17 marzo 2022

INCONTRO CON LA DOTTORESSA ROBERTA BRUZZONE: ANTEPRIMA INTRODUZIONE del libro FAVOLE DA INCUBO sul tema dei femminicidi

 

L'Associazione InSarzana inizia il suo cammino con il primo di una serie di appuntamenti che si terranno in città. L'idea di fondo, come già abbiamo indicato nella nostra breve presentazione, è quella di toccare con mano e dove possibile intervenire in molti piccoli, grandi problemi che ci affliggono come cittadini di un piccolo comune ma anche come italiani e, perdonateci la presunzione, come semplici esseri umani.

 

Cominciare, dunque, dai rapporti uomo-donna e dall'estremizzazione angosciante dei femmicidi ci è sembrato quasi doveroso. Abbiamo dunque invitato a parlare di questo problema Roberta Bruzzone, personaggio conosciuto da molti per la sua attività di criminologa, psicologa forense e consulente di procedimenti penali, civili e minorili . Laureata in Psicologia Clinica all'Università degli Studi di Torino con una tesi in ambito criminologico, Roberta Bruzzone, la più famosa profiler d'Italia, ha da poco pubblicato un importante libro, FAVOLE DA INCUBO Dieci (più una)storie di femminicidi da raccontare per impedire che accadano ancora  in coppia con Emanuela Valente, esperta di comunicazione e blogger, presente in molte testate giornalistiche e creatrice/curatrice del sito In quanto donna (www.inquantodonna.it), il primo e il più completo osservatorio on line sul femminicidio in Italia. Roberta, molto gentilmente, ci ha permesso di pubblicare l'Introduzione del suo libro per avvicinarci con più semplicità ad un argomento tutt'altro che semplice nella sua terribile quotidianità.

L'appuntamento è dunque nel Ridotto del Teatro degli Impavidi a Sarzana, giovedi 31 marzo 2022 alle ore 20,30. Non mancate. 

 
 
Introduzione DEL LIBRO

 
 I peggiori nemici delle donne

Il dominio maschile sulle donne è la più antica e persistente forma di oppressione esistente.  

Pierre Bourdieu

Viaggio negli stereotipi che da secoli alimentano la violenza di genere

Una cosa è certa: in Italia gli stereotipi culturali sono ancora molto diffusi e radicati. E i dati ci raccontano da diversi anni che proprio tali stereotipi sono – molto più spesso di quanto ci piacerebbe credere, visto che siamo nel travagliato 2020 – alla base di comportamenti violenti verso le donne. E non esistono sostanziali differenze socioculturali o geografiche, come ci mostra, tra le altre, l’indagine sugli stereotipi legati ai ruoli di genere e sull’immagine sociale della violenza, condotta dall’ISTAT nel 2018. I numeri dei cosiddetti “delitti in famiglia” sono impressionanti. A partire da uno che fa davvero riflettere: dal 2000 a oggi sono più di tremila le donne assassinate nel nostro paese. In Italia, in media ogni due giorni una vita di donna viene spezzata dalla violenza di un uomo. Il suo uomo, nella stragrande maggioranza dei casi.

- * Questo libro è dedicato a TE !! - Buona lettura by Gruppo_Andromeda * - In considerazione della gravità emergenziale della situazione, è quantomeno discutibile che il nostro paese non abbia ancora istituito nemmeno un osservatorio permanente sul femminicidio in grado di fornire dati precisi e affidabili.

L’elemento centrale del movente che spinge gli assassini all’escalation è quasi sempre lo stesso: l’abbandono, reale o presagito poco importa, da parte di una donna colpevole di volersi liberare di loro, della loro immaturità, della loro incapacità di amare, della loro sete spietata di controllo, fondamentale per mettere a tacere tutte le molteplici fragilità che queste persone di solito hanno. Quando un omicidio si consuma all’interno della famiglia, due volte su tre a morire è una donna, per mano del partner (o ex partner). La maggior parte viene assassinata nella propria abitazione, molto spesso esattamente in quella stanza da letto che un tempo era stata teatro di promesse amorose mai realizzate. Ed è proprio quella stanza, per un tragico e beffardo scherzo del destino, a trasformarsi in una (troppo spesso) sanguinosa scena del crimine.

Nasce da questi dati di fatto l’esigenza di parlare delle storie di femminicidio attraverso una narrazione diversa, onesta, forse spietata, ma realistica.

Per iniziare il nostro viaggio all’interno della violenza sulle donne, quella che si nasconde dietro sorrisi di circostanza e lividi mascherati con il fondotinta, dobbiamo partire da alcuni dati che sono a dir poco allarmanti, dati che ci restituiscono una fotografia molto fedele, e nemmeno troppo sorprendente, di ciò che ancora oggi domina gli schemi culturali, e quindi educativi, degli uomini e delle donne italiani. E no, non si tratta davvero di una bella notizia. Questa è un’epidemia da affrontare che, per molti versi, è ben più grave di quella generata dal Covid-19, e la necessità di un vero e proprio vaccino culturale e educativo diventa ogni giorno sempre più drammaticamente evidente. Perché la violenza di genere contamina le generazioni da secoli e secoli. Dalla notte dei tempi, quella notte che non accenna a terminare.

Il nostro viaggio nell’orrore delle “favole da incubo” deve iniziare proprio da quel subdolo e scivoloso terreno culturale che è il principale complice degli assassini di cui molto parleremo in questo libro. Ogni storia è un biglietto di sola andata per l’inferno della manipolazione psicologica e della violenza vera e propria. Ma per comprendere davvero di cosa dobbiamo preoccuparci, bisogna fare un passo indietro, entrare nella testa delle donne e degli uomini italiani, dei ragazzi e delle ragazze, dei bambini e delle bambine. E dobbiamo scendere così in profondità da riuscire a ricostruire fedelmente il percorso che li ha portati a sviluppare schemi comportamentali, valoriali e educativi di chiara matrice patriarcale. Perché ciò che siamo, ciò che pensiamo, il tipo di persone che siamo diventati non è solo il risultato della nostra storia personale. Siamo all’interno di un contenitore molto più grande, di un percorso molto più antico, di una storia che è cominciata ben prima della nostra nascita e di quella dei nostri genitori. Ed è di quella storia che vogliamo occuparci in questo libro. Perché davanti a quella storia siamo tutti, chi più, chi meno, chiamati a rispondere e a prendere posizione per evitare di esserne travolti, come è successo alle donne e agli uomini le cui storie sono diventate delle favole da incubo.

Per comprendere davvero di cosa dobbiamo preoccuparci, bisogna fare un passo indietro, entrare nella testa delle donne e degli uomini italiani, dei ragazzi e delle ragazze, dei bambini e delle bambine.

Un problema culturale

Sono numerosi gli studi che confermano sempre lo stesso risultato: la cultura ci cambia, ma non sempre ci migliora. Pensate che, secondo diverse ricerche, le bambine di cinque anni pensano di essere intelligenti tanto quanto i loro coetanei maschi, ma dopo il primo anno di scuola elementare la loro percezione di se stesse cambia, portandole a pensare di non poter eguagliare i maschi, di valere meno, fino a decidere di evitare di competere con loro. E da quel momento in avanti la situazione non fa che peggiorare, in linea con quanto ci tramandano i più beceri luoghi comuni di matrice patriarcale. Perché? Che cosa è successo nel mentre? È successo che quelle bambine si sono scontrate con una serie di stereotipi che le hanno subdolamente persuase di avere, in effetti, capacità cognitive inferiori.

Ecco perché in questo testo, insieme ai nostri assassini, al banco degli imputati siedono anche loro, i più diffusi e persistenti stereotipi di genere. Perché sono loro i veri nemici delle donne. Perché la supremazia maschile, sotto il profilo culturale e educativo, la respiriamo dal nostro ingresso in questo mondo travagliato. Perché è ancora tanto, troppo, diverso il trattamento che riceveremo a seconda dell’essere nati maschio o femmina. Perché il sessismo è così diffuso e condiviso, da uomini e donne, da sembrare normale. Mentre non lo è affatto. Perché ancora oggi c’è chi invita le donne a non indossare la minigonna se non vogliono attirare su di sé gli sguardi degli uomini, che ben dovrebbero essere in grado di gestire i loro muscoli oculari. Perché in qualche misura, in fondo in fondo, ancora troppo spesso c’è chi pensa che se a una donna, in ­qualsiasi fascia d’età, succede qualcosa di brutto è perché se l’è cercata. E tale abominevole “presupposto” sembra essere particolarmente diffuso e applicato soprattutto quando le donne sono vittime di violenze sessuali. A quanto sembra, l’eredità malevola di Eva non riusciamo a scrollarcela di dosso. Perché alla fine è stata tutta colpa sua, non certo del serpente. Del resto, che cosa ci si poteva mai aspettare da una che è nata da una costola di Adamo? Purtroppo, siamo ancora fermi lì, profondamente inseriti in una sorta di medioevo culturale che non vuole saperne di tramontare. Perché allora si pensava che le donne fossero progettate per obbedire, sopportare, soffrire in silenzio. Ed è ancora così.

Il sessismo inizia da piccoli

- * Questo libro è dedicato a TE !! - Buona lettura by Gruppo_Andromeda * - Basta dare un’occhiata ai negozi di giocattoli, veri e propri templi del maschilismo più becero. La maggior parte dei giocattoli che si regalano ai bambini trasuda stereotipi di genere a dir poco antiquati e decisamente sessisti (nella peggiore accezione) e, di fatto, li bombarda con il seguente, subdolo e pericolosissimo messaggio: i maschi sono intelligenti, le femmine sono utili.

I maschi sono intelligenti, le femmine sono utili.

Se entriamo in un negozio ce ne rendiamo subito conto. Il reparto dedicato ai maschietti pullula di giochi coloratissimi, avventurosi, creativi e molto intriganti. Abbondano pupazzetti di varia grandezza che ritraggono i più amati supereroi con cui il bambino è implicitamente portato a identificarsi, giocattoli che mirano a stimolare le performance di tipo cognitivo, con conseguente aumento dell’autostima.

Nel reparto dedicato alle femminucce, invece, ci imbattiamo in un’orda di pentoline, tazzine, borsette, passeggini, abitini, elettrodomestici vari, tutti realizzati rigorosamente nelle sfumature del rosa (anche sotto il profilo cromatico i giocattoli riservati alle bambine sono decisamente noiosi e banali), tutti destinati ad affollare camerette che, ovviamente, vedono nel rosa e nel lilla tenue i colori degli arredi più gettonati. Qui abbondano giocattoli come “la lavatrice delle meraviglie”, “il fornetto dei sogni”, “la stireria magica”, bambolotti di varie fattezze che si sbrodolano addosso di tutto (o anche peggio…) e che richiedono alla bimba che li riceve in dono di mettere in campo tutta una serie di funzioni accuditive e di matrice domestica piuttosto impegnative (dal cucinare al lavare i panni, dallo stirare al prendersi cura di un bebè… e così via). Insomma, un vero e proprio laboratorio per future piccole badanti (o piccole donne di casa, che dir si voglia). Senza contare che ancora oggi le bambine un po’ più intraprendenti, che hanno l’ardire di chiedere giocattoli “anomali” – e che, soprattutto, a tali beceri stereotipi non hanno alcuna intenzione di inchinarsi –, si sentono dire troppo spesso: «Queste non sono cose da femmine». E sono soprattutto le mamme italiane a contaminare le generazioni successive con tale discutibile retaggio. È bene sgombrare il campo da queste assurde gabbie culturali: non devono esistere cose “da maschi” e cose “da femmine”.

Mamme carissime, a voi rivolgiamo un invito con tutto il cuore: non diventate le peggiori nemiche delle legittime aspirazioni delle vostre figlie a cui oggi – ed era ora – nessuna scelta di vita (professionale e affettiva) è preclusa. Almeno sulla carta. Cominciate dall’inizio, proprio dalla scelta dei giocattoli, a far passare il giusto messaggio, perché, come sostiene da sempre una donna molto combattiva come la politica inglese Jenny Willott, «stabilire con quali giocattoli i bambini devono divertirsi da piccoli definisce i sogni che coltiveranno e il ruolo che giocheranno nella società, una volta divenuti adulti».1 Ce lo dicono da anni gli studi condotti in questo delicato e importantissimo ambito: un’infanzia più ricca di stimoli apre la mente ed è propedeutica al raggiungimento di una piena autonomia da parte dell’adulto di domani. E l’autonomia, unita a una buona autostima, sono i migliori “antidoti naturali” per superare velocemente tutta una serie di “brutte esperienze” che nella vita capita a tutti, prima o poi, di dover fare.

I dati non mentono

Dobbiamo lavorare sul modo in cui le donne considerano se stesse fin da quando sono bambine e dobbiamo cominciare a farlo subito, perché l’educazione alla parità di genere è l’unica arma che abbiamo.

Dobbiamo lavorare sul modo in cui le donne considerano se stesse fin da quando sono bambine e dobbiamo cominciare a farlo subito, perché l’educazione alla parità di genere è l’unica arma che abbiamo.

Ma purtroppo, come dicevamo, la strada per la parità di genere è ancora lunga. Ce lo confermano i dati di una serie di ricerche recenti. Dati che non avremmo mai voluto leggere e commentare. Dati che ci hanno fatto davvero preoccupare, perché ci restituiscono una fotografia della mente degli italiani e delle italiane in cui gli stereotipi di genere sono più forti che mai e, passaggio ancor più sconcertante, a sostenerli e diffonderli sono in primis le donne, nonostante siano proprio loro a pagare da sempre il prezzo più alto di tale scenario culturale. E continueranno a pagarlo.

Ecco come la pensano gli italiani in merito agli stereotipi di genere:

·         è l’uomo che deve mantenere la famiglia;

·         la maternità è l’unica esperienza di autorealizzazione di una donna;

·         il successo è più importante per l’uomo;

·         è giusto controllare la vita di relazione di una donna.

Alla domanda «È soprattutto l’uomo che deve mantenere la famiglia?» tre donne su quattro hanno detto di sì, e alla domanda «È giusto che in casa sia l’uomo a comandare?» solo il 70 per cento circa delle donne ha risposto in maniera categorica di no. Per tre donne su dieci, invece, è del tutto normale e “naturale” che l’ultima parola sulla loro vita ce l’abbia il padre, il fidanzato, il fratello, il marito.

Il 37 per cento degli intervistati, sia uomini che donne, reputa che il matrimonio rappresenti il desiderio più importante di ogni donna; il 36 per cento sostiene che la donna debba restare a casa a prendersi cura dei figli; mentre il 65 per cento dichiara che la donna è capace di sacrificarsi per la famiglia molto più di un uomo: un dato che vede «molto d’accordo» il 40 per cento delle donne intervistate. Il 32 per cento ritiene che la maternità sia la sola esperienza che consente a una donna di realizzarsi completamente, mentre il 17 per cento pensa che l’istruzione universitaria sia molto più importante per un uomo che per una donna. Completa questo quadro dell’orrore il 62 per cento degli intervistati secondo cui è molto importante che una donna sia fisicamente attraente, mentre il 35 per cento ritiene che la realizzazione e il successo sul lavoro siano molto più rilevanti per un uomo. Ricordate cosa abbiamo scritto poche righe fa in merito ai giocattoli sessisti? I maschi sono intelligenti, le femmine sono utili. Eccone una rappresentazione decisamente attuale.

La ricerca si concentra poi su una serie di comportamenti ritenuti discriminatori nei confronti delle donne, cercando di stabilire quanto questi comportamenti siano in realtà ritenuti accettabili sia dagli uomini sia dalle donne. Secondo il 19 per cento degli intervistati è accettabile scherzare e offendere una donna con battute a sfondo sessuale, il 17 per cento ritiene accettabile fare esplicite avance fisiche a una donna e per l’8 per cento è accettabile umiliarla verbalmente. Per il 10 per cento è accettabile costringere una donna a cercare un altro posto di lavoro, impedirle di prendere decisioni in merito alla gestione dell’economia familiare, tenere d’occhio le sue amicizie, rinchiuderla in casa e controllare uscite e telefonate, insultarla, minacciarla e requisirle lo stipendio.

I dati di questa ricerca ci dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che la strada per raggiungere la parità di genere è ancora molto lunga. Ma, soprattutto, ci raccontano cosa c’è nella mente di una larghissima parte di italiani e italiane. Ecco perché siamo davvero preoccupate, sia per le generazioni attuali, sia per quelle future.

E poi ci si mette anche la nostra lingua, come se non bastasse, a rincarare la dose e ad alimentare pericolosissimi stereotipi di matrice sessista. Frasi come «Non fare la femminuccia», «Lascia stare, sono cose da maschi», «Sei isterica, hai il ciclo?» vi suonano familiari? Immaginiamo proprio di sì. E la lista potrebbe essere ben più lunga, perché i modi di dire a sfavore delle donne sono numerosissimi.

Secondo i ricercatori della Carnegie Mellon University, che hanno condotto un report sui modi di dire di ben venticinque lingue diverse, le scelte linguistiche influenzano lo sviluppo delle ambizioni nelle ragazze soprattutto per quanto riguarda la scelta dell’ambito di studi universitari. Noi, in questa classifica delle lingue più popolate di stereotipi, siamo al tredicesimo posto. E questo dato, certamente molto interessante, ci dice che il problema degli stereotipi di genere coinvolge tutte le culture e i paesi del mondo. Quindi siamo in pessima compagnia, perché questo non è un pianeta per donne, parafrasando il titolo di un celebre film di qualche anno fa.

E non va meglio se prendiamo in considerazione ciò che accade nel mondo dei media, pubblicità inclusa. È di qualche tempo fa l’ultimo di una lunga serie di esempi di pessima TV che svolge la funzione di cassa di risonanza, e quindi di “normalizzazione”, di messaggi pericolosissimi. Il riferimento è a un programma rivolto a un pubblico trasversale (quindi anche di giovanissimi) di una nota TV nazionale, in cui un soggetto ha raccontato, in tutta tranquillità davanti alle onnipresenti telecamere, di avere «fortunatamente, o sfortunatamente, il controllo sulla mente» della propria compagna, di averle imposto di cancellarsi dai social e dalla palestra e di non frequentare più le sue amiche, di riuscire a tirare fuori quello che vuole dalla sua bocca e di «annullarla» se solo si permette di mettere in discussione ciò che lui decide, perché «non la ritiene degna». Ed è convinto di avere pieno titolo di trattarla come una sua proprietà e di svalutarla (ripetiamo, la parola che ha usato è annullarla) perché i due si sono conosciuti mentre entrambi erano legati ad altre persone, quindi lei (e solo lei, è ovvio) potrebbe tradirlo nuovamente. Il controllo spietato è dunque più che normale e legittimo. Senza contare, poi, che tale sproloquio sessista (che trasuda narcisismo maligno in maniera a dir poco emblematica) viene riferito nel bel mezzo di un programma finalizzato proprio a testare la tenuta e la fedeltà di una coppia, con tanto di tentatori e tentatrici al seguito.

Be’, non dovremmo sorprenderci, considerati i dati che abbiamo appena letto e commentato. Possesso spacciato per amore, manipolazione psicologica spacciata per interesse, isolamento sociale e svalutazione della vittima spacciate per normalità. Sono proprio questi i temi che affronteremo, perché tale scenario è ritenuto accettabile per troppe persone. Donne comprese, di qualunque età, ceto sociale, appartenenza geografica, livello economico e culturale.

Le donne, le più grandi nemiche di se stesse

Ciò che suscita in particolare la nostra amarezza – ma che non ci sorprende affatto, considerato quanto affermato sin qui – è che sono proprio le donne a essere profondamente sessiste e maschiliste. E ce lo conferma un’altra importante ricerca, questa volta condotta ­dall’ISTAT nel 2019, che si è occupata di indagare gli stereotipi sul ruolo sociale della donna e le ragioni che portano alla violenza di genere.

Sono proprio le donne a essere profondamente sessiste e maschiliste.

Salta agli occhi un dato davvero emblematico: in molte regioni sono le donne le prime a essere concordi con certi stereotipi che le confinano a un ruolo sociale subalterno rispetto agli uomini. E, udite udite, non sono quelle che risiedono al Sud le più “contaminate” da questo genere di stereotipi. Al Nord le donne se la passano molto peggio e sono decisamente meno consapevoli di quanto gli stereotipi di genere influenzino le loro vite. All’affermazione «Le donne possono provocare la violenza con il loro modo di vestire», la percentuale delle intervistate (altissima) che si dice molto d’accordo supera di gran lunga quella degli uomini. Insomma, è sempre colpa delle donne, e a pensarla così sono proprio le donne.

Ma non è finita qui. In dieci regioni su venti sono molte più donne che uomini a ritenere che, dovendo scegliere fra un uomo e una donna per un unico posto di lavoro, sia meglio scegliere l’uomo. Evidentemente, anche per le donne le donne sono inaffidabili. Così come sono in maggioranza le donne a pensare che «per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro». Del resto, sempre per la maggior parte delle donne, è meglio che sia un uomo a prendere le decisioni, a casa come in ufficio.

E la situazione non va meglio quando parliamo di consapevolezza di che cosa sia violenza. In undici regioni su venti sono soprattutto le donne a ritenere che, se un uomo obbliga la propria moglie/compagna ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà, non si tratta di violenza. Eh già, del resto sono proprio le donne (una larghissima percentuale) a ritenere che «le donne serie non vengono violentate» e che «se una donna subisce violenza sessuale quando è ubriaca o è sotto l’effetto di droghe, è almeno in parte responsabile».

Ma che cosa si intende per stereotipo di genere?

Ne sentiamo tanto parlare, ma molti non hanno un’idea precisa di ciò che si intende per stereotipo e, soprattutto, di come si formano e si tramandano gli stereotipi, e fino a che punto sono in grado di influenzare i nostri pensieri, i nostri valori e i nostri comportamenti. Il termine “stereotipo” viene dal greco stereós (“solido”) e týpos (“tipo”) e trae il suo significato dalla stereotipia, una tecnica di stampa attraverso cui veniva praticata un’incisione su tavoletta alla fine del Settecento.

Gli stereotipi sono, in estrema sintesi, delle rappresentazioni semplificate della realtà. In pratica, sono un insieme di credenze che vengono associate, senza distinzioni né verifiche, a un intero gruppo di persone (donne, persone di colore, appartenenti a minoranze, appartenenti a determinati gruppi religiosi o razziali eccetera). Sono spesso riferiti alla razza, ma non solo: anche a genere, religione, etnia. È dall’erronea e arbitraria generalizzazione causata dagli stereotipi e dalle categorizzazioni di qualunque tipo che scaturiscono poi i pregiudizi, cioè la tendenza a giudicare una persona in base agli stereotipi vigenti sulla categoria alla quale appartiene o in cui viene, a torto o a ragione, collocata.

Gli stereotipi attribuiscono a priori (e a prescindere) le stesse caratteristiche, in maniera generalizzata, a tutti quelli che appartengono a una determinata categoria (per esempio, gli italiani sono mafiosi, i tedeschi sono razzisti, le donne sono disinibite, i musulmani sono terroristi e così via). In particolare, gli stereotipi di genere attribuiscono caratteristiche sulla base del genere di appartenenza. Questo processo ha il preciso obiettivo di ricondurre le persone ad alcuni quadri categoriali piuttosto rigidi, nel tentativo di dare un senso a una determinata situazione sociale, o almeno di semplificarla. Gli stereotipi possono derivare da costumi o usanze tipici di una nazione o di un popolo, da idee preconcette, dalla disinformazione, da un diverso background geografico. Introducono la semplicità e l’ordine là dove sono presenti una complessità e una varietà pressoché casuali. Ci aiutano a far fronte alle situazioni introducendo una semplificazione della realtà sociale. Permettono di preservare le differenziazioni tra il proprio gruppo e gruppi esterni.

Esistono stereotipi:

·         negativi (es. i neri sono pigri, gli scozzesi sono avari, le donne sono pettegole);

·         positivi (es. gli austriaci amano la musica, i tedeschi sono industriosi);

·         neutri (es. i giapponesi scattano molte foto, gli olandesi sono lentigginosi, gli italiani gesticolano).

Solitamente gli stereotipi si formano durante la socializzazione, cioè frequentando la comunità in cui si vive se ne assorbono le norme sociali, la cultura, i valori. Naturalmente nella loro formazione e nel loro apprendimento un ruolo cruciale viene svolto dai media (cinema, teatro, TV, letteratura, barzellette…).

Gli stereotipi possono avere numerosi effetti e portare alla disuguaglianza e alla discriminazione, perché possono influenzare le aspettative sugli altri senza preoccuparsi di conoscerli davvero; possono limitare le scelte e le opportunità nella vita delle persone, influendo sul modo in cui si viene percepiti dall’esterno e portando all’esclusione di determinate categorie dall’accesso all’istruzione, ai servizi o al lavoro.

Dallo stereotipo al pregiudizio, del resto, il passo è molto breve. Secondo lo psicologo statunitense Gordon ­Allport, che nel 1954 ha pubblicato l’opera La natura del pregiudizio, per stereotipo si intende un «giudizio anticipato rispetto alla valutazione dei fatti. Atteggiamento sfavorevole o ostile che presenta caratteri di superficialità, indebita generalizzazione e rigidità, implicando un rifiuto di mettere in dubbio la fondatezza dell’atteggiamento stesso e la persistenza a verificarne la consistenza e la coerenza».

Gli stereotipi di genere

Gli stereotipi di genere condizionano scelte e comportamenti in modo subdolo, spesso senza che chi è condizionato ne sia consapevole. Portano a sviluppare una percezione e interpretazione rigida e distorta della realtà, basata su ciò che si intende per femminile e maschile e su ciò che ci si aspetta dalle donne e dagli uomini.

È importante sottolineare che l’identità di genere si forma nella primissima infanzia (già a due anni siamo consapevoli delle aspettative sul ruolo sociale che dovremmo ricoprire in quanto maschi o femmine) e viene rafforzata da famiglia (in primis), scuola, TV, stampa.

Il ruolo della famiglia è fondamentale perché stereotipi e pregiudizi si apprendono, in primo luogo, proprio lì. I bambini imitano i genitori, i loro modelli di comportamento, le frasi che dicono, quindi anche eventuali azioni di discriminazione. La nostra specie è stata progettata per apprendere dai modelli di comportamento e non dalle chiacchiere. I genitori hanno un ruolo fondamentale nella battaglia per l’uguaglianza di genere. Padri e madri devono essere consapevoli dell’enorme responsabilità che si assumono quando decidono di mettere al mondo un altro essere umano, perché saranno proprio loro i principali punti di riferimento per la crescita di questa creatura.

Del resto, si sa, gli alberi li riconosci dai frutti.

I genitori hanno un ruolo fondamentale nella battaglia per l’uguaglianza di genere.

Come agiscono gli stereotipi di genere

Gli stereotipi di genere sono in grado di condizionare ogni aspetto della vita delle persone, dalle scelte di studio e di carriera a quelle comportamentali e relazionali.

Uno stereotipo che sembra resistere ormai da secoli e secoli è proprio quello che definisce in maniera molto precisa come dovrebbe essere una donna perché si possa considerare socialmente accettabile: deve realizzarsi solo nella sfera privata, deve considerare la maternità come la sua principale ragione di vita, non deve essere ambiziosa, deve stare al fianco del suo uomo, ma restando rigorosamente un passo indietro (subalternità), deve evitare di indurre in tentazione abbigliandosi in maniera succinta, non deve bere, non deve uscire con le amiche, non deve mettere in discussione ciò che decidono gli uomini e deve sempre mettere gli altri (figli maschi e marito in particolare) al primo posto.

Del resto, ricorderete l’ormai celebre gaffe del conduttore del festival di Sanremo 2020, che in conferenza stampa, candidamente, ammise che una delle vallette (perché di questo parliamo) era stata scelta perché fidanzata di un noto campione di motociclismo, rispetto al quale era stata capace di rimanere «un passo indietro». Chissà se avrebbe confermato la presenza della “fidanzata di” se, malauguratamente, la storia d’amore tra i due si fosse interrotta poco prima dell’inizio del festival…

E quando una donna osa violare lo stereotipo femminile sono guai, perché viene considerata «merce avariata», «deviante», «sbagliata». E, ovviamente, deve essere «punita», «isolata», «boicottata», «annientata» e, sì, perfino «uccisa».

È vero, gli stereotipi sono molto resistenti. Ecco perché le donne sono costrette a esserlo molto di più, se vogliono vederli tramontare per sempre.

Ma quali sono gli stereotipi che si dimostrano davvero i più duri a morire?

1.      Il posto delle donne è dentro casa.

2.      Le donne sono negate per gli studi scientifici.

3.      Le donne non sopportano la pressione, non sono tagliate per la competizione.

4.      Le donne sono fragili e hanno bisogno di un uomo che si prenda cura di loro.

5.      Le donne devono concentrarsi sul fare figli e non devono andare a lavorare.

6.      Le donne non devono votare perché non capiscono niente di politica.

7.      Il mondo appartiene agli uomini e solo loro devono prendere decisioni sulla vita degli altri.

8.      Le donne sono fatte per sposarsi, non per studiare e per lavorare.

9.      È l’uomo che comanda, la donna deve obbedire (e non può rifiutarsi a un uomo).

10.  Le cose vanno così e devono continuare ad andare così.

È vero, gli stereotipi sono molto resistenti. Ecco perché le donne sono costrette a esserlo molto di più, se vogliono vederli tramontare per sempre.

Nelle favole da incubo che racconteremo nelle prossime pagine, questi stereotipi li affronteremo e li confuteremo a viso aperto, senza sconti, senza alibi. Senza pietà. seguici su eurekaddl.one

Di “disamore” si può morire

L’amore che si nutre di questi beceri stereotipi e trasforma la relazione in una gabbia asfittica di controllo, immaturità e sete di potere non può essere chiamato amore: è “disamore”. E può essere mortale.

L’amore che si nutre di questi beceri stereotipi e trasforma la relazione in una gabbia asfittica di controllo, immaturità e sete di potere non può essere chiamato amore: è disamore.

Sì, contrariamente a quanto ci hanno insegnato le nostre mamme e nonne, di “amore” a volte si può morire. Certo bisogna incappare in una forma d’amore distruttiva, maligna, in grado di trasfigurare la persona che amiamo al punto da trasformarla, giorno dopo giorno, nel nostro peggior nemico. E spesso, troppo spesso, sono proprio le donne a pagare il prezzo più alto, talvolta con la vita. Accade quando sono vittime di un sentimento di possesso che non perdona loro l’aver osato travalicarne gli angusti confini in cerca di una maggiore autonomia. Molte vengono uccise per la semplice ragione che non sono più disposte a rendersi complici di un partner violento pur di preservare la coppia.

Principalmente per questa netta prevalenza di vittime al femminile, l’omicidio commesso ai danni del partner (o ex partner) viene spesso considerato un omicidio di genere.

Alla base, c’è spesso la volontà dell’omicida di imporre il proprio dominio sulla coppia o sulla famiglia tutta, che diventa così una sorta di “ultima spiaggia” attraverso la quale può illudersi di avere ancora il controllo della propria esistenza, spesso contrassegnata da un’interminabile sequenza di fallimenti all’esterno delle mura domestiche.

Nella stragrande maggioranza dei casi, comunque, abbiamo a che fare con moventi di matrice “affettiva” (o meglio: pseudoaffettiva), come la gelosia e la possessività, progressivamente sempre più morbosa e pervasiva, al punto che l’assassino arriva a riconoscere ovunque segni tangibili del tradimento da parte del partner, o della sua volontà di troncare la relazione, fino a maturare la volontà di riscuotere il suo letale tributo di morte.

Ma il possesso è un sentimento dalla base piuttosto precaria, perché la persona che si ritiene (illusoriamente) di possedere, in realtà conserva sempre il potere di scegliere. Può infatti smettere di prestarsi al solito, grottesco copione. Può andarsene. O, scelta di certo più sana, può decidere di appartenere solo a se stessa, cominciando a prendere decisioni in maniera autonoma. Perché non è più innamorata del suo carnefice, o più semplicemente perché è cresciuta.

E allora quella persona viene uccisa, per colpa di un “amore” che l’altro ha irrimediabilmente sciupato pretendendo un legame esclusivo ed escludente. La scelta di uccidere, in questi casi, sembra essere l’unico modo, per l’assassino, di mantenere l’assoluto controllo sulla partner. E a rendere possibile tutto ciò sono dei complici assai affidabili, ossia tutti gli stereotipi che tratteremo in questo libro.

È per questo che abbiamo deciso di scriverne: per smascherarli nella loro banalità, nella loro quotidianità, nella loro estrema pericolosità. Perché la violenza sulle donne è un fenomeno strutturale da oltre trent’anni. Ma, nonostante ciò, il nostro paese non sembra volerne riconoscere la gravità e, di fatto, sembra continuare a considerare la violenza e anche i “femminicidi” come una sorta di inevitabile conseguenza di un modo tossico e immaturo di “amare” (sarebbe più corretto utilizzare il termine “possedere”) di certi uomini. E il messaggio che ancora troppo spesso si legge tra le righe è che se le donne questi uomini li hanno scelti, in fondo se la sono cercata, la terribile fine che hanno fatto. Ecco perché abbiamo finito quasi con l’abituarci a queste storie tremende. Ed è in primo luogo un problema di matrice culturale.

È per questo che abbiamo deciso di raccontare queste storie: perché riteniamo doveroso e indispensabile incoraggiare in ogni modo possibile le donne a prendere coscienza di tutto questo, e quindi a chiedere aiuto, a raccontare ciò che accade loro, a denunciare e ad allontanarsi dal partner violento fin dal primo atto di prevaricazione, dal primo schiaffo, dalla prima spinta, dalla prima richiesta che trasuda i beceri stereotipi per cui una donna, sempre e comunque, è inferiore a un uomo. In particolare al proprio uomo. - * Questo libro è dedicato a TE !! - Buona lettura by Gruppo_Andromeda * -

Lungi dal voler giudicare nessuno, ci auguriamo che, finalmente, la violenza di genere non venga più trattata e considerata come un problema delle donne, solo delle donne: è un problema di tutti, e tutti insieme, uomini e donne, dobbiamo affrontarlo, per cambiare davvero dei ruoli di genere che continuano a ingabbiarci molto più di quanto siamo disposti ad ammettere. Perché per i nostri lettori, alla fine dell’opera, sarà chiaro che la violenza contro le donne affonda stabilmente le sue radici più profonde nella cultura di genere. Ed è quella che dobbiamo modificare, il prima possibile.

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