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Una cartolina del 1958 dei Giardini della Stazione di Sarzana |
Avevo scritto queste poche parole dopo la violenza del ragazzo sul clochard ai giardini. Le avevo lasciate da una parte per l'inutilità intrinseca del parlare davanti ad accadimenti che non dovrebbero comunque mai accadere, ma è proprio il fatto che, oggi, la notizia abbia già compiuto la sua parabola pubblica( e dunque è scivolata nell'oblio, mal-trattata dai soliti ebeti sui social o dagli inetti, eletti per caso in consiglio comunale) che mi spinge a pubblicarla, non fosse altro per rispetto del povero clochard, del quale molti mi hanno parlato in termini molto buoni.
E' proprio vero che ogni tempo ha le sue differenze. Fin da bambino mia madre mi ha sempre portato a giocare ai giardini della stazione. Nel gruppetto di piccoli amici ci divertivamo sul bordo della grande vasca a tentare di catturare i girini e giocare a nascondino era del tutto normale, come consueta era la paura di guardare oltre la vecchia cancellata di pietra, dove un binario morto ospitava, ancora e ogni tanto, qualche linea di vagoni. Scavalcare quella sorta di barriera, nel periodo adolescenziale successivo, rappresentava una prova di coraggio perchè dall'altra parte c'era un mondo proibito, fatto di locomotive in manovra, di addetti ai treni, insomma il mondo normale del lavoro. Sono passati gli anni ma i giardini avevano mantenuto quella sorta di fascinazione che i luoghi ombreggiati e riposanti possiedono e darsi appuntamento in quel luogo era una cosa del tutto normale. Poi i giardini della stazione ebbero il loro momento di gloria nel 1979 quando Luigi Faccini girò Nella Città perduta di Sarzana. Tutta la città si era stretta intorno a quel luogo nel momento in cui prese forma la mirabile scena della stazione e noi stipati accanto, nella penombra dei giardini ad osservare le riprese, sentivamo di appartenere alla storia della città e ai suoi luoghi. E oggi anche i giardini della stazione giacciono anonimi, dimenticati, rimaneggiati al ribasso come tanti altri luoghi della città passati dall'apparteneza alla comunità alla vituperazione e al degrado. Come lo stesso Viale XXI luglio e la sua scuola, patetica esibizione di lordura e di sfacelo. Come la Porta Romana e i suoi muri lasciati alla imbrattamento finale e gli sballi di una generazione che pare non avere ne riferimenti, ne guide in questi tempi improbabili. Ma i giardini della stazione paiono essere ancora peggio nel loro traffico malavitoso, nella corrispondenza biunivoca che esiste tra di essi e il retro della stazione, uniti da un cordone ombelicale sotterraneo dove si mescolano ignari viaggiatori, spacciatori e consumatori in un andirivieni malefico che trova il suo logico sbocco in questi luoghi perduti. La tragedia che registriamo, allora, è purtroppo solo il corollario di una decadenza e di un crepuscolo cittadino in perfetta sintonia con il modo di essere del nuovo millennio e questo luogo dove è avvenuta è uno spazio perduto da sempre, dalle consigliature precedenti come da quest'ultima che, pur portando nel suo dna quell'intransigenza e quella rigidità che la contraddistingue, non è stata capace di trovare un rimedio, una quadra che potesse mettere un freno a fenomeni che sono propedeutici per arrivare alla tragedia. Dovremmo tutti fare un atto di contrizione perchè questa discesa agli inferi è anche colpa nostra, nel lasciare gli indigenti a dormire nello scalo merci, sulle panchine dei giardini, perchè non siamo in grado di trovare un rifugio, un ricovero degno di un essere umano, accontentandoci, ed è già più che benemerito, di sfamare questi poveri compagni financo le proteste di qualche benpensante sulla loro presenza che rovina la piazza e il turismo. E mai parliamo della droga, non dal punto di vista degli spacciatori, ma del mercato dove la domanda continua ad essere reiterata e mostrata senza sosta o riposo, da adulti e ragazzi, e dunque a poco serve la benemerita azione di Polizia e Carabinieri nell'individuare e tentare di fermare gli altri ragazzi, i mercanti di morte, già schiantati nella testa e nell'animo o le telecamere a sancire inevitabilmente le colpe ma non certamente a prevenire una violenza insensata e profonda. Ne tantomeno pare che molti dei nostri ragazzi riescano a comprendere quei principi basilari che fanno il bene di una comunità e lo stare assieme senza violenza e sfrontatezza, quando compare l'alcool o quant'altro a disinibire, a "liberare" le loro vite confuse. Semplificheremo tutto come sempre dando la colpa alla società, alle sue storture, ai social e via discorrendo senza rendersi conto che questa società l'abbiamo scelta, anno dopo anno, con soddisfazione, con aggressività, con desiderio sfrontato di possedere il meglio per se stessi in barba a chiunque altro. I risultati sono evidenti non tanto nelle inesorabili tragedie quanto nell'incapacità di comprendere, quotidiamente, dove possa essere il semplice buonsenso. Qualche giorno e tutto si perderà nel chiacchiericcio, negli interminabili sproloqui di coloro che pensano che scrivendo qualche giudizio di valore su quanto accaduto magari schierandosi dalla parte dell'aggressore o dell'aggredito, (per non parlare del suo cane, come pare sia accaduto), il mondo potrà continuare a girare su se stesso e intorno al sole come sempre, come le nostre vite addormentate.
Giorgio Giannoni
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