Restano sparsiDisordinatamenteI vuoti a perdere mentaliAbbandonati dalla genteDalla genteAbbandonati dalla gente (Feste di piazza, 1975 Edoardo Bennato)
E' interessante notare come anche quest'anno il Festival di Sanremo trovi un coinvolgimento ed un seguito che, puntata dopo puntata, pare essere sempre più inossidabile e inarrestabile. L'audience, per una settimana intera del mese di febbraio, è sempre più milionaria in termini di ascolti ed emblematica del vero costume italiano.
Dunque, rimane del tutto evidente come la kermesse canora abbia debordato, negli anni, da semplice gara di canzoni a qualcosa di molto più profondo, capace di mostrare non solo suoni o parole artistiche quanto rappresentare, nel suo svolgimento e nelle presenze non solo prettamente musicali, quell'italianità di fondo, che si esprime, anche nella sala dell'Ariston, in una sorta di unità temporanea tra un'elite benestante, sociologicamente dominante, posta in platea secondo canoni di fila ben precisi e una più rumorosa platea nazional-popolare che occupa, invece i piani alti della galleria. Tutti uniti anche quest'anno dall'amore verso la musica italiana (?), evidenziata, oltretutto, da una sorta di braccialetto luminoso sul polso che accomuna ognuno dei presenti (in alto e in basso nella gerarchia creatasi) nell'inneggiare, agitando il braccio, ai momenti, musicali e non, più catartici del festival. Come boomer e dunque, con parecchi anni sulle spalle, posso certamente affermare che il festival è servito di riflesso ad una società che cresceva nel tempo, diventava problematica, consumistica, sempre più opulenta ma definendo, di fatto, gli anni nei quali il festival si svolgeva. Momenti di musica si mescolavano anche a momenti di politica, di protesta ma anche di beata acquiscenza con la musica che, sempre da protagonista, ospitava cantanti più o meno stereotipati ma anche, artisti o personalità, capaci di raccontarci cose più profonde rispetto alla rima cuore e amore. Oggi il festival di Sanremo è lo specchio di una società oramai anziana che, nel proporre la sua gioventù canora (già vecchia anch'essa, come ama dire Dario Fabbri), mostra tutti i limiti di un percorso che l'ha portata a perdere molta di quell'identità sociale, di quel senso di appartenenza che, nel bene e nel male, era caratteristico di generazioni passate più dinamiche ed attive. Come dire che dietro alla facciata del festival si agitava comunque una società in cambiamento che aveva altre aspirazioni, altri obiettivi, capace di coniugare la crescita economica con una socialità e una solidarietà reale e composita.Oggi, paradossalmente, il festival di Sanremo è assurto a rappresentazione totale, è diventato l'archetipo di una italianità oramai logorata e spossata nella sua quotidianità lavorativa e sociale, nella ricerca disperata di benefici economici e di visibilità edonistica. Oltretutto, a partire dalla musica. Forse in pochi si sono accorti che nel lento tramonto culturale dell'occidente anche la musica ha terminato, per così dire, la sua opera innovativa. Dal melodramma alla sinfonica fino al jazz o al rock rimane poco da dire e le variazioni più moderne si muovono su binari di rielaborazioni e di strutture la cui novità pare risibile. Noi italiani abbiamo quasi sempre copiato e dunque continuiamo a farlo con poca originalità, muovendoci lungo linee che ricalcano il passato o proponendo l'innovatività di marchingegni canori che mascherano abilmente la mancanza di capacità vocali e di creatività. Appoggiarsi a vecchi miti musicali e cantautorali è diventata la norma, proponendo, guarda caso, i momenti migliori di un passato musicale che noi boomers conosciamo molto bene, dove i protagonisti, oramai alla fine della loro vita canora, si ripropongono stancamente ad un pubblico assetato di nostalgiche rivisitazioni. Basti pensare alla insensata proposizione delle cover per rendersi conto che esiste una netta divaricazione tra i giovani che comunque, come è giusto, seguono la loro musica, nuova o meno che sia, e l'ufficialità di un mondo canoro italiano che, sostanzialmente non esiste più da tempo (e che attinge, come per Giorgia e Annalisa dal mondo sonoro americano eseguito tradizionalmente o dagli hit da spiaggia dei Righeira), ma che vuole continuare ad essere rappresentato perchè Sanremo è Sanremo, deve andare avanti perchè è diventato esso stesso l'Italia che viviamo in questi decenni di inizio millennio. La riproposizione poi di figure cosidette mitiche come Benigni, esprime ancora una volta, i contorni di una rappresentazione di facciata nel proporci una comicità bolsa e stantia che attinge da stereotipi rassicuranti e celebrativi e, nello stesso tempo, ci mostra il cambio di paradigma avvenuto nei decenni nel passare da una critica divertente e dissacrante ad uno status quo intoccabile e inamovibile. E' certamente rivelatore questo rivolgerci al passato, questa ricerca di conforto che si esprime nella mitizzazione di vecchi momenti del secolo scorso o di figure musicali, e non, capaci di dare un senso alla vita comune e ai propri fantasmi esistenziali. Siamo nel duemilaventicinque, eppure le figure di Lucio Battisti, di Franco Battiato, Di Fabrizio D'Andrè, di Lucio Dalla, di Pino Daniele (tra l'altro, come è giusto per ogni mitizzazione che si rispetti, defunti e rimpianti da tempo, quasi del tutto assenti ai sanremo del momento, contraddizione che la dice lunga sul mondo musicale italiano) vengono continuamente riportati in auge per il semplice fatto che la creatività nei loro anni giovanili rappresentava realmente qualcosa di innegabilmente diverso e corroborante in quegli anni di formazione di un paese che, arrivando dagli anni del dopoguerra, si interrogava su suo futuro, sulla propria realtà, passando anche attraverso personalità capaci di coniugare le aspirazioni personali, la propria visione del mondo con il crescere di una comunità. Oggi non è più così, semplicemente perchè questo modus vivendi, è accettato da tutti. Ci muoviamo su coordinate acclarate di un mondo occidentale che crede di aver raggiunto la propria, certa ragione di vita e dunque le celebrazioni, canore e non, ne devono essere la sua raffigurazione portante. Badate, non ho nulla contro Sanremo. Rimane solo la noia e la smodatezza con le quali, a tutti i livelli, si vuole mostrare ad ogni costo la sua necessaria presenza, la sua indimostrata esigenza. Per il resto, come molti, siamo inconsciamente portati a dare un'occhiata, uno sguardo furtivo, forse nella speranza che qualcosa cambi. Ma dai...
Giorgio Giannoni
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