30 dicembre 2022

PENSIERI STUPENDI: O REY per sempre

 

Il gol di Pelè nella finale Italia- Brasile ai Mondiali del 1970



"Un rigore è un modo meschino di segnare"

 Edson Arantes do Nascimento detto Pelè



Si potrebbe obiettare che il grande Pelè, in fin dei conti, è uno come tanti. Di tutto l'elenco dei cosidetti famosi che, nel 2022, hanno lasciato il pianeta, volessimo fare una classifica, il grande giocatore verrebbe sicuramente dopo la longeva Elisabetta seconda, magari a pari merito con Sinisa Mihaijlovic perchè i meriti calcistici, nel nostro paese, non si discutono, sebbene con qualche esagerazione di troppo, ma certamente prima di Angela Lansbury che, pur lasciandoci, continua, imperterrita come uno zombie, a calcare i palinsesti odierni con la sua Signora in Giallo.


E' tuttavia salutare ripercorrere l'elenco che trovate QUI, proprio per dare una senso alle nostre percezioni e fare spazio a qualche ricordo nostalgico perchè, come certamente coglierete, di molti di loro ci siamo già scordati e inevitabilmente anche O Rey, purtroppo, finirà in un dorato, leggendario dimenticatoio. 

Dunque, vorrei condividere con voi il mio ricordo di Pelè che inizia e si arresta allo Stadio Azteca di Città del Messico il 21 giugno 1970 alle 18, in un anonimo fine pomeriggio che, per il fuso orario, corrispondeva nelle parole di Nando Martellini al mezzogiorno di una strana mattina grigia e uggiosa. Il sottoscritto aveva cominciato a interessarsi del calcio mondiale in qualche partita del 1966 in Inghilterra (avevo dodici anni) e di Pelè avevo visto poco, se non registrazioni dei mondiali precedenti, riportati in tv in una sorta di nebbia magica, dovuta non solo alla qualità delle trasmissioni ma anche all'aura di leggenda che aleggiava su questa figura, a metà tra verità e mito. Ma torniamo alla finale. Venivamo tutti, noi italiani dal seguire una Nazionale che finalmente dava delle soddisfazioni (la Corea del 1966 era già dimenticata) avendo vinto due anni prima, nel 1968, il Campionato Europeo con la Jugoslavia e il torneo mondiale, dopo qualche tentennamento iniziale, ci aveva visto battere nettamente il Messico, la squadra di casa, quattro a uno (nella finale lo Stadio Azteca ci fece sentire tutto il suo odio durante la partita) per arrivare a quella mitica semifinale Italia-Germania che ci aveva aperto i cancelli della finale. Non voglio soffermarmi su quest'ultima, si è già detto troppo e anche a sproposito, ma quella sera (la partita si giocava in Messico alle quattro del pomeriggio e dunque in Italia la vedemmo dalle dieci) nell'appartamento sopra il mio, nel condominio di Viale della Pace, si raggiunse il contatto con il cielo e udimmo la musica delle sfere deliziarci le orecchie. Forse anche per questo, quattro giorni dopo, aleggiava un che di soddifazione, di beata sicurezza che strideva con i risultati e il gioco di un immenso Brasile nel torneo (la squadra carioca aveva vinto tutte le partite) che, poveri pazzi, pensavamo potesse essere alla nostra portata. Tuttavia quello strano orario, l'indifferenza di mio padre mollemente seduto in poltrona che leggeva il suo libro giallo e la mancanza di compari, amici a quell'ora inusitata per una finale, faceva propendere per il pessimismo, per un catastrofismo latente che di li a poco si sarebbe tramutato in una deprimente realtà. Chi ha visto la partita sa bene come è andata. L'aver retto per un tempo quel Brasile che giocava con noi come il gatto con il topo è già stata un'impresa memorabile e aldilà di inutili e sterili polemiche Mazzola-Rivera, non poteva che finirè così. E lo si era capito perchè il gol che Pelè fece nel primo tempo (nel link video è raccontato da Buffa), rappresentò senza ombra di dubbio quella immensa forza, quella grande classe che l'atleta brasiliano aveva da sempre dimostrato nella sua vita sportiva. Quel gol aveva assunto  i caratteri archetipici di una differenza astrale, eterea, inusitata. Il salto di Pelè per colpire di testa raggiunse il cielo, lasciando il povero Burnich, il bravo terzino, (" ...io pensavo che fosse un essere umano" ebbe a dire) giù sul prato in un patetico tentativo di emulazione, di interdizione rimasto tale nella sua ricaduta terrena. Era la differenza tra l'angelo e il pedalatore. Era l'espressione del divino.

 Potremmo terminare parafrando Guccini:" La storia ci racconta come finì la corsa.." e sottolineare come, con quell'ultimo successo, Pelè avesse vinto tre mondiali e si era proposto per l'eternità. Ancora una volta, come avrebbero dimostrato negli anni successivi la grandezza di Maradona o di Messi, è il fantasista, il funambolico palleggiatore, il virtuoso del gioco che detta la sua legge. La nostra generazione di giovani italiani ricorderà per sempre il gol di Rivera alla Germania e quello con il quale Pelè ci trafisse; godimento e dolore che si annullano a vicenda nella grandezza umana di un Gioco, che rimane tale, solo con la presenza di questi atleti. Un saluto a O Rey. Ringraziamo la sorte di essere capitati in quel segmento temporale che a noi, giovani baby boomers, ha permesso di comprendere meglio il mondo ma anche di divertirsi. Anche Pelè ne ha fatto parte e non è stato poco.

Giorgio Giannoni 


Ecco un breve riassunto visivo della finale Brasile-Italia allo Stadio Azteca di Città del Messico nel 1970.

Nessun commento:

Posta un commento