazioni alla norma. Ma quale norma? Ho imparato pure che non c'è norma, se non la deroga, la sbavatura, la deviazione. Il dubbio.
Dopo ho letto tutto di lui, furiosamente. Aspettavo le uscite dei suoi libri, lo confesso, come di quelli della saga di Malaussène di Pennac. Erano amici, infatti. E io divenni loro sodale, seppur virtuale.
L'ho conosciuto anni dopo, in un vicolo di Sarzana, tutto vestito di nero ma sorridente, scanzonato, divertito e curioso.
Grazie di tutto, caro Stefano.
Oggi è proprio una brutta giornata.
Manuela Schiasselloni

Nessun commento:
Posta un commento