Il 2025 finisce e me lo levo di dosso come un cappotto zuppo di pioggia. Un anno pesante, difficile, che ha lasciato il segno. E non sono sola, è stato pesante per il mondo intero.
Bambini e persone massacrati dalle guerre mentre noi brindiamo alla mezzanotte. Povertà che dilaga in un'Italia che finge di non vedere, che volta la faccia, che si racconta bugie. Gente che affoga, gente che ha fame, gente che non conta niente mentre i potenti si spartiscono il pianeta come fosse una torta.
E poi ci sono le battaglie personali, quelle che ognuno di noi combatte in silenzio, giorno dopo giorno, quelle di cui non si parla nei brindisi ma che sono lì, reali, ostinate. Le paure, le fatiche, i pesi che nessuno vede.
Lo so che sperare in un 2026 migliore è retorica. Lo so che cambiare numero sull'agenda non cambia la realtà. Ma cosa ci resta, se non questa speranza testarda, quasi ridicola? Sperare che qualcosa si muova, che qualcuno si svegli, che il dolore dei bambini conti finalmente più degli interessi dei potenti, sperare che i nostri pesi diventino più leggeri da portare.
È retorica, sì, ma è anche resistenza.
E forse è anche il momento di smetterla di pensare solo a noi stessi; meno individualismo e più solidarietà vera, quella che costa fatica. Cerchiamo di coltivare amicizie sincere, di stare vicini a chi soffre davvero.
Buon anno a chi non smette di lottare, a chi vede il dolore del mondo e non si abitua, a chi porta le proprie fatiche ma non si arrende.
Che il 2026 sia migliore per tutti, deve esserlo.
E che ci trovi meno soli, più forti, ancora capaci di indignarci e di sperare.
Monica Faridone

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