Gli artisti, quelli veri, hanno l'ineffabile caratteristica di costringerci, con la loro arte, a vedere ciò che non cogliamo della realtà o, peggio, che disconosciamo per menefreghismo, viltà o presunta saccenza.
Questa sorta di rappresentazione che Ivan Lazzoni ha posto in essere nei sotterranei di una antica fortezza, possiede la forza innata della rivelazione, sebbene il riferimento al genocidio di Gaza potrebbe, nella sua terribile enumerazione giornaliera di vittime e soprusi, possiede i crismi di una senescente, ripetitiva notizia alla quale, la maggioranza degli abitanti del pianeta, pare assegnare un superficiale interesse. Ecco, allora, la necessità di riscoprire la propria empatia, sepolta sotto strati di disumana insensibilità e ben vengano, da un lato, gli sforzi di pochi che, nella semplice ma sentita consonanza con chi soffre, raccolgono e donano un qualcosa per mitigare la sofferenza altrui e dall'altro l'artista che vuole trascinare nel suo profondo (in quei sotterranei cosi in-consciamente voluti) l'attenzione e l'anima dei visitatori per un momento di necessaria riflessione. Nessuna delle due scelte sposterà di un millimetro quanto di terribile stà accadendo in quel luogo dimenticato dagli uomini e dagli dei, eppure entrambe sono la rappresentazione conscia e inconscia, pragmatica e artistica, che esiste, sempre e comunque, la possibilità di essere in disaccordo e contro la banalità del male, quell'onda di ottusa e profonda prevaricazione che sgorga da sempre dalla nostra mente e della quale siamo schiavi fino a quando, guardandoci dentro e specchiandoci con altri come noi, non ne cogliamo l'intrinseca insensatezza, la logorroica coartazione a ripetere il peggio di noi.
CAPPELLA PALESTINA
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