29 gennaio 2025

LIBRI: L'UNIVERSO SPECULATIVO DI KATE WILHELM, 1974/1979

Kate Wilhelm (1928-2018)
 

Kate Wilhelm ha fatto parte di quel ristretto gruppo di autrici ( Le Guin, Mclntyre, Russ, Vinge, Tiptree, ecc.) che tra i sessanta e i settanta dello scorso secolo seppero approcciare la fantascienza con spirito umanistico e anticipativo, offrendoci opere di un livello straordinario, sia come sostanza, sia come stile.


I due libri qui presenti rappresentano, probabilmente, i vertici della poetica di questa scrittrice americana (sebbene in Italia la sua produzione sia stata tradotta poco e non più riproposta). Il primo, Gli eredi della Terra, premio Hugo, tratta un tema che, oggi, pare diventato ricorrente nelle turbinose proposte di una science fiction estremamente pervasiva e diffusa: il tema della clonazione. Forse alcuni di voi avranno letto il libro di Kazuo Ishiguro  Non lasciarmi (Never Let Me Go, 2005), dal quale è stato tratto l'ottimo film omonimo, dove il premio nobel ha scritto  una novella struggente e carica di pathos su questo argomento, dimostrando come, con le qualità migliori e "impadronendosi" di stilemi solitamente lontani dal mainstream, si possa fare grande letteratura. Kate Wilhelm, già nel 1974 e nel ristretto mondo fantascientifico, era in grado di proporre testi che si avvicinavano fortemente alla migliore letteratura. La grandezza di scrittori di questo livello risiede proprio nella capacità di servirsi di un argomento scientifico per andare ben oltre e radicalmente alla prospettiva descrittiva e ludica che molte volte viene a prefigurarsi in una fantascienza troppo superficiale e sbrigativa. Anche il secondo testo, Il tempo del ginepro,  si serve di una categoria fantascientifica come il dopo catastrofe, usato per "rivelare, soprattutto, i conflitti e le contraddizioni della natura umana, a livello individuale e collettivo"e proporre una fantascienza matura e ricca di risvolti letterari.

A seguire le presentazioni dei due testi tratte dalle vecchie, originali edizioni Nord degli anni '70, a cura di Piergiorgio Nicolazzini.



GLI EREDI DELLA TERRA (Where Late The Sweet Birds Sang, 1974)

PRESENTAZIONE

Nel corso di una carriera ormai trentennale (l'esordio risale al 1956 con il racconto « The Pint-Sized Genie»), Kate Wilhelm ha sviluppato con straordinaria coerenza un proprio universo speculativo, assegnando un ruolo centrale all'indagine sulla nostra realtà di esseri umani. Questa consapevolezza delle potenzialità della SF di interrogare noi stessi, di proiettare timori e speranze attraverso prospettive che si aprono su altri tempi ed altri luoghi ma solo per tornare al qui-e-ora con una visione più chiara, si unisce ad un approccio che fin dalle prime opere è di tipo «letterario». Infatti, come si legge in un suo articolo, la Wilhelm fu conquistata dalla SF perché in essa «venivano espressi in forma narrativa gli stessi argomenti che erano oggetto delle mie riflessioni, e si trattava di argomenti relativi alla filosofia, all'origine della vita, all'origine dei sistemi planetari, alla vita dopo la morte, all'esplorazione della mente, del cervello, e così via. Tutti questi temi si potevano ritrovare nella SF ed era questo che più mi attraeva (…) Volevo saperne di più su di noi, sulle nostre origini, sulle relazioni con gli altri». Una particolare sensibilità le ha quindi permesso di adeguare gli strumenti e le risorse della SF ai fini di una personale indagine su questi temi. Il fascino della sua narrativa non si esaurisce nell'invenzione brillante o sensazionale, che invece è sempre lo spunto per stabilire un confronto, cogliere una rivelazione inaspettata o una semplice intuizione sulla nostra identità psichica o culturale. Da questa prospettiva si è sviluppato un arco tematico che troviamo già delineato nei racconti della sua prima antologia, The Mile-Long Spaceship (1963), e che poi è rimasto sostanzialmente immutato fino alla sintesi operata con ì suoi romanzi più significativi: Gli Eredi della Terra (Where Late the Sweet Birds Sang, 1976) e Il tempo del ginepro (Juniper Time, 1979).

L'ostinata ricerca di una definizione di «umanità» si attua con un procedimento di contrasto, puntando l'attenzione su ciò che umano non è, e dunque sull'alieno, che tuttavia non è solo la creatura che irrompe dall'esterno, da mondi lontani, ma soprattutto l'alieno creato dall'uomo con procedimenti meccanici o biologici, e quindi sua estensione, sviluppo imprevisto o «doppio» organico: le creature artificiali, i mutanti, i cloni. Inoltre, allorché la Wilhelm scopre nell'individualismo e in una natura incontrollabile e imprevedibile alcune delle prerogative umane, ecco che il contrasto si pone con organizzazioni sociali conformiste, razionali e «perfette». La presenza del tema distopico si lega inoltre a strategie «disumane» di manipolazione della realtà e del nostro futuro, inganni e ambiguità che impediscono scelte consapevoli e inequivocabili. Le storie e gli scenari di «catastrofe» (sia essa naturale o provocata dall'uomo) appaiono in questo senso perfettamente adeguati agli intenti speculativi della Wilhelm, non solo perché rappresentano l'esito di una progressiva degenerazione ambientale e morale, ma perché consentono di focalizzare le reazioni umane di fronte al pericolo, all'ignoto, alle insostenibili pressioni psicologiche, dalle quali non può che scaturire una ricerca di salvezza, che è al contempo un percorso interiore di auto-rivelazione. La sopravvivenza fisica, come emerge chiaramente ne Il tempo del ginepro, non può essere disgiunta dalla sopravvivenza psichica.

Ora ai nostri lettori è offerta l'opportunità di riscoprire un altro capolavoro della Wilhelm, Gli eredi della Terra, la cui fama è certo accresciuta dal fatto di aver vinto il Premio Hugo (in un'edizione, tra l'altro, dove i concorrenti erano opere del calibro di Uomo più di Frederik Pohl, Ponte mentale di Joe Haldeman, I figli di Dune di Frank Herbert e Shadrach nella fornace di Robert Silverberg) ma che è diventato un «classico» per meriti intrinseci: il mirabile incrocio di temi, profondamente radicati nell'immaginario SF, l'intensità dei personaggi, lo stile che alterna momenti poeticamente trasognati ad altri di lucida essenzialità, e soprattutto un discorso narrativo nel quale filtrano squarci di un serrato dibattito interiore, trasfigurati dal fitto intreccio di materiali simbolici.

Non c'è dubbio che si tratti di uno dei romanzi più affascinanti sul tema della clonazione (ovvero la riproduzione di un gruppo di organismi da un unico capostipite per via asessuata), la cui efficacia non è dovuta però alle sue ramificazioni scientifico-estrapolative, ma nel porsi come elemento di contrasto, e quindi di riflessione sulle possibili implicazioni sociali e psicologiche. Il romanzo si costruisce infatti su di una catena di opposizioni tra vari personaggi e identità sociali, che rispecchiano ambiguità più profonde. Mentre la civiltà è in progressiva dissoluzione, la famiglia Sumner intraprende un coraggioso programma di clonazione, destinato ad assicurare la sopravvivenza della propria comunità e dell'intera specie umana. Ma i cloni sfuggono al controllo, edificando una società collettivistica che lentamente soppianta quella dei loro creatori-capostipiti. Il dualismo più evidente è quello tra umano e alieno, poiché i cloni subito appaiono in tutta la loro inquietante diversità. È difficile pensare ad un'immagine che meglio possa esprimere una tale carica di drammatica e dolorosa ambiguità: siamo in presenza di creature generate dall'uomo, il cui aspetto esteriore è fin troppo noto, poiché si tratta di autentici doppi, immagini speculari e moltiplicate dei loro artefici, eppure la loro natura è irrimediabilmente estranea: «familiari e alieni, conosciuti e inconoscibili». La loro indole è fredda e razionale, ed appaiono incapaci di vivere come individui; sono fisicamente perfetti, ma privi di una dimensione interiore o di una sensibilità che non obbedisca agli impulsi di una mente collettiva. Come afferma David, protagonista della prima parte del romanzo, «c'è qualcosa che manca in tutti loro, una zona morta» e il loro volto è una «maschera indistinta», oppure, come ribadisce Molly nel secondo episodio, «i loro occhi (…) guardano soltanto verso l'esterno, mentre ì tuoi, e quelli degli altri uomini, in queste immagini, possono guardare sia verso l'esterno sia verso l'interno». Tuttavia, questa netta contrapposizione sì presta ad ironiche ambiguità. Infatti, se la comunità dei cloni e la loro incapacità di vivere isolati è percepita come negativa, d'altro canto è proprio una salda identità di gruppo che ha permesso alla famiglia Sumner di salvarsi e di programmare il futuro: una scelta individuale avrebbe forse condotto alla morte. Emerge quindi un'opposizione più profonda tra individuo e collettività, allorché i cloni definiscono il loro progetto utopico: «la prima vera società senza classi sociali», espressione di una eguaglianza prodotta scientificamente. La soppressione dell'ego viene sancita per legge: «Non esiste l'individuo, esiste soltanto la comunità. Quello che è giusto per la comunità, lo è fino alla morte per l'individuo. Non vi è l'uno, ma solo il tutto». Il conflitto con i capostipiti umani è inevitabile ed il passo verso l'incubo totalitario assai breve. Questa dialettica è resa pregnante dalla lucida struttura che la Wilhelm offre all'intera vicenda, organizzata in tre episodi che a distanza di tempo e con esiti diversi ripropongono però gli stessi dilemmi. Nella prima parte lo scontro è aperto, e David, uno degli artefici del programma di clonazione, viene costretto all'esilio. Nel secondo episodio, invece, il conflitto è interiorizzato dal personaggio di Molly. Nata come clone, e quindi «aliena», scopre tuttavia la propria individualità «umana» nel viaggio alla volta di Washington sul fiume Shenandoah, esperienza reale e itinerario simbolico di individuazione. Ella è inoltre guidata dalla forza intuitiva dell'arte, ma la scoperta della dimensione interiore e dell'unità della coscienza è pagata con l'isolamento e con l'esilio dalla comunità. Nella parte conclusiva, toccherà al giovane Mark rovesciare i termini del rapporto, rifondando una comunità libera e non conformista, lasciando che la società dei cloni scivoli verso un'inevitabile regressione. Privi della facoltà di «astrarre, fantasticare, generalizzare», insomma di adattarsi, incapaci di abbandonare i confini rassicuranti della vallata e di scoprire l'unità dell'essere, costoro rimangono solo parzialmente umani, e quindi la loro utopia collettivistica fatalmente crolla.

Le affascinanti simmetrie istituite dagli eventi e dalle vicende individuali sono rafforzate, come si accennava, dalla presenza di un ricco tessuto simbolico. Decisivo è il ruolo dell'ambiente naturale (tra cui spicca l'immagine della foresta), trasparente simbologia dell'inconscio, e nel quale infatti si compie il destino reale e psichico dei protagonisti. L'abbraccio protettivo e minaccioso, familiare ed arcano del paesaggio si ritrova inoltre nella presenza dominante dello Shenandoah, il fiume che guida i personaggi alla conoscenza di un passato di distruzione ed alla scoperta della loro identità. E altri ancora sono gli elementi che si possono cogliere in questo romanzo che affascina e coinvolge a più livelli perché, come tutta la narrativa della Wilhelm, sa parlarci non solo attraverso la logica razionale degli eventi, ma con un linguaggio più profondo in cui affiorano all'improvviso immagini e significati riposti che interrogano direttamente la nostra coscienza.

Piergiorgio Nicolazzini





IL TEMPO DEL GINEPRO (Juniper time, 1979)

PRESENTAZIONE


Kate Wilhelm, nata nel 1928 a Toledo nell'Ohio e sposata dal 1963 con il noto scrittore e critico Damon Knight, ha iniziato la sua carriera con il racconto «The Pint-Sized Genie», apparso su Fantastic nell'ottobre 1956, seguito a breve distanza da «The Mile-Long Spaceship» (1957), che ha poi dato il titolo alla sua prima antologia di racconti,

A partire dalla metà degli anni '60, vengono pubblicati i primi romanzi, tra cui The Clone (1965) e Year of the Cloud (1970), scritti entrambi in collaborazione con Ted Thomas, che propongono interessanti variazioni sul tema della catastrofe ambientale (un aspetto decisivo, direi, della SF della Wilhelm), ma con qualche predilezione per toni sensazionalistici. Altri romanzi di questo periodo mostrano però una tendenza più spiccata per l'analisi psicologica ed il rigore speculativo: The Nevermore Affair (1966), sulle drammatiche vicende di una biologa che ha contribuito alla produzione di una droga che assicura l'immortalità. The Killer Thing (1967), con la lotta contro un robot creato per scopi militari che minaccia di distruggere ogni forma di vita, e Let the Fire Fall (1969), dove l'arrivo di un 'astronave aliena si lega alla nascita di una nuova religione. In tutte queste opere si trovano già temi e atteggiamenti che rivelano la natura della SF di Kate Wilhelm. Lo sfondo prevalente è un vicino futuro che sfuma molto spesso nel presente, nel quale si ripropone un conflitto con eventi di natura apocalittica: una scoperta scientifica dalle conseguenze incontrollabili, oppure il progredire di una catastrofe naturale a provocata dall'uomo.

Ma gli scenari e le invenzioni fantascientifiche della Wilhelm, attraverso la forza dei suoi personaggi, rivelano soprattutto i conflitti e le contraddizioni della natura umana, a livello individuale e collettivo. Spinte aggressive e sogni di potere si contrappongono agli sforzi di sopravvivenza fisica e spirituale, la manipolazione e l'inaridimento delle relazioni sociali alla ricerca di una consapevolezza e di una verità interiore, la vocazione distruttiva alla fiducia in un futuro possibile. La sua narrativa è quindi una sfida all'accettazione passiva della nostra «realtà» di esseri umani, che viene mostrata nei suoi valori precari, artificiosi, e frutto di condizionamenti inconsapevoli.

Nel suo intervento alla Worldcon del 1980, poi pubblicato con il titolo di «The Uncertain Edge of Reality», si legge tra l'altro: «Questo è l'argomento della mia narrativa: mi chiedo, cioè, che cosa intendiamo veramente quando parliamo di realtà, e ci troviamo davvero intrappolati in essa. Ecco cosa intendo quando parlo di narrativa sulla realtà, di solito chiamata anche fantascienza. La fantascienza, naturalmente, è Guerre Stellari, ma può essere anche qualcos'altro: può essere visionaria, non nel senso inteso dai mistici che inseguono qualche irraggiungibile utopia, ma visionaria nel senso più terreno e quotidiano. La fantascienza guarda con onestà alla nostra cultura, e chiede perché. Siamo qualcosa di più di semplici animali in grado di usare strumenti sofisticati nella ricerca di cibo, sicurezza e accoppiamento. Siamo qualcosa di nuovo sulla Terra perché, oltre a tutto questo, siamo fatti anche di sogni, ideali, intuizioni. Possiamo cambiare la realtà con idee astratte e simboli: il linguaggio. Talvolta, il modo migliore per osservare un oggetto è quello di toglierlo dalla sua collocazione naturale, e di studiarlo a parte. Ed è questo che fa la fantascienza; spesso trasportiamo il qui-e-ora in un altro luogo, in un altro tempo. Altre volte restiamo qui e cambiamo l'epoca e lo sfondo per avere una visione più chiara e precisa.»

Verso la fine degli anni '60, inizia per la Wilhelm una nuova fase, più consapevole e matura, segnalata da uno dei suoi racconti migliori, «The Planners» (1968), vincitore di un Premio Nebula, che la porterà in seguito a scrivere i suoi romanzi più significativi: The Clewiston Test (1976), Where Late the Sweet Birds Sang (1976) e, infine, Il tempo del ginepro (Juniper Time, 1979). Queste opere, insieme alla contemporanea produzione breve, le hanno permesso di affermarsi come una delle autrici più importanti della SF moderna, proprio in coincidenza di quel grande fenomeno della scrittura femminile (Le Guin, Mclntyre, Russ, Vinge, Tiptree, ecc.) che è stato uno degli eventi decisivi della SF degli anni '70. Forse l'austero «realismo» delle sue ambientazioni, non prive tuttavia delle seduzioni di alcune tra le immagini più classiche della SF, ha portato la Wilhelm ad essere sottovalutata (almeno in Italia), ma è certo che proprio questa sua scelta espressiva rivela la sua grande originalità, insieme ad una forza di scrittura che poche autrici (e tra esse la Le Guin) possono vantare. Ed è altrettanto certo che i suoi personaggi, soprattutto femminili, sono tra i più complessi, credibili e affascinanti offerti dall'intera SF.

Gli eredi della Terra (Where Late the Sweet Birds Song), vincitore del Premio Hugo, è senz'altro il suo romanzo più celebre: un ritratto del destino futuro dell'umanità nel quale s'innesta una delle più sorprendenti e prof onde esplorazioni sul tema della clonazione. Il tempo del ginepro non avrà forse un 'idea centrale altrettanto memorabile, ma ripropone intatte le qualità della Wilhelm ed anzi, rispetto alle opere precedenti, offre uno sviluppo romanzesco molto più equilibrato, fluido e coinvolgente. Ansie speculative e profonde riflessioni sono amalgamate in una prosa che non è mai astratta o moraleggiante, ma suscita nel lettore una viva partecipazione, sia per la forza delle idee e le tensioni interiori dei protagonisti che per la ricca suspense dell'intreccio. Inoltre, il romanzo moltiplica gli spunti d'interesse: la devastazione ambientale di cui sono vittima gli Stati Uniti e la conseguente degenerazione del quadro sociale, il sogno dell'esplorazione spaziale, il mistero attorno al messaggio alieno, il ritratto di una rinata comunità indiana.

Jean Brighton è la figura attraverso la quale nel romanzo viene illustrato l'itinerario verso la sopravvivenza, non solo materiale, ma verso quel «luogo autentico» che tutti i personaggi della Wilhelm prima o poi finiscono per cercare, dove è possibile ritrovare e conoscere se stessi, sfuggire alle insostenibili pressioni e violenze del disastro. Scandito dalla perdita di ogni legame con il mondo (lavoro, carriera, casa, affetti), il viaggio di Jean verso le zone desertiche del paese è una fuga nel passato, verso l'infanzia ma anche alle radici di un'antica saggezza. E in quel «luogo autentico» dello spirito, Jean cerca una risposta alle proprie contraddizioni, che sono anche quelle di un'intera civiltà, e una consapevolezza per affrontare il presente, proprio come la pianta del ginepro, che non si piega alle più terribili sfide dell'ambiente. L'esperienza di Jean è tuttavia uno solo dei punti di forza del romanzo, che fonde sapientemente personaggi e situazioni in un disegno assai suggestivo. C'è infatti un'altra «voce» narrativa, quella di Arthur Cluny, le cui vicende procedono parallele a quelle di Jean, ma il cui destino è inseparabile da quello della ragazza, e inoltre il legame dei due giovani con i rispettivi genitori, protagonisti del sogno spaziale che rischia di svanire per sempre.

Ed è nelle scelte di questi pochi personaggi che si gioca la speranza di sopravvivenza. Ma è soprattutto Jean che, negli imprevisti e concitati avvenimenti in cui si troverà coinvolta, dovrà farsi carico delle responsabilità verso un futuro quanto mai incerto per l'umanità. E nella scelta di Jean riemerge l'antico dono di suo padre, e cioè la forza segreta del linguaggio, delle parole: «Tu poi fare magie con le parole (...) puoi cambiare il mondo». Ed è quella stessa «magia delle parole» che anche i lettori, credo, ritroveranno in questo romanzo di Kate Wilhelm.

Piergiorgio Nicolazzini

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